Ma davvero sono basse? I veri importi delle pensioni italiane
Nel realizzare il Settimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, redatto dal Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali rigorosamente sui bilanci degli enti previdenziali, era impossibile non riflettere e verificare i contenuti che annualmente l’Istat diffonde in tema di pensioni, argomento – come noto – ultrasensibile per tutti i lavoratori di questo mondo e, in particolare, di quelli italiani.
È ormai sperimentato che queste notizie, se non spiegate, sono delle vere e proprie “bombe sociali” tali da condizionare assai negativamente i comportamenti dei cittadini. Affermazioni del tipo “Il 36,3% dei pensionati italiani può contare su un assegno al di sotto dei mille euro lordi, il 12,2% non supera i 500 euro. Un pensionato su quattro (24,7%) si colloca, invece, nella fascia di reddito superiore ai 2.000 euro lordi”; o a, ancora, come “l’ampia disuguaglianza di reddito tra i pensionati: al quinto degli italiani con redditi pensionistici più alti va il 42,4% della spesa complessiva” scatenano una serie di reazioni che possono: a) sfociare nella rabbia per l’ingiustizia sociale tra i tanti pensionati “alla fame” e i pochi che stanno bene; b) generare nei giovani un senso di sfiducia nel sistema: “se le pensioni sono così basse oggi, perché versare i contributi quando a noi la pensione non la darà mai nessuno?”; c) incentivare il lavoro in nero: “se tanto la pensione è bassa e comunque fino a circa 500 euro al mese ci pensa lo Stato, perché versare?”.
Nell’analizzare le pensioni per classi di importo e tipologia (argomento non dichiarato dall’Istituto), emerge che le cose non sono così. Non c’è alcuna disuguaglianza tra i pensionati, semmai la situazione è più sfavorevole per i percettori di pensioni medie e medio-alte che, da anni, non sono indicizzate all’inflazione, e che, oltre i 100mila euro sono state “tagliate”, senza un metodo scientifico: solo un taglio; il contrario di ciò che dice Istat. E questo, vista l’autorevolezza dell’Istituto, che va difeso a tutti i costi, è gravissimo.
Proviamo allora a spiegare la situazione in modo “controcorrente”. Innanzitutto, su 16 milioni di pensionati circa la metà è totalmente o parzialmente assistita dallo Stato, quindi da tutti noi attraverso le tasse che paghiamo: già questa notizia da “terzo mondo” dovrebbe far sobbalzare anche il più inesperto dei tecnici e dei politici, ma finora nessun sobbalzo.
Circa 800mila pensionati (il 5,12%) usufruiscono della pensione o assegno sociale. Cosa vuol dire? Che fino a 66 anni sono stati sconosciuti al fisco nel senso che non hanno mai pagato né contributi sociali e neppure le imposte dirette, ma…, allo scoccare del 66° anno, come per incanto, si sono palesati al fisco e all’INPS richiedendo il “diritto” ad avere un assegno mensile adducendo l’assenza di redditi (se lavorano in nero o nel malavitoso non ci sono fogli paga) e di beni oltre la prima casa (nel senso che gradualmente, se ne avevano, li hanno passati ai loro parenti). Uno Stato normale dopo una certa età (33/36 anni), come succede in Svizzera o Germania, avrebbe chiesto al soggetto sconosciuto di cosa vive prendendo i relativi provvedimenti. Da noi, no: siamo buonissimi! E così senza fare domande, a presentazione di un discutibile Isee, paghiamo a piè di lista, senza discutere e anzi, qualcuno propone pure di aumentarle queste prestazioni assistenziali a danno delle pensioni più alte. Domanda per Istat: è una disuguaglianza o, salvo i casi meritevoli per motivi di salute o altro, è un danno nei confronti dei cittadini onesti?
Ci sono poi altri 2,9 milioni di pensionati (il 18,2%) che beneficiano della cosiddetta “integrazione al minimo” (513 euro al mese). Questi ex lavoratori sono stati parzialmente sconosciuti al fisco in quanto in 67 anni di vita non sono riusciti nemmeno a versare 15/17 anni di contribuzione: che hanno fatto nei trent’anni precedenti? Anche qui nessuna domanda; Isee e pagamento a piè di lista. Ci sono circa 800mila altri pensionati (il 5%) che sono in una situazione uguale a quella precedente ma che, per legge, prendono la “maggiorazione sociale” di 630 euro mensili per 13 mesi; anche qui stesso discorso: pagamento a domanda. E siamo così arrivati al 28,3% dei pensionati che, come si sarà capito, non hanno subito un’ingiustizia sociale, ma beneficiano di un sussidio quale ringraziamento per 66 anni di vita senza pagare tasse e contributi.
Tabella 1 – Prestazioni pensionistiche e relativo importo annuo complessivo e medio per tipologia di pensione negli anni 2017 e 2018
Poi abbiamo circa 160mila pensioni di guerra (1%): sì, avete capito bene; di guerra relative al 1945. Ovviamente sono basse, anche perché molte sono a beneficio dei superstiti dei superstiti. A buona parte di questi pensionati, circa 2,4 milioni, in prevalenza donne, viene erogata la cosiddetta quattordicesima mensilità che, insieme ad altre prestazioni assistenziali, aumenta un pochino le pensioni di cui sopra. Infine, ci sono 2.743.988 prestazioni di invalidità civile (17%) di cui 582.730 che hanno solo la pensione di invalidità, 1.764.164 con la sola indennità di accompagnamento e 397.094 percettori di entrambe le prestazioni, che si sommano ai circa 1,158 milioni di invalidi previdenziali INPS (7,2%) e alle 716mila prestazioni Inail per le inabilità o invalidità da infortuni sul lavoro. Sono tutte pensioni modeste anche se spesso integrate con “l’indennità di accompagnamento” per i non autosufficienti: totale generale delle pensioni sotto i mille euro, 53%.
L’Istat dovrebbe anche spiegare ai cittadini che circa 8 milioni di pensionati su 16 milioni non ricevono pensioni ma benefici assistenziali sui quali non gravano imposte. L’IRPEF, circa 50 miliardi, grava sul 40% di pensionati che prendono più di 1.200 euro al mese e, soprattutto, su quel 24,7% di pensionati con prestazioni da 2 mila euro in su; cioè sulle pensioni vere, quelle pagate con contributi e tasse. Poiché, come spiega il Settimo Rapporto Itinerari Previdenziali, sono in pagamento circa 23 milioni di prestazioni per 16 milioni di pensionati, significa che ogni pensionato prende 1,42 prestazioni e che l’importo medio è pari a oltre 18mila euro l’anno: un bello stipendio che, se spiegato correttamente, incentiverebbe i giovani a credere nel nostro sistema previdenziale che – al netto dell’assistenza – è sano. Se poi escludiamo le pensioni assistenziali, l’importo medio delle pensioni vere passa a 25.590,43 euro annui lordi. Identiche considerazioni per le donne: è vero che hanno redditi mediamente più bassi (non solo in Italia per la verità) ma, se consideriamo che l’80% delle pensioni di reversibilità è rosa, sapendo che nel migliore dei casi l’importo di queste prestazioni è il 60% della pensione originaria, la media non può che essere più bassa.
Tabella 2 – Numero di prestazioni assistenziali e relativo importo annuo, complessivo e medio, per tipo di prestazione – Trattamenti vigenti al 31 dicembre 2017 e 2018
Detti così i numeri sono gli stessi di altri studi, ma il senso è profondamente diverso. Un pensierino a spiegarli meglio sarebbe utile.
Alberto Brambilla presidente Centro studi e ricerche itinerari previdenziali
tratto da:https://www.ilpuntopensionielavoro.it
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