L’Ucraina: identità linguistiche, giochi di potere e geopolitica (di Salvatore Sinagra)
L’osservatore italiano potrebbe chiedersi come e perché l’Ucraina sia piombata nel caos. In verità dopo il tracollo dell’URSS l’Ucraina non è mai uscita dal caos, dilaniata da lotte tra oligarchi con ambizioni politiche e politici che vogliono diventare oligarchi. Il calciatore Cristiano Lucarelli, noto per la sua fede comunista ha vissuto per qualche mese a Donetsk, nel sudest dell’Ucraina, ed afferma che da quelle parti chi ha più di trent’anni rimpiange il comunismo, perché gran parte del popolo non ha ottenuto alcun beneficio dalla democrazia. In realtà in Ucraina, come in altri paesi nati dal tracollo dell’Unione Sovietica, non è mai stata sperimentata una vera democrazia. Tra l’altro si noti che per molta gente nell’est dell’Ucraina a maggioranza russofona l’epoca sovietica non rappresenta solo il comunismo, ma anche quel periodo storico in cui tutti i Russi vivevano, sotto il tetto dell’Unione Sovietica, in una casa comune.
Identità linguistiche
Come in molti paesi dell’Europa orientale, per via di fattori geografici e della nascita dello Stato in tarda età moderna o contemporanea, non esiste un’identità se non quella linguistica. Diceva Jungmann, scrittore e filologo ceco nel 1806, la lingua, la patria e la nazione sono la stessa cosa.
La federazione russa conta 137 milioni di abitanti in larghissima maggioranza di lingua russa, inoltre poco più di 20 milioni di madrelingua russa risiedono in altri paesi nati dal tracollo dell’URSS. In molte repubbliche nate dalla fine della guerra fredda, durante i diversi domini russi, sotto lo zar e sotto il comunismo, l’identità nazionale ha rischiato di scomparire. Dopo il 1991 la situazione si è ribaltata e spesso sono stati i russofoni a subire discriminazioni; in alcuni paesi non è stata automaticamente riconosciuta la cittadinanza ai residenti di madrelingua ed è cresciuto in modo esponenziale il numero di apolidi e la barriera linguistica è stata usata per limitare le opportunità, anche lavorative, delle minoranze.
Passati oltre due decenni dal tracollo dell’Unione Sovietica è sintomo di una situazione anomala che si parli di russi di Ucraina e non di russofoni di Ucraina. A vent’anni dal tracollo del terzo reich qualcuno avrebbe parlato di tedeschi d’Austria?
L’Ucraina fino a pochi giorni fa aveva una legislazione rispettosa della “convivenza linguistica”: hanno avuto la cittadinanza ucraina tutti coloro che risiedevano nel paese al momento del collasso dell’URSS e nelle regioni a maggioranza russa il russo è stato a lungo la seconda lingua ufficiale; poi collassato il governo Yanukovic il parlamento ha cancellato lo status particolare della lingua russa.
In Italia è stata veicolata l’immagine di un paese spaccato a metà, ove la parte filo UE parla ucraino, mentre la parte filorussa parla russo; la realtà è meno lineare poiché, soprattutto nelle grandi città è molto diffuso il bilinguismo. Dice Dari, nato in Ucraina nei primi anni ottanta, che la lingua in cui ha imparato a parlare da bambino è il russo, la lingua della sua famiglia; ha studiato l’ucraino a scuola, ma non in modo particolarmente approfondito, perché nell’era dell’URSS bastava il russo, era allora una lingua franca e forse in parte lo è ancora. In tutte le grandi città vi sono emittenti tv e radiofoniche che trasmettono in russo. Quindi se nell’est europeo si può parlare di identità linguistica , in alcuni paesi come l’Ucraina sarebbe forse più corretto parlare di semi-identità. Tra l’altro la parte occidentale del paese lavora da vent’anni alla costruzione di un’identità linguistica, ma non ha alcuna risorsa economica; la parte orientale, quella più industrializzata, ha qualche risorsa economica ma è in cerca di un’identità.
La Russia e l’occidente
Mentre gli Stati Uniti hanno, incessantemente anche se con particolare foga durante l’amministrazione di Bush figlio, cercato di attirare il più possibile i paesi ex URSS nella loro orbita a discapito delle mai celate ambizioni di restaurazione dell’impero di Putin, l’Unione Europea non è stata in grado di sintetizzare una linea politica comprendendo paesi filoamericani come la Gran Bretagna, paesi a tratti a russofobi come la Polonia e paesi desiderosi a intrattenere buoni rapporti con Putin, si pensi alla Germania ma anche alla Francia ed all’Italia.
In tema di diritti gli Stati Europei sono stati spesso impalpabili e inqualificabili, per anni leader europei di primaria rilevanza hanno fatto a gara ad accreditare Putin come statista, e hanno fatto finta di non vedere la crudele repressione del dissenso del governo di Mosca. Quando fu assassinata la giornalista Anna Politkovskaja probabilmente su commissione del governo russo non vi fu una reazione adeguata e nulla gli europei hanno detto quando Putin ha messo fuori gioco con mezzi discutibili importanti concorrenti politici. D’improvviso, in concomitanza con le Olimpiadi di Sochi, molti leader europei hanno attaccato Putin per il trattamento riservato in Russia agli omosessuali. Su Limes Dario Quintavalle polemizza attaccando i capi di governo europei che denunciano (giustamente) la Russia di Putin per il trattamento riservato agli omosessuali, ma non spendono una parola per la privazione dei diritti della cittadinanza subita dai russofoni fuori dai confini della Russia. Tra l’altro sarebbe bello sapere cosa pensano i leader europei dell’Ucraina e della Georgia; a loro parere è bene che aderiscano alla Nato? Sono potenziali candidati per l’adesione all’UE?.
In estrema sintesi gli europei dovrebbero prendere le distanze dalla liberticida Russia di Putin, ma allo stesso tempo dovrebbero fare pressione sugli Stati, alcuni dei quali membri dell’UE, che discriminano i cittadini di lingua russa e trattano i residenti russofoni come stranieri. Tali discriminazioni sono una delle più significative cause di instabilità politica in Europa.
Inutili secessioni
Una scissione del paese costituirebbe l’epilogo più drammatico della vicenda; non sappiamo chi ne trarrebbe beneficio tra USA e Russia, ma avrebbe di sicuro impatti negativi per gli Ucraini e per l’UE. I paesi europei finirebbero per prendere atto del fatto individualmente ed in tempi diversi. Si ricordi che gli accordi di Monaco del 1938 che concessero ai Sudeti, in gran parte di lingua tedesca, di secedere dalla Cecoslovacchia e il tracollo della Jugoslavia portarono entrambi ad una guerra cruenta. Al di là del principio dell’intangibilità dei confini una scissione servirebbe a ben poco in una terra ove non è possibile con una matita individuare stati linguisticamente omogenei, ove le identità sono discutibili ed ove in pochi anni, a causa di fattori demografici, i rapporti di forza tra i diversi gruppi possono variare in maniera consistente. Un ambasciatore di uno stato dell’ex Jugoslavia faceva spesso una battuta: la Serbia è come la Nokia, ogni anno abbiamo un suo modello più piccolo. Le secessioni dalla Serbia non hanno aiutato a risolvere le contraddizioni emerse dalle guerre balcaniche degli anni novanta.
Il politologo di origini polacche Zgbiniew Brzezinski suggerisce che l’Ucraina possa diventare uno Stato neutrale, come fu la Finlandia durante la guerra fredda; uno Stato che non faccia parte né della NATO, né dell’UE, né di un’organizzazione a cui prende parte la Russia; con questa soluzione di compromesso le cancellerie europee uscirebbero da una situazione difficile ad imbarazzante e Bruxelles avrebbe finalmente una posizione sull’Ucraina.
Salvatore Sinagra
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