L’insostenibile leggerezza della sostenibilità (di Mauro Chessa)

Alcuni vedono nella parola ‘sostenibilità’ un mantra, salvifico attraverso la continua ripetizione; penso alla discrasia tra le decennali dichiarazioni dei governi e i summit mondiali, inconcludenti persino nel tratteggiare la speranza di non perseverare nella direzione opposta alla sostenibilità.

Non banalizzo, il tragitto della sostenibilità impegna scelte di immensa portata, che intrecciano l’economia con aspetti sociali e politici di respiro mondiale, non è questione che si possa risolvere tra pochi volenterosi: forse potremmo realizzare un microcosmo sostenibile, ma se è parte di un contesto disastroso avremmo ottenuto poco più che un alibi per la nostra coscienza.

Tuttavia la consapevolezza dell’impotenza dei singoli e dei pochi non significa affatto che questi possano sentirsi deresponsabilizzati, è anzi un potente sprone – considerato che la posta in gioco ha carattere esistenziale – per l’impegno verso la crescita di una coscienza collettiva sempre più pervasiva, radicata nella conoscenza e nella consapevolezza.

Con tale spirito Cittadinanzattiva Toscana ha affrontato la tre giorni sulla sostenibilità organizzata dalla Regione Toscana con il Centro Tecnico per il Consumo (Lucca 23-25 ottobre 2009), cercando di portare un contributo alla comprensione del grande affresco che è la sostenibilità. L’opuscolo prodotto per quell’occasione (‘Sostenibilità – Un’antologia, con l’ambizione della sostenibilità’) ha la funzione della cartina stradale, uno strumento per non perdersi nelle molte vie che percorrono – talvolta aggirano – il tema che stiamo trattando. Da quel documento propongo tracce che spero possano servire ad aprire riflessioni ed evitarci il rischio di essere tra coloro che recitano mantra.

Entriamo per gradi nella complessità della sostenibilità, con un’ovvietà: è sostenibile qualsiasi azione o modificazione che non eccede la capacità di un sistema di mantenere immutati i propri equilibri; il concetto di sostenibilità può quindi essere applicato sostanzialmente a qualsiasi universo, dall’intero orbe terracqueo, con tutte le sue componenti, a specifici ambiti, come lo sfruttamento delle risorse fossili per l’energia.

Ogni processo, per le regole assegnate a questa parte di Universo, è inevitabilmente connesso ad altri che insieme costituiscono un diverso e più ampio livello materiale o cognitivo. Ne consegue che una funzionale percezione della sostenibilità vede questa come una cipolla: il cuore è uno specifico argomento che si voglia misurare con il suo metro, compreso nei più ampi involucri concentrici, fino alla cuticola esterna, che è la dimensione globale onnicomprensiva.

Questa gnoseologia geometrica è orfana della quarta dimensione: il tempo, in particolare nella sua metrica antropica. Possiamo infatti individuare fenomeni che nella scala universale dei tempi sono invarianti rispetto agli equilibri planetari, ma che risultano impattanti nel lasso di una o poche generazioni: si pensi all’irrilevanza della cementificazione delle coste se proiettata nell’apocalisse dell’orogenesi e della deriva dei continenti, che Jahvè mette in scena dalla notte dei tempi.

La sostenibilità deve quindi essere commisurata anche all’angusta prospettiva temporale che è propria del nostro genere. Ma declinando la sostenibilità sulla dimensione antropica vediamo che è necessario aggiungere molto più che la variabile tempo: l’uomo è soggetto sociale complesso, la qualità della nostra vita non è commisurata esclusivamente all’integrità fisico-chimica e biologica dell’ambiente (l’uomo di Neanderthal non viveva meglio di noi, non di tutti), ma anche all’insieme dei fattori che costituiscono il sistema relazionale. I macro temi della cultura (istruzione, educazione, crescita culturale …), dell’economia (lavoro, accessibilità dei beni …) e della socialità (qualità delle relazioni interpersonali e intergruppo, senso di sicurezza e soddisfazione …) entrano di diritto tra gli elementi della valutazione antropica della sostenibilità.

Questi fattori scontano valutazioni variabili nel tempo e nello spazio. Un esempio: le comunità amazzoniche erano oggettivamente sostenibili in termini sia ambientali sia delle strutture sociali, ben regolate, dove lo stress e le tensioni tipiche della società occidentale erano sconosciuti; ma il contatto con la ‘civiltà’ le ha destabilizzate, creando disadattati incapaci di integrarsi nel mondo tecnologico e globale, che è assai meno sostenibile (in termini ambientali e sociali) della loro condizione originaria. La soddisfazione di queste comunità nel percepire la sostenibilità della propria condizione è paradossalmente drasticamente diminuita.

Questo per dire che prima di stabilire come possiamo conseguire la sostenibilità è necessario stabilire cosa è la sostenibilità, faccenda per nulla scontata: c’è chi parla di ‘sviluppo sostenibile’ e chi sostiene che ‘sviluppo’ e ‘sostenibilità’ risultano antitetici. Latouche argomenta che l’attuale sviluppo economico, basato sul continuo incremento di produzione delle merci, sia incompatibile con il principio fondante la sostenibilità: non depauperare le risorse naturali. Latouche coglie anche il legame culturale che si è stabilito tra l’economia di mercato e la percezione della qualità della vita (consumismo), che ha rimosso la sostenibilità dalla coscienza collettiva, lasciando ampi margini al sovrasfruttamento delle risorse naturali, all’aumento delle emissioni inquinanti, alla mercificazione dei beni e dei servizi. È principio generalmente acquisito, anche tra coloro che non condividono le tesi di Latouche, che la sostenibilità non può essere regolata agendo direttamente sulle manopole dell’economia e dell’ambiente, riducendo l’uomo a omino del calciobalilla, manovrato da fuori; è indispensabile innestare il principio della responsabilità – quindi della centralità della persona (intesa sia come soggetto complesso, dotato di una dimensione che va dal materiale al trascendentale, sia come mattone elementare della società locale e globale) – nel dovere di ogni generazione di non consegnare a quelle future un mondo impoverito e degenerato; dovere che non può essere allontanato dalla cittadinanza e posto in capo ai governi, come se questi potessero sopperire al disimpegno delle società che li esprimono.

È indispensabile il coinvolgimento attivo delle popolazioni e delle persone nelle politiche della sostenibilità, nessuna di queste può aver successo se non è compresa – anzi, sviluppata – e sostenuta dalle popolazioni, come mostrano i danni alla salute che infliggiamo caparbiamente a noi stessi per lo scarso successo nel ridurre l’uso dei mezzi di trasporto privati nelle nostre città.

Con quest’ottica risulta evidente il ruolo che Cittadinanzattiva può svolgere nel percorso verso l’obbiettivo della sostenibilità, che – qualunque cosa si voglia che sia – può essere raggiunta solo attraverso la crescita collettiva nell’esercizio del diritto/dovere di essere pienamente Cittadini.

Mauro Chessa Cittadinanzattiva Toscana

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