Lo Stato siamo noi
Pubblichiamo l’appello dei lavoratori precari a difesa dei servizi pubblici. Meno pubblico e più privato è uno slogan che si è fatto politica da ormai molti anni. Bisogna riscoprire il valore del servizio pubblico come strumento della coesione sociale e di una più elevata qualità della vita.
C’è chi dice che alla crisi economica si risponde con meno “pubblico”. E’ la risposta di austerity delle istituzioni monetarie, ed è la risposta del Governo italiano che prima di ogni altra cosa ha fatto cassa bloccando il turn over nella pubblica amministrazione, tagliando risorse per il lavoro a termine e tagliando fondi a sanità, enti locali, scuola e università. Così si decide di non scommettere sulle giovani generazioni e, insieme, di non scommettere sul lavoro pubblico: sulle tante e i tanti che hanno retto i servizi pubblici nel nostro paese. E lo hanno fatto da precari.
Noi diciamo altro. Contro la crisi e il modello economico che l’ha prodotta ci vuole più intervento pubblico, più welfare, più scuola e più università. Ci vuole un Paese che non lasci sole le persone, un Paese capace di scommettere sulla conoscenza, sui suoi talenti e sulla sua dimensione comune e solidale.
Il Governo ha scelto la prima strada, quella che disinveste sul pubblico, riduce i servizi, combatte la conoscenza. Che taglia infermieri agli ospedali, chiude asili pubblici, umilia i ricercatori e si arma della retorica dei fannulloni per far macerare nel brodo della precarietà migliaia di suoi lavoratori, mentre nello stesso tempo blocca i contratti di lavoro e nega diritti a tutti. E’ questo il prodotto dei tagli lineari, di concepire la politica del personale come una politica di tagli, dell’aumento dell’età pensionabile delle lavoratrici, di una riduzione degli organici che squalifica i servizi e toglie opportunità di lavoro.
Di quel mondo che ha prodotto la crisi economica, di quell’ideologia che comprime la dimensione sociale a favore del privato, la precarietà è emblema. E qui risiede l’inaccettabile contraddizione del nostro Stato. Uno Stato che fabbrica precari. Che li spreme e li spreca contemporaneamente. Che chiede dedizione, extralavoro, sacrificio e poi li butta via.
Siamo ricercatrici e ricercatori precari, siamo insegnanti non di ruolo, educatrici dell’asilo, infermieri, siamo quelli che supportano le aziende all’estero, siamo animatori dei centri per l’impiego, ispettori del lavoro, medici, siamo quelli che compilano le pratiche per le pensioni, assistenti sociali e operatori cooperative sociali, tutti con contratti a termine: a progetto o a tempo determinato. Siamo vincitori di concorso non assunti.
Siamo quelli che negli ultimi decenni hanno contribuito a tenere in piedi le scuole, le università e i servizi pubblici e siamo quelli che vogliono continuare a farlo con il massimo della passione e della competenza. Senza di noi chiuderebbero uffici, non si attiverebbero corsi di laurea, i bambini non avrebbero educatrici e i malati meno infermieri. Per questo non possiamo essere espulsi: togliendoci il lavoro si tagliano i servizi. Nè possiamo continuare a lavorare così: senza diritti, con contratti discontinui, senza riconoscimento, né protezione sociale in caso di licenziamento.
Ci vuole un lavoro stabile e valorizzato per servizi stabili e di valore.
Per questo chiediamo nuovi investimenti per nuovi lavori: servizi qualificati alle persone e un investimento straordinario in conoscenza; per questo chiediamo una riforma del reclutamento: il pubblico non può essere terra di conquista per piccoli e grandipotenti che ne dispongono a piacere. Chiediamo procedure trasparenti e imparziali per l’accesso al lavoro pubblico a garanzia della qualità per i cittadini e della dignità dei lavoratori.
Per questo chiediamo una rigida regolamentazione dell’impiego, delle modalità e del limite temporale del lavoro a termine nei settori pubblici.
Vogliamo dare un taglio alla politica dei tagli
Vogliamo una programmazione di assunzioni nei settori strategici. A partire da coloro che hanno già superato le prove d’accesso, vincendo i concorsi o risultando idonei, e sono tenuti dallo Stato in una bizzarra “lista d’attesa”.
Vogliamo che prosegua sia il lavoro sia la stabilizzazione di tutte e tutti coloro che lavorano stabilmente da precari nelle pubbliche amministrazioni da anni, qualificandole col loro lavoro: non una sanatoria, ma un accesso trasparente per titoli ed esami.
Vogliamo diritti adesso, basta discriminazioni
Troppo spesso chi lavora per la pubblica amministrazione con contratti precari fa lo stesso identico lavoro di chi ha un contratto a tempo indeterminato, ma non ha gli stessi diritti.
Per questo chiediamo welfare e diritti, subito, per i lavoratori atipici del pubblico.
Chi è vittima delle esternalizzazioni e lavora in attività pubbliche affidate a soggetti terzi deve avere lo stesso contratto, gli stessi diritti e le stesse tutele del comparto di appartenenza.
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