Milano: diario lombardo della pandemia
La fase 2, ammesso che sia iniziata, io, da Milano, la vedo così.
L’Italia rimane l’unico Paese dove la situazione si gestisce con interventi uguali (o quasi) su tutto il territorio nazionale. Tale scelta è figlia di un tentativo di Conte di non complicare i rapporti già difficili con la regione Lombardia. Di fatto lo stesso Fontana ammette (a modo suo) la realtà. Che è abbastanza evidente: oggi può ripartire gran parte del Paese, ma non tutto il Piemonte, tutta la Lombardia, parte della Liguria, le province di Piacenza, Rimini e Pesaro Urbino.
In Italia buona parte dei quasi 30.000 morti sono concentrati nella fascia over 80. Ci siamo fermati per salvare le vite degli anziani. A noi più giovani è stato imposto un sacrificio che a me non piace, ma che era doveroso fare.
Ora, se io mi fermo obbedisco, come ieri ha ricordato Papa Francesco, alle leggi dello Stato anche se non condivido i singoli provvedimenti. I politici, come, sempre Papa Francesco ha brillantemente ricordato, si trovano di fronte a scelte difficili. La probabilità di errore è alta, è difficile non deludere tanti, tuttavia mi piacerebbe che dietro le scelte ci fosse un disegno. Ci fermiamo due mesi, va benissimo, poi però ripartiamo quando alternativamente:
- abbiamo debellato completamente il virus (strada poco praticabile nelle sopra citate aree critiche del paese e anche in altre); 2 ) abbiamo potenziato il Servizio sanitario nazionale, ci siamo attrezzati per il tracciamento dei casi e abbiamo metabolizzato nuove consuetudini (es. il distanziamento sociale); 3) abbiamo circoscritto il problema abbassandone l’intensità.
Un mix della seconda e terza alternativa appare praticabile in gran parte del Paese (ma i risultati non possono esserci subito e dappertutto). Onestamente, se mi fate fermare e poi mi fate ripartire con gli stessi morti di quando ci siamo fermati, io non capisco. Quasi 30.000 morti dichiarati, forse 60.000 reali. Nel caso di un secondo picco, arriveremmo ad un numero di morti da strategia dell’immunità di gregge attraverso la malattia e non grazie al vaccino. Ecco, non mi parrebbe un bel lavoro.
Infine, Milano. Con una situazione mediamente più critica del resto del paese (se non con numeri in aumento) la domanda giusta non è “quando ripartire” ma “come”!
E ve lo dice uno che non vede l’ora di tornare alla sua vecchia vita, alla routine dell’ufficio, alla chiacchiera alle macchinette da cui viene fuori uno spunto per il lavoro o a quella sui miei viaggi low cost, al caffè con la pallina di gelato da Toldo con amici o con qualcuno conosciuto in mensa, all’aperitivo, al dopo cena in Via Padova o sui navigli.
Oggi, per esempio, i vertici di Trenord e ATM scrivono a Conte chiedendo di ripartire con mascherine obbligatorie, ma senza distanziamento sociale perché così il sistema dovrebbe andare al 20-25% della sua capacità. Io non la vedo come loro, ma ritengo che, se qualcuno pensa si possa tornare tutti al lavoro, prendere i mezzi tutti alla stessa ora e mantenere le distanze di un metro, evidentemente non è mai andato al lavoro con i mezzi pubblici in una grande città.
A Milano possiamo stare a distanza in metropolitana solo se torniamo al lavoro in modo diverso. Solo se i mezzi li prende il 10-15% della vecchia utenza per volta, scaglionato in orari diversi, solo se i mezzi sono presidiati all’ingresso per regolare l’afflusso, solo se c’è qualcuno che verifica anche dentro. Io ho preso i mezzi per anni in tre grandi città diverse, le nuove regole il singolo le rispetta per tre giorni poi il tam-tam prevale sulla responsabilità, sul buon senso, sulla paura.
Giusto nello spirito di chiedersi cosa posso fare io per il paese e non cosa può fare il paese per me, io, che non ho patologie, posso farmi 4 chilometri in bici (8 al giorno) per andare in ufficio. Ma questo lo posso dire io per me stesso. Se c’è bisogno di numeri importanti, certe cose o si impongono o non si fanno. Non è possibile la delega al buon senso ed alla buona volontà dei singoli. Convincere, però, è sempre possibile ed auspicabile.
I mezzi pubblici sono una parte fondamentale del sistema Milano. A che serve rispettare costose regole al lavoro se ci ammaliamo per andarci?
Dicono in tanti “dobbiamo imparare a convivere con il virus”. Giusto. Allora chiediamoci cosa dobbiamo fare per schivare questo virus. Perché imparare a convivere con la paura del virus e rassegnarsi alle morti non vuol dire imparare a convivere con il virus e tanto valeva non fermarsi due mesi
Salvatore Sinagra
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