L’Italia, l’Europa e la disperazione dei migranti (di Salvatore Sinagra)
Ancora una volta, di fronte ad una catastrofe umanitaria, il governo e buona parte del popolo italiano invocano “più Europa”, richiesta moralmente legittima ma che deve essere circostanziata. La questione del nostro posizionamento in Europa, dei nostri diritti e dei nostri doveri non può che essere affrontata alla luce delle scelte politiche e del diritto comunitario ed internazionale che ci sono oggi.
L’Unione Europea, nonostante il Trattato di Lisbona avesse l’ambizione di superare le vecchie strutture, è riconducibile a tre macroaree: politica economica, politica estera, politica della giustizia e affari interni. Nelle ultime due aree non esiste una politica comune dell’Unione Europea, esiste solo un blando coordinamento delle politiche nazionali. Poiché la materia dell’immigrazione è riconducibile agli esteri e agli affari interni, è determinata dal Consiglio dei ministri, ovvero dai rappresentanti dei governi degli Stati membri e le istituzioni comunitarie, Parlamento e Commissione, hanno limitatissimi poteri e pochi margini per andare oltre lo status quo.
L’area Schengen, che solo parzialmente si sovrappone all’Unione Europea (vi prendono parte quattro paesi che non aderiscono all’UE, e non vi prendono parte Gran Bretagna, Irlanda e alcuni paesi dell’Europa Orientale) fino al 2004-2005 era semplicemente una zona in cui erano stati aboliti i controlli sistematici alle frontiere con alcune finalità dichiarate tra cui la lotta all’immigrazione clandestina, al terrorismo, al traffico di esseri umani, di armi e di droga. Tutti i paesi dell’area Schengen sono obbligati ad adottare i medesimi standard di controllo alle frontiere esterne dell’Unione. Inizialmente non fu posto il problema dei costi della “frontiera di Schengen” che sarebbero gravati solo su alcuni Stati; la prospettiva era quella che comunque i paesi bagnati dal Mediterraneo e al confine orientale dell’Unione avrebbero sostenuto comunque costi di “pattugliamento”.
Con l’accesso di alcuni paesi dell’Europa Orientale a Schengen è stata istituita Frontex, un’agenzia che ha il solo fine di coordinare i pattugliamenti delle frontiere esterne dell’Unione ed ha un budget di circa 70 milioni l’anno di cui metà vengono spesi nel Mediterraneo. Frontex non ha nessun ruolo per la prima accoglienza dei profughi né riguardo alle richieste di asilo. Di fatto, Schengen è un confine comune senza una politica dell’immigrazione comune.
Non esiste nemmeno una vera e propria politica comune dell’asilo, poiché gli accordi di Dublino II che disciplinano a livello europeo il diritto di asilo, hanno la principale finalità di dirimere le controversie tra gli Stati dell’Unione su chi debba prendere in considerazione le richieste di asilo dei migranti. In realtà l’articolo 17 della convenzione da’ la possibilità, ad oggi non utilizzata, di modificare lo stesso accordo ed istituire un regime di asilo europeo.
La direttiva 55 del 2001 istituisce il regime della protezione temporanea, ovvero il Consiglio europeo, su proposta della Commissione può accertare l’afflusso massiccio di sfollati e decretare misure a favore di uno o più Stati membri che non possono fronteggiare da soli l’emergenza. I singoli Stati membri vareranno provvedimenti straordinari a favore dei migranti finanziati, in tutto o in parte, dal Fondo europeo dei migranti.
Le polemiche scatenate da esponenti della Lega Nord e del Popolo delle Libertà che imputano all’Europa una “limitazione della sovranità nazionale” in materia di immigrazione sono ridicole e paradossali, poiché, come già detto, non esiste una politica europea dell’immigrazione cioè il singolo Stato membro non ha alcun vincolo nella determinazione del numero dei migranti che hanno diritto di entrare nel paese, dei requisiti per ottenere il permesso di soggiorno e di molte regole per l’accesso al lavoro degli extracomunitari. Sono gli Stati membri che definiscono cos’è l’immigrato irregolare, che gli stessi Stati sono liberi di espellere. L’Unione Europea, quindi, non impone niente e il problema è proprio l’assenza delle politiche comuni per l’immigrazione e i richiedenti asilo. Casomai è proprio l’aggravante introdotta in Italia con il reato di clandestinità che suscita un dubbio di legittimità anche nell’ordinamento europeo perché va oltre la semplice espulsione.
C’è poi la questione della richiesta avanzata nel 2010 (inizio della primavera araba) da Roberto Maroni e Angelino Alfano di ripartire quote di immigrati tra diversi paesi europei. Ebbene si tratta di una richiesta paradossale: primo è incompatibile con l’attuale diritto comunitario che, prevede, invece, la possibilità, in casi eccezionali, di finanziamenti per interventi gestiti dai singoli stati sul loro territorio; secondo, appare difficile per l’Italia invocare la “solidarietà europea” dal momento che tale solidarietà non è stata chiesta da paesi come la Francia e la Germania che ogni anno concedono l’asilo a molti più richiedenti di quanto faccia l’Italia; terzo, la solidarietà che da destra si chiede all’Europa è stata più volte rifiutata dai presidenti leghisti di Piemonte e Veneto.
Inutile e fuorviante, quindi, rigettare sull’Europa una responsabilità in materia di immigrazione che ad oggi non può avere. Probabilmente per distogliere l’attenzione dalla politica italiana sui migranti e dall’ipocrita legge Bossi-Fini si cerca di confondere i discorsi. Però, visto che si vuole tirare in ballo l’Europa, ricordiamoci che tra qualche mese ci saranno le elezioni del Parlamento europeo. Quella sarà l’occasione per chiedere alle forze politiche un impegno serio anche per una politica comune sull’immigrazione. E vedremo chi lo farà.
Salvatore Sinagra
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