Lo strano mondo della sanità pubblica

La sanità ci riguarda. Anzi, ci riguarda il Servizio Sanitario Nazionale che è la garanzia dell’esistenza di un’assistenza sanitaria aperta a tutti. Eppure non sembra che gli italiani se ne curino molto. Si da’ per scontato che ci sia e che ci dia il servizio che vogliamo. Il come non interessa. Il chi lo eroga nemmeno e non  pochi trattano il personale della sanità con arroganza (è tipico di questi tempi perché lo stesso fenomeno si verifica nella scuola contro i docenti). Ogni anno si verificano oltre 2500 aggressioni contro medici e infermieri e c’è da giurare che rimangono tutte impunite. La capacità di reprimere i comportamenti violenti non è una specialità del nostro sistema giudiziario. Anche il chi paga non preoccupa gli italiani che, in gran parte, secondo le rilevazioni del Centro Studi Itinerari Previdenziali (link al report), versano un’ Irpef che non copre nemmeno le spese dell’assistenza sanitaria.

Persino il governo non se ne cura. Nella legge di bilancio per il 2023 era prevista un’indennità per chi lavora nei pronto soccorso ovvero nella prima linea del SSN. Si trattava di 200 milioni, la stessa cifra del bonus regalato ai diciottenni per libri, dischi, spettacoli, mostre. Questo è stato confermato mentre l’indennità di pronto soccorso è saltata. Un bel ringraziamento per chi lavora in condizioni limite dovendo fronteggiare una richiesta che concentra nella medicina d’urgenza tanti deficit della sanità pubblica e che svolge un servizio essenziale (qui il link). Forse il governo ignora che i concorsi per la medicina d’urgenza vanno deserti e che tanti si licenziano per poi ritornare come “gettonisti” o come liberi professionisti a contratto? Qualunque governo riempirebbe le tasche di medici ed infermieri della medicina d’urgenza per non farli scappare e per attrarre forze nuove. Invece, in questa Italia distopica, succede che tanti inutili bonus vengono confermati e l’indennità per i pronto soccorso viene rinviata.

La sanità è lo specchio di un Paese nel quale spesso avvengono strani fenomeni privi di logica. Per esempio il payback. Che succede se le regioni spendono più del consentito per i dispositivi medici? Nel mondo anormale della sanità pubblica le ditte che li hanno venduti devono restituire alla regione il 50% del deficit. Così dispone una legge del 2011, modificata nel 2015 e resa esecutiva dal governo Draghi. Veramente un mondo strano e complesso che è difficile comprendere in poche battute. Occorre farsi guidare da qualcuno che lo conosce dal di dentro. Ci aiuta un dirigente medico con 40 anni di servizio in una Asl romana che ha un bacino di utenza di centinaia di migliaia di persone. Chirurgo di reparto e di urgenza ha accumulato un’esperienza a cavallo tra due mondi, tra la fine del sistema precedente alla riforma del 1978 e quello che si è poi andato dipanando con la rivoluzione dei decenni successivi. La legge n. 833 che ha fondato il SSN è solo il punto di partenza di una trasformazione profonda della sanità italiana che non si può considerare conclusa e che ha bisogno di continui aggiustamenti. Dopo 45 anni si può dire che è stata raggiunta l’universalità del sistema sanitario? No. Il Fondo sanitario nazionale è arrivato a 130 miliardi, ma la spesa degli italiani in prestazioni private supera i 37 miliardi. Per sfuggire alle liste di attesa chi può si rivolge alle strutture private. Pur essendo elevata, la spesa pubblica pro capite è sempre inferiore a quella dei principali paesi europei.

In  ogni caso la spesa nel privato sgrava il SSN dall’onere di elevare i suoi standard. Ciò nonostante i servizi sono sempre in affanno. Due anni di pandemia hanno messo in luce gravi carenze nella medicina del territorio, la precarietà dei pronto soccorso e la cronica mancanza di personale e di posti letto negli ospedali. Si pensava che dopo quella durissima prova la sanità sarebbe cambiata in meglio. E invece nulla è cambiato. Il bilancio per il 2023 non recupera nemmeno l’inflazione e l’aumento dei costi dell’energia. Si conferma che il contenimento della spesa resta un principio guida per i governi. Per molti anni i tagli di personale e di posti letto (40 mila negli ultimi dieci anni) sono stati costanti. Incredibilmente ancora oggi esiste il vincolo per le regioni di non superare la spesa per il personale del 2004. Una vera assurdità dopo gli anni del covid e con una popolazione che invecchia di anno in anno. La realtà però si impone e l’ossessione per la spesa si traduce nello spreco dei medici “a gettone” forniti dalle cooperative. Costano multipli rispetto al personale dipendente e non possono assicurare lo stesso livello di competenze e di esperienza, ma senza di loro i pronto soccorso non potrebbero funzionare.

Il mondo della sanità è fatto di contraddizioni e di irrazionalità, di sprechi e di inappropriatezza con la medicina difensiva che porta ad una moltiplicazione di prestazioni superflue, ma è fatto anche di tanti sacrifici di chi ci lavora. Basta avere la sfortuna di doversi rivolgere ad un pronto soccorso per constatare i ritmi di lavoro frenetici, la tensione, i rischi, ma anche il senso di responsabilità di medici ed infermieri.

La medicina d’urgenza può essere il punto di partenza per una riflessione

Claudio Lombardi

(1/continua)

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