L’insostenibile lontananza della politica (di Claudio Lombardi)
Due mondi paralleli, quello di chi gestisce le istituzioni e lo Stato attraverso la politica e quello della vita reale della società italiana. Due mondi che non riescono a capirsi e che seguono logiche diverse. Questa è l’immagine che abbiamo davanti in queste settimane. Da un lato un’estrema concentrazione delle forze politiche su nomi, schemi, formule, equilibri in nome del proprio peso elettorale e di potere. Dall’altro lato i problemi di una quotidianità scandita dalla crisi e da questioni lasciate appese per decenni che non possono essere affrontate senza la politica.
Fosse possibile ci vorrebbe un distributore automatico di decisioni in grado di sfornare soluzioni e risposte. Invece si attendono un giorno dopo l’altro decisioni che paiono dover provenire da mondi lontani e misteriosi.
In questo mondo reale ci si misura con la diminuzione del lavoro, con la diminuzione delle retribuzioni, con la diminuzione del denaro circolante, con la chiusura delle imprese, con l’indebolimento dei servizi pubblici. Il segno meno prevale e le aspettative per il futuro segnano pessimismo e sfiducia.
La politica italiana, tutta, sembra vivere in un mondo parallelo dove c’è tanto tempo da perdere e nessun imperativo categorico a cui obbedire. Nemmeno quello che il voto conferisce e cioè il dovere di governare.
Dopo le elezioni 48 giorni di stallo (finora) durante i quali nessuno fra i protagonisti ha veramente mostrato di mettere al centro la condizione dell’Italia. A parole sì, ma nei fatti si sta giocando una guerra di posizione e di logoramento fra le formazioni politiche che si sono divise quasi il 90% dei consensi. Ad essere giusti tutte ne escono male.
Il M5S aveva suscitato una enorme aspettativa, ma sta dimostrando una propensione a girare intorno al proprio ombelico, una sordità, una opacità e una inadeguatezza che deve preoccupare tutti quelli che credono nella partecipazione dei cittadini e nel rinnovamento della politica. Se questo è il nuovo il meno che si può dire è che dalla protesta alla proposta politica seria il passo è grande, troppo grande. Il movimento invece si è rivelato fragile ed impreparato per gestire il 25% dei voti. Piazze piene, ma poche e vaghe idee sul che fare. Il M5S ha mostrato tutti i limiti del suo essere sempre stato soprattutto il prolungamento del blog di Beppe Grillo. Incapaci di elaborare una politica i grillini si sono mostrati, per ora, molto concentrati su loro stessi e non sulla missione per la quale avevano chiesto i voti.
Il Pd, miglior perdente delle elezioni che avrebbe dovuto stravincere, gira intorno ad un’equazione che non si può risolvere e che porterà, in ogni caso, ad un’ingloriosa conclusione. Appena contati i voti Bersani doveva sapere che un governo guidato da lui in quanto leader del Pd non sarebbe stato possibile. Non 48 giorni (che diventeranno oltre 60 dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica) ci volevano, ma venti minuti per capire che occorreva elaborare un’altra proposta politica e prendere la guida di una via d’uscita diversa da un governo Bersani. In questo senso è legittimo dire che lo stallo è anche responsabilità di un Pd fermo su una proposta che avrebbe avuto un senso con una maggioranza piena alla Camera e al Senato, ma che non può assolutamente averlo di fronte alla negazione dei voti per arrivare alla maggioranza. Comunque, con la situazione creata dai risultati elettorali Bersani poteva legittimamente chiedere di essere messo alla prova e di andare davanti alle Camere a cercarsi la maggioranza, ma sapendo che non sarebbe andato molto più in là di una sfiducia immediata o di una differita di poco. Dunque dove ha pensato di vedere realizzabile la sua proposta di un governo di cambiamento? E soprattutto a che pro ha insistito e insiste ancora?
Il Pdl mostra adesso il suo volto più responsabile, praticamente il contrario di quello assunto in campagna elettorale. Anche questa è una manovra perché sa benissimo che in questo modo ottiene due risultati: mettere in difficoltà il Pd e acquisire un credito agli occhi degli italiani. L’obiettivo vero, tuttavia, è sempre rivolto ai processi di Berlusconi il vero crogiuolo nel quale tutte le manovre e tutti i discorsi vanno a fondersi. E dunque che governo pensano di fare con questo scopo dissimulato, ma che tutti conoscono? Il Pdl sa di non essere un vero partito, ma un apparato e un movimento di comunicazione raccolto intorno ad una sola persona. Ha già dimostrato di non saper governare, ma l’illusione di tanti italiani non muore. D’altra parte l’illusione è lo scopo di ogni pubblicità e in questo il berlusconismo è maestro.
I problemi seri riguardano gli italiani perché un sistema politico che produce questi risultati deriva da procedure e regole inadeguate, ma soprattutto, è l’espressione di culture politiche e civili che non sono più seriamente utilizzabili per guidare l’Italia. Questo è IL problema dell’Italia priva di una guida capace ormai da molti anni e consegnata a gruppi interessati al proprio potere e alla scalata sociale a spese dello Stato. D’altronde i partiti sono degenerati da tanto tempo in partitocrazia (una lucida denuncia di questa trasformazione risale addirittura ad un’ intervista di Berlinguer del 1981) e poi addirittura scomparsi, sostituiti da pseudo partiti personali veri feudi che occupano la democrazia.
La cosa più sconcertante è che questo processo di feudalizzazione della politica ha contagiato la società e così più che di UNA casta ci dovremmo preoccupare di tante caste fra le quali è suddiviso il Paese. Caste che si sono formate in decenni sprecati ben fotografati dalla drammatica contraddizione di un enorme debito pubblico che non ha prodotto nessun risultato né in termini di sviluppo, né di strutture né di servizi. Si sapeva che prima o poi il conto sarebbe arrivato. Ora ci siamo.
Claudio Lombardi
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