Manifattura ed export sono la forza dell’Italia

Nei giorni passati a studiare la distribuzione degli incarichi nel nuovo governo Giorgia Meloni ha già avuto modo di accennare più volte al “disastro” che il precedente governo avrebbe lasciato in eredità a quello entrante. Abituata ai comizi fatti di affermazioni categoriche per incitare i sostenitori la Meloni non ha spiegato in cosa consisterebbe tale “disastro”. Le nude cifre parlano di conti pubblici miracolosamente in equilibrio con più di 50 miliardi distribuiti in aiuti sull’energia senza aumentare il debito. Sul PNRR si è già dovuta rimangiare il giudizio superficiale di ritardi che ne complicherebbero l’attuazione. Draghi in persona le ha ricordato, dati alla mano, che, finora, si è rispettata la tabella di marcia concordata con la Commissione europea, tanto è vero che i soldi sono puntualmente arrivati.

Per quanto riguarda l’economia il diffuso scontento italico abituato alle semplificazioni ruota intorno ad idee di tracolli e debolezze irrimediabili che semplicemente non corrispondono alla realtà. Da anni il prof Marco Fortis economista dell’Università Cattolica e direttore della Fondazione Edison si è scelto il ruolo di chi mette i puntini sulle “i” e sull’economia la vede nel modo riportato in un’intervista a www.industriaitaliana.it. Ne ripercorriamo i passaggi di maggiori rilievo.

“Il contesto mondiale ed europeo non è mai stato così sfavorevole come negli ultimi due- tre anni, è vero, prima per la pandemia e poi con la guerra russo-ucraina, perché i rialzi dell’energia mettono sotto stress la filiera, soprattutto i settori energivori. E determinano aumenti di costi, che poi si scaricano a valle anche su altri settori. In sintesi, oggi il contesto sotto il profilo energetico è pessimo. Sul fronte dei mercati, a eccezione degli Usa, dove le nostre esportazioni vanno bene anche grazie al cambio basso dell’euro, abbiamo l’Asia molto dissestata, la Cina è un mercato fermo perché al momento è in una situazione difficile per il protrarsi del Covid, è un paese che ha sbagliato la strategia vaccinale, e sta affrontando i problemi con un paio di anni di ritardo. In Italia, invece, negli ultimi sei trimestri, con il governo Draghi, il Pil è cresciuto del 7,9%, considerando l’ultima revisione Istat. Nello stesso periodo, la Cina è cresciuta soltanto del 2,7%, la Germania del 2,1%, gli Stati Uniti del 5,1%, il Giappone dell’1,5%.

È un momento difficile per la Cina. L’Italia, invece, è stata molto abile a sostituire su alcuni mercati, come quello statunitense, i prodotti che non arrivano più.

Un po’ di impatto negativo lo abbiamo avuto. Ma noi abbiamo un sistema di filiere interne, non globali ma fra settori italiani, i famosi distretti, che ci ha permesso di reggere meglio di chiunque altro questa fase in cui la globalizzazione ha mostrato la corda per tanti motivi. Le filiere italiane dei distretti sono un’arma vincente. Quando i teorici della globalizzazione dicevano che il nostro sistema era antidiluviano, sbagliavano. Se oggi l’Italia è così forte, lo si deve a due fattori, nell’industria: le filiere sul territorio, e l’ampia diversificazione della produzione e dell’export. Secondo un indice dell’Unctad (Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo), siamo il paese al mondo con la più alta diversificazione dell’export in termini di prodotti. Diversamente dal modello tedesco, caratterizzato da una grande manifattura (auto, elettromeccanica) in ginocchio per la crisi della globalizzazione causata dal Covid, l’Italia ha una diversificazione tale dell’export che riesce a stare in piedi anche con componenti che scarseggiano.

La nostra industria è unica al mondo. Lo è sempre stata anche quando veniva criticata, perché dicevano che avevamo troppe imprese micro. Ma persino le imprese micro, con meno di 20 addetti, che sostanzialmente sono sub-fornitori, sono un elemento di forza all’interno dei distretti, anche se hanno bassa produttività. Se saliamo di dimensioni, vediamo che le nostre imprese, sia le piccole dai 20 ai 50 dipendenti, sia quelle medie fino a 250 addetti, hanno una produttività più alta delle corrispondenti imprese tedesche. E anche le medio grandi e grandi, sopra i 250 dipendenti, se escludiamo l’auto, hanno a loro volta una produttività più alta della Germania».

Nel biennio 2017-2018, tutti i settori della manifattura hanno toccato i massimi storici di investimenti in macchinari.

In termini di competitività siamo al primo posto. La nostra bilancia commerciale supera i 100 miliardi di dollari. Solo cinque paesi al mondo hanno numeri del genere: Cina, Germania, Giappone, Corea e Italia. Ma noi abbiamo una popolazione meno numerosa, e la manifattura è concentrata nel Nord e nel Centro Italia. È come se avessimo solo mezza Italia, che produce come paesi molto più grossi. È qualcosa di straordinario.

L’inflazione veleggia al 9 per cento, ma è nominale. Perché tante misure introdotte dal governo Draghi, anche se poco reclamizzate, hanno permesso di accrescere il potere d’acquisto degli italiani controbilanciando il rincaro dei prezzi. Per esempio, un lavoratore autonomo, grazie all’assegno unico universale varato dalla ministra Bonetti, se per esempio ha due figli, prende 3mila euro all’anno (mediamente 1500 euro a figlio) che prima non aveva, perché gli autonomi non avevano mai goduto in passato di assegni familiari o detrazioni fiscali. Poi, ci sono stati gli interventi sui carburanti, sulle componenti di oneri di sistema energia e gas. I dati Istat di ottobre sul potere d’acquisto nel secondo trimestre 2022 dimostrano che le famiglie non hanno consumato di più perché hanno dato fondo ai loro risparmi, ma perché è stato sostanzialmente preservato il loro potere d’acquisto.

(Per leggere il testo integrale dell’intervista collegarsi al seguente link)

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