Minori: cambiare sesso o curare il disagio psichico?
Alcuni estratti da un articolo di Marina Terragni pubblicato sulla sua bacheca facebook e sul Foglio (qui).
La “terapia affermativa” per i bambini con disforia di genere è stata inventata in Olanda a metà anni Novanta e poi esportata in tutto il mondo. Intorno ai 9-11 anni la pubertà viene “bloccata” con triptorelina, farmaco normalmente utilizzato per cancro alla prostata, carcinoma mammario e altre patologie; a 16 si passa agli ormoni cross-sex (testosterone ed estrogeni) e alla chirurgia: ma negli USA la doppia mastectomia è stata praticata anche su bambine di 13 anni.
Il “protocollo olandese” è questo, e per anni qualunque cosa tu avessi da dire eri transfobico e fascista. Almeno finché la bomba non è scoppiata proprio nei paesi pionieri del trattamento, UK, Grande Nord, la stessa Olanda, una trentina di stati USA, ultimo il New Hampshire, Australia, Nuova Zelanda. In questi giorni la discussione si sta aprendo anche in Canada, roccaforte della terapia affermativa: quel trattamento è sperimentale, non ci sono prove che migliori il benessere dei bambini, gli effetti collaterali sono pesanti e irreversibili. Perfino il “New York Times”, dopo avere perseguitato per anni JK Rowling e giubilato varie firme “resistenti”, dedica una fluviale e compassionevole inchiesta al dramma dei detransitioner, ragazze/i farmacologizzati fin da bambini che si pentono e provano a tornare indietro, temibili contro-testimonial della terapia affermativa.
In Italia la triptorelina si usa per la disforia dei minori dal 2019. Di questi 5 anni non si sa nulla: numero dei pazienti trattati, modalità di trattamento, esiti delle “terapie”. Dalla recente ispezione al Careggi, eccellenza tra la ventina di centri italiani dedicati, trapelano notizie preoccupanti: almeno in alcuni casi il farmaco sarebbe stato somministrato senza la preliminare psicoterapia indicata dalle raccomandazioni. Psicoterapia che non serve, secondo Jiska Ristori, psicologa del centro, visto che ai bambini cisgender “non viene richiesta per definire la propria identità di genere”.
Nemmeno gli olandesi la pensano come Ristori. Loro, gli inventori della terapia. È appena passata in parlamento una mozione in cui si richiede una ricerca indipendente sul “protocollo”. Il documentario “The Transgender Protocol” realizzato da Zembla, una specie di Report molto woke, ammette falle strutturali negli studi su cui si è fondato il modello terapeutico. “Siamo completamente all’oscuro” ha affermato Gerard van Breukelen, metodologo della ricerca dell’Università di Maastricht. Un altro studioso che preferisce restare anonimo dice che la ricerca olandese “non costituisce una base solida per eseguire interventi radicali e non reversibili”. Hanneke Kouwenberg, esperta in transizione, sostiene che l’unica vera cura per la disforia dei bambini è la “desistenza”, cioè dargli il tempo per fare pace con il proprio sesso biologico. Succede in 8 casi su 10. Lo dice anche la Società Italiana di Pediatria: solo nel 12-27 per cento dei casi la disforia permane nel passaggio all’adolescenza.
“Nessun intervento medico produce un corpo del sesso opposto” conclude Kouwenberg. “Gli interventi chirurgici sono solo estetici, volti a migliorare la disforia, e dovrebbero essere classificati come cure palliative. Ma la narrazione ha fatto passare la terapia affermativa come prevenzione del suicidio senza che ci fossero prove concrete della sua validità”.
Rischio-suicidio che, come vedremo, è il punto della questione.
Non esistono studi attendibili a supporto della tesi che la terapia affermativa prevenga il suicidio. Stephen B. Levine è il decano degli psichiatri americani esperti di transizione. È stato presidente della 5a edizione degli standard di cura dell’Associazione internazionale per la disforia di genere e ha fatto parte del tavolo sui disturbi dell’identità di genere per il DSM-IV dell’American Psychiatric Association. Levine è netto: “Nessuno studio mostra che l’affermazione dei bambini riduce il suicidio rispetto a un modello di risposta di “attesa vigile” o psicoterapeutico… i dati disponibili ci dicono che il suicidio tra bambini e ragazzi che soffrono di disforia di genere è estremamente raro”. E ancora: “la popolazione che si identifica come transgender soffre di un’alta incidenza di comorbilità correlate al suicidio. Ciò dimostra che ha bisogno di un’ampia e attenta assistenza psicologica, che in genere non riceve, e che né la transizione ormonale né quella chirurgica né l’affermazione risolvono i problemi di fondo”.
Un recentissimo studio americano (Williams Institute della UCLA School of Law, “Prevalence of Substance Use and Mental Health Problems among Transgender and Cisgender US Adults”, agosto 2023) dimostra piuttosto -e purtroppo- un incremento di suicidi tra le persone che hanno perfezionato la transizione con la chirurgia: il 42 per cento degli adulti trans ha tentato il suicidio rispetto all’11 per cento degli adulti cis; per l’autolesionismo le rispettive percentuali sono 56 per cento e 12 per cento.
Ma in Italia non si smette di agitare il rischio suicidio e di parlare della triptorelina come “salvavita”. la Società Italiana di Endocrinologia (SIE) sostiene che la triptorelina “riduce del 70 per cento la possibilità di suicidio” tra i minori con disforia. II blocco della pubertà continua a essere definito “transitorio e reversibile” mentre la pratica clinica e svariati studi dimostrano il contrario: gli effetti della tritptorelina non sono affatto transitori e reversibili. Secondo una ricerca pubblicata dal “British Medical Journal” a 16 anni, età in cui si passa agli ormoni cross-sex, nelle bambine e nei bambini si osserva una crescita ridotta dell’altezza e della forza ossea.
“L’uso di bloccanti della pubertà e la terapia ormonale” è scritto nel documento della commissione d’inchiesta per il Servizio Sanitario e Assistenziale norvegese “sono trattamenti parzialmente o completamente irreversibili”.
Eppure l’Osservatorio italiano sulla Medicina di Genere, organo dell’Istituto superiore di Sanità, continua a considerare il trattamento “completamente reversibile”. Idem la Società Endocrinologica Italiana. Anche la Società Italiana di Pediatria ha sempre parlato di “dimostrata completa reversibilità dei sospensori puberali”.
Maura Massimino dirige il reparto di oncologia pediatrica all’Istituto dei Tumori di Milano. “Bloccare la pubertà è come mimare la menopausa” dice. “Nel caso dei bambini fisicamente sani è come dare insulina a chi non ha il diabete. Tutta questa storia è partita come un’emergenza, in mancanza di un’adeguata riflessione e di linee guida sensate”.
Non hanno dubbi sul fatto che “qualcosa è andato molto storto” gli psicoanalisti della SPI che un anno fa in una lettera indirizzata a Giorgia Meloni a firma del presidente Sarantis Thanopulos hanno espresso “grande preoccupazione per l’uso di farmaci finalizzato a produrre un arresto dello sviluppo puberale”. Discussione aperta anche tra gli psicoterapeuti SITCC, la maggiore società di psicoterapia in Italia, che al tema dedicherà il suo prossimo congresso.
Ma c’è dell’altro: più o meno nello stesso periodo – dal 2010- in cui si è cominciato a registrare un aumento epidemico dei casi di minori con disforia, negli Stati Uniti, in UK e verosimilmente in molti altri paesi occidentali si è verificata una crescita esponenziale dei disturbi mentali tra gli adolescenti: depressione, ansia, deficit di attenzione, iperattività (ADHD), autolesionismo, tentati suicidi. Secondo recentissimi dati del servizio sanitario britannico il numero di bambini inglesi indirizzati ai servizi di salute mentale di emergenza è aumentato del 50 per cento in tre anni: una “devastante esplosione”.
Lo psicologo statunitense Jon Haidt si occupa da anni dell’effetto dei social sulla salute mentale di bambini e adolescenti e ha pubblicato i risultati della sua ricerca in documento intitolato “I disturbi dell’umore negli adolescenti dal 2010: Una revisione collaborativa”. Nelle ragazze -visto che si tratta soprattutto di loro- l’aumento della disforia e dei problemi mentali, condizioni quasi sempre compresenti, potrebbe essere legato a un insostenibile disagio per il proprio corpo in maturazione reso oggi più acuto dai modelli irraggiungibili proposti dai social, corpi iper-sessualizzati e innaturali spesso modificati da chirurgia e filtri. Mark Zuckenberg si è recentemente scusato davanti al Congresso Usa per i danni causati ai bambini dalle sue piattaforme, bullismo, abusi sessuali, sfruttamento e via dicendo: forse dovrebbe scusarsi anche per questo.
Si tratta di amarli di più, bambine e bambini, che restino liberi di significare la propria unicità e differenza rompendo la gabbia angusta degli stereotipi di genere. Non c’è alcun bisogno di medicalizzarsi a vita. La libertà non si compra da Big Pharma.
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