Multipolarismo? Eccolo: guerre e terrorismo

Sull’ipotesi due popoli due Stati sono più o meno d’accordo tutti, tranne i diretti interessati, Hamas e il Governo d’Israele. Non tutto Israele, e probabilmente non tutta la Palestina, ma chi guida l’uno e l’altra oggi non ci pensa proprio. C’è, d’altro canto, qualcuno che sia in grado di costringerli a sedersi ad un tavolo e trattare? Non credo, anche perché stiamo entrando nell’era, da molti auspicata, del multipolarismo.

Trent’anni fa, ci fu un momento in cui, invece, dall’una e dall’altra parte, erano maggioritarie le forze che volevano il dialogo. Arafat era il capo dell’OLP e si trovò a fronteggiare un’enorme debolezza derivante da due fattori ben precisi: da un lato la sua catastrofica scelta di appoggiare (praticamente unico al mondo) Saddam Hussein contro l’ONU. Dall’altro, la crisi irreversibile, che poi portò alla fine, dell’URSS. Indebolito e isolato, Arafat cambiò dall’oggi al domani la sua storica politica di rifiuto dell’esistenza di Israele, e si disse disposto ad accettare un dialogo.

In Israele in quel momento c’era un governo laburista Rabin-Peres che, dopo molte esitazioni e incertezze (soprattutto da parte del primo) alla fine accettò di considerare l’OLP un interlocutore. Gli uni e gli altri, Arafat e governo di Israele, dovettero far fronte ad una fronda interna. Per Arafat, furono la jihad per la Palestina, il FPLP e, soprattutto, un movimento di non antica formazione che sino ad allora era rimasto minoritario, Hamas. Il Governo israeliano dovette invece affrontare la collera dei coloni, ben spalleggiati dalla destra e da un politico, tal Netanyahu, che cominciava a mettersi in mostra. L’esito lo conosciamo: quel dialogo, che poi portò ad Oslo, ottenne qualche risultato, ma parziale, e lontano da quello che si sperava. I nemici della pacificazione, Hamas e Netanyahu, diventarono invece i leader egemoni nel proprio campo, e i risultati si vedono.

Ma sullo sfondo, trent’anni fa, c’era ancora un mondo bipolare, seppur in crisi. Ciò che spinse Arafat al suo gesto, che poi “stanò” Israele, fu anche il fatto che Gorbaciov appoggiò la pacificazione. Gli USA, dal canto loro, erano anni che premevano per una soluzione pacifica al problema palestinese sulla base dei due popoli due stati. Essendo comune la volontà delle due superpotenze (anche se una era in crisi conclamata), alla fine si arrivò agli accordi (seppur, come detto, parziali).

Ma ora? La comunità ebraica americana, per tradizione, ha sempre inclinato verso i democratici ma, con Netanyahu, ampi settori appoggiarono Trump. Il quale ricambiò riconoscendo Gerusalemme capitale israeliana (http://tinyurl.com/5797v7zt) e spostando l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme. Netanyahu, che non si era peritato di attaccare Obama niente di meno che a Washington e al Congresso (http://tinyurl.com/2mc2uj66), ora che i sondaggi danno in testa l’amicone Trump, scommette, come Putin, sulla sua elezione. Dovesse sciaguratamente vincere Trump, da un lato darebbe a Netanyahu carta bianca, dall’altro, come ha detto più volte, tenderebbe ad una politica sovranista rinunciando a parte del suo ruolo globale. Qualcosa del tipo: sbrigatevela voi, basta che stiate lontani dagli USA. Netanyahu lo sa, e se rimanda al mittente gli inviti alla moderazione rivoltigli da Biden, è perché sa che siamo in un anno elettorale, e sa che, in caso di vittoria di Trump, questi lo lascerebbe libero di attuare la sua politica, senza che gli USA si intromettano. Fai tu.

Per Hamas, invece, non c’è proprio nessuna superpotenza di riferimento, semmai l’Iran, che superpotenza non è. Il quale Iran riesce ad avere il ruolo che ha, con Hezbollah e gli Houthi, oltre che, ovviamente con Hamas, proprio per il fatto che il vecchio mondo bipolare è morto il secolo scorso, e il mondo unipolare è più una figura retorica che altro. La realtà è che sta prendendo forma quel mondo multipolare che in molti salutavano come l’avvento di una nuova era di pace e coesistenza. I risultati, però sono questi: nel secolo scorso il bipolarismo, pur con tutte le sue sciagure (vedi Praga, ad esempio), aveva un effetto calmierante, nel senso che quando le superpotenze decidevano di finire un conflitto, quel conflitto finiva. Oggi chi è che alza il telefono e dice agli Ayatollah di starsene calmini? Putin? A parte che Putin non ne ha l’interesse, ma quand’anche ne avesse l’intenzione, ormai vediamo da mesi che l’Iran spedisce armi alla Russia, e tratta con lei quasi da pari a pari perché, per quanto Putin si illuda del contrario, ormai anche la Russia è una potenza regionale (cit da Obama).

Il multipolarismo, insomma, porta all’emersione di potenze regionali che non hanno mire globali, ma, appunto, regionali. Il problema è che in un mondo globalizzato come il nostro, vedi Canale di Suez, anche i conflitti regionali finiscono per avere contraccolpi globali. Papa Francesco da anni mette in guardia contro una terza guerra mondiale a pezzi. Ha ragione, ma, visto da altra angolazione, questo è il risultato di un mondo sempre più multipolare, nel quale non ci sono superpotenze in grado di controllare la globalità, ma l’emersione sempre più frequente di conflitti regionali. A pezzi, appunto, non la minaccia di un conflitto tra due superpotenze, ma la realtà di dieci conflitti tra venti potenze regionali o locali.

Insomma: si desiderava un mondo multipolare? Attenzione, i desideri cominciano a realizzarsi.

Jack Daniel (tratto da facebook)

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *