L’obiettivo della guerra di Hamas non è lo stato palestinese

Un articolo di Carlo Panella su www.linkiesta.it spiega il contesto nel quale gli islamisti di Hamas hanno scatenato la guerra contro Israele. Di seguito una sintesi. Il testo integrale lo leggete QUI

Mentre si levano alte le urla dei paesi arabi contro il «genocidio» dei palestinesi a Gaza, in realtà, si fa strada la speranza che Israele distrugga quella Hamas che tutti loro temono e contrastano. La preoccupazione è per tutti la stessa: la popolarità dei Fratelli Musulmani che hanno in Hamas la punta di diamante del movimento. I paesi arabi sanno che la Fratellanza, grazie soprattutto ad al Jazeera che ne è l’espressione mediatica raffinata, egemonizza di fatto le opposizioni ai loro regimi e condiziona le loro opinioni pubbliche interne, delle quali, comunque, in qualche modo devono tenere conto. Ma c’è anche altro. Richiamato più volte dalla leadership statunitense è il disegno di nuovo Medio Oriente una volta normalizzata Gaza che sconta la creazione di uno Stato palestinese e il recupero obbligato di una Autorità Nazionale Palestinese (Anp) finora marginale e ininfluente. Il quadro è però molto più ampio nel contesto economico e geopolitico non solo regionale, ma di area continentale, asiatica. Un contesto ormai dominato saldamente dalla svolta strategica incarnata dal futuro re saudita Mohammed bin Salman (MbS).

Autoritario e non democratico certo, ma ha un merito: ha saputo ribaltare in una prospettiva nuova, di sviluppo e di integrazione regionale tra nazioni, il tradizionale parassitismo da petrolio e petrodollari. MbS rappresenta una nuova generazione di élite arabe del Golfo che vogliono andare oltre una economia basata unicamente sull’estrazione di idrocarburi. La prima manifestazione di questa presa d’atto sta nella proliferazione di città – modello attrattive per i ricchi del pianeta.

Il progetto strategico di MbS, denominato Vision 2030, punta invece sul passo successivo: integrare immensi investimenti immobiliari, con un massiccio intervento nell’ordine di migliaia di miliardi di dollari nella hi-tech, nella produzione di energia elettrica con il nucleare, nella medicina di avanguardia, nella produzione industriale cibernetica, nel turismo, nello sfruttamento dei meravigliosi siti archeologici, nell’Intelligenza Artificiale e anche nelle strutture sportive in grado di attrarre tifosi e quindi immagine e consenso da tutto il pianeta.

Neom, una città avveniristica lunga centosettanta chilometri, con una superficie complessiva di ventiseimilacinquecento chilometri quadrati dal costo di cinquecento miliardi di dollari è il simbolo di questo progetto visionario. Si deve snodare dal Mar Rosso sino alla Giordania, sarà affiancata sul mare dalla nuova città industriale Oxagon e al suo termine, sulle montagne dal centro sportivo invernale di Trojena che ospiterà i giochi invernali asiatici del 2029.

A questo progetto, si affianca un intenso lavoro diplomatico saudita in Asia per la definizione di un nuovo asse infrastrutturale strategico alternativo e conflittuale con la Via della Seta della Road Belt Initiative. Il progetto, denominato Via del Cotone, mira a costruire mega infrastrutture ad alta tecnologia portuali, ferroviarie e stradali che colleghino, a partire dalla Corea del Sud, passando per l’Indocina, l’India, gli Emirati e l’Arabia Saudita, con sbocco al mare nel porto israeliano di Haifa e quindi terminali in Grecia e in Italia, hub del grande mercato europeo.

Una nuova mega struttura in grado di veicolare import ed export tra Asia e Europa per volumi di migliaia di miliardi di dollari, il cui baricentro produttivo e politico è l’India. Dunque, di nuovo, un massiccio investimento di centinaia di miliardi per costruire una grande dorsale ferroviaria e autostradale che attraversi tutta la penisola Arabica e quindi l’Arabia Saudita per più di duemila chilometri e sbocchi nel Mediterraneo, in Israele.

Mohammed bin Salman è consapevole che questi progetti dal costo complessivo di migliaia di miliardi necessitano non solo dell’apporto del pur consistente Fondo Sovrano Saudita (776 miliardi di dollari), ma anche di potenti raccordi con altre fonti internazionali di finanziamento e soprattutto di know how, quest’ultimo assai carente in tutti i paesi arabi. Quindi, necessitano della definizione di una alleanza strutturale con gli unici due paesi che hanno un ruolo centrale sia nei flussi del capitale finanziario mondiale che nella ricerca tecnologica ad alto livello: gli Stati Uniti e Israele, che peraltro costituisce l’unico polo di alto sviluppo regionale in Medio Oriente, quasi confinante con l’Arabia Saudita.

Questa è la potente base strutturale dell’intesa triangolare tra Washington, Gerusalemme e Riad, col previsto clamoroso riconoscimento di Israele da parte dell’Arabia Saudita che doveva essere siglata entro il 2023. La guerra scatenata da Hamas mirava a bloccare questo accordo. La trattativa resterà sospesa non solo fino alla fine delle operazioni militari, ma anche sino a quando non sarà definito uno Stato palestinese che preluda ad un assetto più stabile della Regione. Fino al 6 ottobre la questione palestinese era stata accantonata non solo dal governo israeliano, ma anche dai paesi arabi. Sarà molto difficile trovare una soluzione per la mancanza di una forte leadership alternativa a quella fallimentare di Abu Mazen non essendo nemmeno ipotizzabile che Hamas ne prenda il posto.

Anche in Israele servirà una nuova leadership e quindi si dovrà passare da nuove elezioni al termine delle operazioni militari a Gaza. Il governo di Bibi Netanyhau si regge sui due partiti di estrema destra para fascista e suprematista che addirittura puntano ad annettere a Israele la Cisgiordania e ad espellere i palestinesi. Totalmente indisponibili, quindi, come peraltro larga parte dei parlamentari del Likud, anche solo ad avviare una trattativa con i palestinesi per la nascita di un loro Stato. Servirà dunque una netta vittoria elettorale di una maggioranza totalmente alternativa a quella attuale. Ma è più che probabile che, a guerra conclusa, si riprenderà la strada della pacificazione tra Israele e i paesi arabi, Arabia Saudita in testa. Troppe e troppo cogenti e urgenti sono infatti le motivazioni strutturali, economiche, di sviluppo addirittura di una nuova grande area economica regionale integrata arabo-israeliana, di raccordo tra l’Indo Pacifico e l’Europa, per potere essere intralciate.

L’unico, grave, pericolo, che potrà ostacolarla viene e verrà dall’Iran dei Pasdaran e degli ayatollah. La loro strategia di rafforzare una potenza regionale aggressiva e espansiva ne verrebbe infatti radicalmente inficiata. Per questo, Teheran farà di tutto per ostacolarla, ben al di là del sostegno a una organizzazione locale come Hamas. Anche a costo di far deflagrare una nuova guerra.

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