L’Unione, la crisi e i tentativi di regolamentare economia e finanza (di Salvatore Sinagra)

Almeno dal 2007 tra gli operatori finanziari è diffusa la consapevolezza di una profonda crisi, dal 2008 la crisi è conclamata e dal 2010 si parla della tragedia greca e dei rischi che corre l’Euro. Che piaccia o no, solo l’amministrazione Obama ha fatto qualcosa di concreto, con il Dodd Frank Act. In America la legge che pretende di regolare la finanza è stata approvata nel 2010 ed è già a regime da circa tre mesi, in Europa, ormai da molti considerata l’epicentro della crisi, ci sono una serie di proposte sul tavolo, per certi versi più organiche di quelle approvate dall’amministrazione Obama, ma nulla è stato ancora fatto (con l’eccezione dei meccanismi d’intervento a favore degli stati a rischio default) e non c’è certezza alcuna sulle scelte future.

L’intervento più pubblicizzato è la tobin tax, una tassa sulle transazioni finanziarie, che avrebbe almeno diversi vantaggi: dare autonomia finanziaria all’Unione Europea e di conseguenza darle legittimazione e dare un segnale ai mercati. Il dibattito è articolato, sia perché paesi che vantano piazze finanziarie importanti come la Gran Bretagna, l’Olanda e la Svezia è certo che almeno inizialmente non introdurranno la tassa (il gettito originariamente stimato dalla Commissione europea in circa 60 miliardi di euro l’anno sarà quindi inferiore), sia perché alcuni economisti paventano il rischio della fuga dei capitali dal vecchio continente, sia perché non c’è accordo su importanti dettagli (alcuni Stati vorrebbero riscuotere la tassa tagliando fuori la Commissione). Oltre alle divergenze, però, tale tassa ha creato anche importanti convergenze: ha unito in  Italia due quotidiani di diversa estrazione come l’Unità e l’Avvenire, ha messo insieme il tecnico liberista Monti, la democristiana Merkel e il socialista Hollande, e, per la prima volta, ha unito est ed ovest: infatti due piccole repubbliche di quella che una volta veniva definita Europa Orientale, la Slovacchia e l’Estonia, note per una legislazione fiscale dogmatico-liberista hanno dichiarato il loro intento di adottare il provvedimento.

La tobin tax potrebbe contribuire a sfatare il mito di una Bruxelles schiava della finanza apolide e potrebbe rilanciare l’idea di una dimensione sociale dell’Europa voluta fortemente dal presidente della commissione Delors a cavallo tra anni gli ottanta e gli anni novanta.

Altre proposte interessanti sono quelle del rapporto Liikanen, che tra le altre cose propone, sulla scia dell’esempio americano, di limitare la possibilità per le banche di deposito di fare investment banking e attività di speculazione. Sorprende che i giornali italiani abbiano coperto di più il dibattito americano su tali questioni nel 2010 di quanto stiano facendo oggi con il dibattito europeo. Si attendono in proposito le posizioni dei leader nazionali.

Infine c’è il tentativo di attribuire alla Banca Centrale Europea il compito di vigilare sugli istituti di credito europei, ovvero la così detta Unione Bancaria, fondamentale, come ha detto il vicepresidente del parlamento europeo Pittella per spezzare il legame tra rischio sovrano e rischio bancario.

Le mie critiche ai regulators europei sono essenzialmente tre: in primis hanno perso troppo tempo per decidere (ma forse sarebbe a proposito utile ricordare che a trattati vigenti in Europa nemmeno superman avrebbe potuto essere celere come Obama); poi temo che sia la tobin tax che le misure del rapporto Liikanen non siano abbastanza accurate nel distinguere tra attività con ordinario rischio e speculativo (il governo Monti è pronto a varare una tobin tax che, per esempio, non prevede un’aliquota più alta di quella ordinaria sulle transazioni su derivati acquistati con intento speculativo); mi chiedo, inoltre, se non sia opportuno iniziare a regolamentare in modo più concreto comparti dell’economia diversi dalla finanza (si pensi ai provvedimenti contro l’evasione fiscale, alla sicurezza sul lavoro e all’ambiente, ad interventi volti a limitare le bolle speculative sugli immobili).

Infine c’è un tema che mi preme, quello delle agenzie di rating. Quando, per i titoli italiani a dieci anni il mercato chiedeva il 7%, nel vecchio continente non si faceva altro che parlare di agenzie di rating e qualcuno si spingeva ad ipotizzare anche un’agenzia europea, le istituzioni UE facevano la voce grossa e la signora Merkel gridava contro i giudizi insensati di Moody’s, Fitch e Standard and Poor’s. Sono passati tre o quattro mesi, il rendimento dei titoli di Stato italiani è sceso di qualche punto e nessuno parla più di riforma delle agenzie di rating. Governanti e regulators hanno forse dimenticato della loro esistenza?

Salvatore Sinagra

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