L’immigrazione ha bisogno di concretezza

Italia, Svezia e Finlandia. Tre elezioni, tre vittorie delle destre. In Spagna la formazione del governo è in bilico, ma anche lì l’elettorato si dimostra insoddisfatto dei governi di centro sinistra. Non sempre è così però. Su Repubblica del 22 agosto Tonia Mastrobuoni scrive che la SPD tedesca è tentata di seguire le orme del partito socialdemocratico danese che da quattro anni ha adottato la politica del “pugno duro” contro gli immigrati e ha mantenuto grandi consensi tra gli elettori. La premier Mette Frederiksen lo dice senza giri di parole “Dobbiamo fare in modo che nel nostro Paese non arrivino troppi migranti, o il nostro senso di comunità non può più esistere”. Destra o sinistra? Non si tratta di etichette, ma di sostanza. La contrapposizione fra chi auspica un maggior numero di immigrati per compensare il calo demografico e soddisfare la richiesta di mano d’opera (e applaude al multiculturalismo) e chi, invece, vede la presenza degli immigrati come fonte di problemi se non accompagnata da una reale integrazione con le popolazioni autoctone è un fatto reale non ideologico. È una questione di numeri, di competizione per i posti di lavoro, per le prestazioni sanitarie, assistenziali e per le case di proprietà pubblica, di spinta all’abbassamento delle retribuzioni per le mansioni più semplici. Ma è anche una questione di qualità, di convivenza tra persone che si riconoscono in culture molto diverse, in stili di vita e in valori spesso incompatibili con quelli europei. Basti pensare al ruolo della religione (nei paesi islamici guida la vita delle persone) e a quello delle donne. Che l’integrazione sia difficile è evidente, ma il numero crea di per sé una pressione a veder riconosciuti i propri valori e le proprie regole di vita anche se in contrasto con quelle prevalenti nelle società ospitanti. Infatti, cominciano a manifestarsi le prime richieste nella comunità islamica italiana di poter regolare con la sharia determinati rapporti civili (per esempio il matrimonio e i rapporti familiari). Ovvio immaginare che più crescerà il numero di immigrati di religione islamica (quasi tutti quelli che arrivano via mare) più crescerà questa pressione e si farà difficile la convivenza.

Foto di Vkastro da Pixabay

L’Italia è una meta naturale per i migranti che decidono di provare la via del mare. Inizia sul finire degli anni ’70 per poi esplodere all’inizio dei ’90 (albanesi) e proseguire a ritmi diversi fino all’ultimo decennio nel quale la rotta mediterranea diventa quella prevalente per chi parte dalle coste africane. Non si può certo dire che non ci sia stato il tempo di impostare una politica dell’immigrazione italiana ed europea. Il Piano Mattei ovvero il sostegno ai paesi africani per aiutare uno sviluppo che freni le partenze, doveva essere pensato e realizzato almeno venti anni fa. Invece siamo andati avanti con la contrapposizione tra due fazioni: “accogliamoli tutti” e “respingiamoli tutti”. I migranti sono stati cioè utilizzati dai partiti per catturare consensi e per veder realizzati i loro ideali. Da sinistra e dalla parte cattolica dire “aiutiamoli a casa loro” era visto addirittura come uno sfregio ai diritti umani. Oggi, invece, si riconosce che la chiave per affrontare il problema della migrazione è in Africa e che il suo sviluppo economico e sociale è il primo interesse dell’Europa. Quindi “aiutiamoli a casa loro” è l’unica strategia sensata perchè i flussi di immigrazione regolare (e finalmente quest’anno è stata decisa una programmazione triennale per 500 mila ingressi!) non possono esaurire la spinta di decine di milioni di persone a lasciare i paesi africani. Continuare a ripetere che c’è posto per tutti in Italia e in Europa non è solo demenziale, ma è dannoso perchè una nazione non è fatta solo di numeri, ma anche e forse soprattutto di stili di vita, di valori, di regole. Quindi o si rinuncia all’integrazione dei nuovi arrivati o si creano società nelle quali ogni gruppo etnico gestisce una parte di società con la sua cultura. Se accadesse sarebbe la fine dell’Europa.

Eppure siamo ancora qui a discutere di salvataggi, di quanti migranti può raccogliere una nave ONG, del porto dove sbarcarli, mentre l’assurda ed ipocrita legge Bossi-Fini che risale al 2002 è sempre al comando delle norme che regolano l’immigrazione. Un’incredibile immaturità della politica che dà il cattivo esempio agli italiani continuando ad accapigliarsi sui dettagli e non facendo alcuna scelta concreta realmente utile.

I fatti dicono che l’immigrazione irregolare è causa di tensioni. Non poter programmare i flussi significa essere in balia di chi dall’altra parte del Mediterraneo spinge la gente in mare. Non decidere il quanto e il quando significa non poter organizzare una rete di accoglienza decente. Questo lo capisce chiunque. Bisogna però riconoscere che all’ombra di questa constatazione e dell’egoismo europeo che ha lasciato per anni all’Italia tutto il peso degli sbarchi, si sono fatte speculazioni vergognose (“il traffico di droga rende di meno” diceva Salvatore Buzzi quello di “mafia capitale”) e l’accoglienza è stata organizzata con ritardi e lacune nella speranza che i migranti se ne andassero altrove sollevando l’Italia dal dovere di accoglierli in maniera stabile.

La comunicazione pubblica sui migranti risente di una mancanza di consapevolezza e di tanta ipocrisia che impedisce di inquadrare il problema per quello che è. Basta leggere le seguenti parole tratte da un articolo di Alessandra Ziniti su Repubblica per capire che in Africa la migrazione è un ricco affare che non finisce sulle barche, ma prosegue a terra: “I ragazzini, per lo più egiziani, si presentano direttamente alle questure della Lombardia o si fanno trovare per strada. Hanno quell’indicazione già prima di partire, sanno che arrivati in Italia li sistemeranno per qualche tempo in un centro di accoglienza e poi saranno prelevati da chi li farà lavorare come schiavi per ripagare la somma dovuta ai trafficanti. Le ragazzine sono già destinate alla prostituzione. È la tratta”.

Le organizzazioni criminali sono collegate con chi sfrutta i migranti e conoscono le nostre debolezze. Sanno che nessuno sarà rimandato indietro (i minori per legge, gli altri di fatto) e che non esiste un sistema capace di controllare almeno i minori non accompagnati sicché le ragazzine diventeranno prostitute e nessuno lo impedirà. I sindaci lanciano l’allarme sul prossimo collasso della rete di accoglienza. Hanno ragione e denunciano solo una parte del problema: la mancanza di posti e di personale. Ma chi controlla le persone una volta accolte? Vitto e alloggio vanno bene per pochi giorni, poi inizia la ricerca di qualcosa di più e arrivano i problemi. Ci vuole tempo prima che i migranti parcheggiati nelle strutture di accoglienza diventino quelle risorse preziose di cui molti parlano e forse alcuni tanto preziosi non lo saranno mai perché alimentano le bande e la microcriminalità. Anche qui il numero determina la qualità.

Sarebbe il caso di cambiare registro sui migranti. Continuando le polemiche sui registri del cattivismo un po’ stupido (raccogli 50 persone e le porti a La Spezia) o del buonismo un po’ ebete che vede solo vite da salvare come se vivessimo nel giardino dell’Eden si produce solo esasperazione.

Bisogna parlare il linguaggio della concretezza e non pensare che gli italiani siano degli stupidi. Se si racconta che il calo demografico dovrà essere colmato dagli immigrati c’è un problema serissimo di integrazione che, al primo posto dovrebbe avere la cittadinanza per chi nasce qui o per chi conclude un ciclo scolastico. Abbiamo bisogno di nuovi italiani? Ebbene prendiamoli dai nuovi nati e da chi si forma qui. Probabilmente sentirsi parte di una comunità nazionale servirà almeno un poco a far loro preferire di essere italiani che guardare ai paesi di origine dei loro genitori come ad una terra promessa e come ad un modello. Se si dice che abbiamo bisogno di lavoratori immigrati mentre milioni di italiani non occupano tutti i posti di lavoro offerti dal mercato e spingono per ricevere ogni possibile sussidio pubblico (o emigrano all’estero) si compie un’opera deleteria e diseducativa perchè si rinuncia a migliorare retribuzioni e condizioni di lavoro facendo lavorare gli immigrati al posto degli italiani incorporando così nel modello italiano una quota di lavoro servile come si fa nei paesi del terzo mondo. Ancora una volta poca concretezza, ideologismi vacui e nessuna visione del futuro

Claudio Lombardi   

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