Migration compact, la proposta dell’Italia all’Europa
Il Migration Compact – un nome non proprio beneaugurante, visti i timori e i contrasti sollevati dal più famoso Fiscal Compact – è un testo che contiene molte idee interessanti e in parte innovative.
La proposta italiana sull’immigrazione presentata informalmente al Consiglio Affari Esteri dell’Unione europea è anche un bel segnale di un ritrovato attivismo del nostro paese su alcuni temi cruciali cui oggi l’Unione deve fare fronte.
Il contributo del governo Renzi
Segue altre importanti iniziative del governo Renzi, dal contributo italiano al Rapporto dei Cinque presidenti sul tema della governance economica fino alla più recente proposta del ministro Pier Carlo Padoan sulla strategia di crescita, lavoro e stabilità. Non vi è dubbio che oggi il tema che angustia di più il governo sia quello di una ripresa massiccia dei flussi dalla Libia e dai paesi limitrofi (l’Egitto?).
A marzo di quest’anno, gli sbarchi sulle nostre coste hanno toccato i 9600 arrivi contro i 2283 dello stesso mese del 2015, senza contare le tragedie del mare cui giornalmente assistiamo, da ultima quella di lunedì scorso, al largo della Libia. E il trend sembra non invertire la rotta. È quindi urgente riaffrontare l’intera questione ed è ciò che il nostro non-paper cerca di fare.
I punti del testo italiano
Tre sono gli assunti di base su cui si fonda il Migration Compact.
Il primo è che l’immigrazione non è solo un tema emergenziale ma strutturale, destinato quindi a durare negli anni. Va perciò affrontato con un’ottica di medio-lungo periodo. Esso riguarda in particolare l’Africa. È questa una sottolineatura molto importante, poiché fa comprendere che una volta usciti dall’emergenza provocata dalla guerra civile in Siria, la questione è destinata a concentrarsi quasi unicamente sul fronte africano e non certo su quello mediorientale. In questa prospettiva, più che di rifugiati si ritorna a parlare di immigrati spinti da motivazioni economiche, anche se i conflitti non mancano neppure in Africa.
Il secondo aspetto che riguarda l’immigrazione è la sua complessità: essa non si limita ai soli aspetti relativi al diritto di asilo o di ricollocazione, ma anche a questioni attinenti alle politiche di sviluppo e alla sicurezza. È quindi necessario agire sulla base del principio di coerenza, mettendo nello stesso basket le diverse iniziative, gli strumenti e le politiche dell’Ue, indirizzandole verso l’obiettivo centrale di una più efficace gestione dell’immigrazione.
Il terzo assunto è il riconoscimento della forte dimensione esterna della questione.
L’immigrazione è infatti parte sostanziale della politica estera e di sicurezza dell’Unione, poiché solo attraverso l’alleanza con i paesi terzi, di origine e transito dei flussi migratori, sarà possibile arrivare a risultati concreti e di lungo periodo. A tale proposito, si propone un profondo ripensamento dei vecchi accordi Ue/Acp e lo sviluppo di modelli di cooperazione come quello, forse in parte contestabile, con la Turchia o il Piano di Azione uscito dal Vertice della Valletta con l’Unione africana.
L’agile documento presentato dall’Italia propone quindi un Grand Bargain fra Unione europea e paesi terzi africani, e lo fa attraverso una serie di suggerimenti estremamente concreti sia sul versante degli strumenti che delle iniziative legislative da prendere da entrambe le parti.
Nodi problematici
Ed è proprio qui, come era prevedibile, che cominciano le vere difficoltà. Non vi è dubbio, infatti, che sarà molto difficile ottenere credibili misure di controllo dei confini interni da parte dei vari paesi africani, come pure sarà tutta in salita la strada per aiutarli a costituire degli uffici (delle specie di hot spot) sul loro territorio che riescano a valutare le richieste di emigrare. Come pure sarà una sfida convincere molti di loro a riprendersi gli emigrati che dovessero venire respinti dall’Unione.
Ma in verità i maggiori ostacoli si manifesteranno all’interno dell’Unione. Basta vedere come sono andate finora le proposte della Commissione sulle quote di ricollocazione o le decisioni di diversi governi europei, anche guidati da socialdemocratici come è il caso dell’Austria, di erigere barriere e fili spinati sui confini interni dell’Ue.
Idea Eurobond
Il documento italiano, da questo punto di vista, cerca di indicare una serie di strumenti innovativi che portino ad un consistente aumento delle risorse a disposizione. A parte il riordino degli strumenti finanziari esistenti per la politica di vicinato e per le associazioni, la novità principale della proposta consiste in due tipi di bond europei: uno destinato ad agire da moltiplicatore per investimenti direttamente in Africa (EU-Africa bond); l’altro per l’aiuto da destinare ai paesi membri dell’Unione europea nella gestione dell’immigrazione.
Come vi era da aspettarsi, appena è giunto alle orecchie tedesche il termine “bond” – debito collettivo dell’Ue – si sono immediatamente eretti i cavalli di frisia del governo, o almeno di alcuni suoi rappresentanti, volti a scoraggiare idee di questo tipo. In effetti il progetto di emettere bond europei troverà resistenze di tutti i tipi anche perché alla fine la decisone dovrà essere unanime a 28, e non solo per i paesi della zona euro.
Tuttavia, da qualche parte bisognerà pure cominciare e la proposta italiana ha l’indubbio merito di smuovere le acque torbide che soffocano una vera presa di coscienza del tema dell’immigrazione. Gli stessi tedeschi hanno controproposto una tassa sulla benzina, non si sa con quale fondamento. Ma in ogni caso, qualcosa si muove.
Mancano le alleanze
La proposta va quindi portata avanti con determinazione. Ma con chi? Qui, a nostro parere, si palesa invece la debolezza dell’iniziativa: non essere stata concordata a priori con alcuni nostri partner europei, a cominciare dai paesi del sud Europa, ma anche con alcuni fra i più aperti del nord dell’Unione. Magari valeva la pena tentare un primo approccio con la stessa Germania.
Insomma è mancato da parte italiana lo sforzo di creare a priori un fronte di paesi a sostegno della nostra proposta. Un Coalition building è la precondizione necessaria al successo delle proposte. Altrimenti il rischio è di lanciare una buona idea che poi, venendo solo da noi, rischia di essere tacciata di nascondere un conflitto di interessi. L’unico segnale buono fino ad oggi è la benevola attenzione dimostrata dalla Commissione. Ma, come ci dimostra l’esperienza recente, essa non è da sola sufficiente.
Gianni Bonvicini tratto da http://www.affarinternazionali.it
Uscire dalla improvvisazione é l’unica strada percorribile. Coinvolgere i paesi di origine é un primo segnale intelligente e d’altra parte non si può continuare a voltarsi dall’ altra parte. Gli euro Bond possono essere considerati un primo segnale di responsabilità collettiva.