Il naufragio Concordia e l’Italia da portare sul ponte di comando (di Claudio Lombardi)
Come qualcosa che non possiamo allontanare il tragico naufragio della Costa Concordia ci risuona nelle orecchie e occupa i nostri pensieri con la grandezza del dramma che si è consumato a pochi metri dalla terraferma su una nave che doveva essere il massimo della tecnologia, della sicurezza, del lusso “tutto compreso” alla portata delle tasche di chi il vero lusso non può permetterselo. Chi mai avrebbe potuto immaginare che 300 metri di nave e le mille diavolerie dell’elettronica e della sapiente capacità organizzatrice che ci vuole per progettare, costruire e far navigare un “mostro” di quel genere del valore spropositato di diverse centinaia di milioni di euro e con 4 mila persone a bordo si potessero arrendere all’umana imbecillità di un solo piccolo uomo?
I naufragi delle grandi navi passeggeri hanno sempre esercitato un fascino particolare. Anche in questo caso non si sfugge. Gli elementi del dramma e della metafora ci sono tutti: la nave (siamo noi, il nostro mondo), il mare (l’ignoto che ci accoglie, ma che è troppo più grande e più forte di noi), la notte (il percorso oscuro che dobbiamo affrontare per attraversare la vita), la festa (la fiducia, l’entusiasmo, la gioia) e poi, invece della fatalità o dell’evento naturale che è sempre più forte di tutti i marchingegni che l’essere umano può inventare, la spietata cretinaggine di una persona inadeguata ad assumere responsabilità di qualsiasi tipo.
I grandi naufragi del passato hanno avuto sempre come causa un elemento naturale e un elemento umano. L’errore umano però fu pagato con la vita dai suoi responsabili come nel caso del Titanic il cui comandante Edward John Smith rifiutò di abbandonare la nave e finì così la sua vita nelle acque dell’Atlantico del nord.
Nel caso del Concordia, invece, la natura non ha alcuna colpa a meno che non si voglia credere alla prima scemenza detta da Schettino e cioè che sulle carte nautiche gli scogli davanti al Giglio non fossero indicati. No, qui c’è solo l’errore umano e siamo alla commedia all’italiana nella quale tutti possiamo immaginare un bravo attore recitare la parte inverosimile che abbiamo potuto leggere negli stralci dell’interrogatorio di Schettino e nella pura successione dei fatti. Forse neanche uno sceneggiatore avrebbe potuto far meglio.
“Navigavo a vista perché conosco bene quei fondali e altre 3-4 volte avevo fatto quella manovra. Ma questa volta ho ordinato la virata troppo tardi e sono finito in acqua troppo bassa. Non so perché sia successo, sono stato vittima dei miei pensieri.”
E ancora: “All’improvviso, visto che la nave era inclinata di 60-70 gradi, sono inciampato e sono finito dentro una di quelle imbarcazioni (scialuppe di salvataggio ndr). Per questo mi trovavo lì”
E da quella scialuppa nella quale erano “caduti” altri due ufficiali di bordo si svolgono le famose telefonate con la Capitaneria di porto di Livorno ad appena un’ora dall’inizio dell’evacuazione di 4300 persone dalla nave.
Dunque la Costa crociere seleziona ufficiali a cui affida navi di quel genere con migliaia di persone a bordo che si mettono a navigare a vista a pochissima distanza da una costa con molti scogli che sta lì da millenni e che tutti conoscono e lo fa con una nave da 300 metri e alta 52 con un pescaggio (parte immersa dello scafo), si presume, di almeno una decina di metri. Teniamolo a mente.
La successione dei fatti non ha bisogno di commento: ore 21,42 impatto con lo scoglio; ore 22,35 una motovedetta della Guardia di Finanza interviene e verifica che la nave è in assetto cioè dritta e che poteva calare tutte le scialuppe e avviare in sicurezza lo sbarco delle 4300 persone a bordo; ore 22,58 viene dato l’ordine dell’evacuazione; ore 00,32 inizio registrazione delle telefonate tra Schettino e la Capitaneria di porto con il comandante che già aveva abbandonato la nave.
Teniamo a mente anche questo. E lo stesso facciamo con l’appello della moglie di Schettino a comprendere la di lui tragedia e il di lui dramma umano e con la notizia (se vera) della solidarietà dei suoi compaesani.
Il quadro non sarebbe completo, però, senza gli altri protagonisti del dramma: l’equipaggio, i soccorritori, gli abitanti del Giglio, i crocieristi.
Tutti si sono comportati in maniera splendida e hanno dato prova di fermezza, coraggio, altruismo, autocontrollo e hanno saputo agire, questo è molto importante, con un orientamento etico che è servito ad ognuno per sapere cosa doveva fare e ricorrendo a tutte le risorse che l’organizzazione quotidiana della vita mette a disposizione (questo riguarda soprattutto gli abitanti del Giglio).
Dunque adesso il quadro è completo: un vertice codardo, irresponsabile frutto di una selezione inaffidabile e imprecisa, inserito in un’organizzazione inefficiente e superficiale priva di sistemi di verifica e di controllo (le coste sfiorate non erano un mistero, ma la prassi; le sbruffonate di Schettino erano note; l’insufficienza dell’organizzazione di emergenza non era stata valutata); uno strato intermedio composto dall’equipaggio molto più responsabile che, al momento del dramma, ha saputo prendere il comando; dei crocieristi che hanno avuto fiducia nell’organizzazione e hanno rispettato le regole che gli avevano detto di osservare; dei soccorritori che hanno rischiato la vita per fare il loro dovere; degli abitanti dell’isola che sono corsi in aiuto con tutto quello che avevano. Emblematica rimane l’immagine del Comandante della Capitaneria di porto di Livorno che rappresenta uno Stato che non si arrende ed è lui che costringe Schettino a dichiarare l’emergenza ed è lui che lo mette di fronte alle sue responsabilità e avvia comunque la macchina dei soccorsi.
Abbiamo, infine, “l’inevitabile” solidarietà della famiglia e dei compaesani di Schettino. Familismo amorale fu definito da uno studioso statunitense, Edward Banfield, il sistema che egli studiò nel Mezzogiorno d’Italia alla fine degli anni ’50. E familismo amorale troviamo ogni volta che c’è una tragedia. Amorale perché le responsabilità del colpevole sono annacquate con il dovere di difenderlo ad ogni costo privilegiando così il profilo personale-affettivo (o di appartenenza ad un gruppo di paesani) su quello dei danni fatti alla collettività. Quasi invocando una loro parificazione.
Questo dramma, però, è una metafora e va letto in controluce per intravedere la sagoma, l’essenza dei protagonisti e di quello che rappresentano.
Ognuno può farlo da sé in base al semplice riepilogo delle dichiarazioni e dei fatti.
Ciò che preme sottolineare è che spesso i vertici sono occupati da impuniti che provengono dalla selezione dei peggiori; che spesso questi agiscono con sprezzo delle regole, con superficialità e infischiandosene degli interessi generali; che scoperti nelle loro malefatte si nascondono, mentono, falsificano e pretendono l’impunità; che usano le loro responsabilità e i loro poteri come fossero prerogative proprietarie delle quali non devono rendere conto a nessuno; che provocano enormi danni senza comprendere la gravità delle loro azioni; che portano al naufragio una grande nave o un grande Paese col sorriso sulle labbra nascondendo la loro incapacità dietro atteggiamenti spavaldi e arroganti; che balbettano di fronte all’autorità vera di chi sa richiamarli all’ordine perché la temono e sanno di non poterle resistere.
Ma preme anche sottolineare che esistono tanti altri che vogliono rispettare le regole; che sono generosi e altruisti; che sanno come stare vicini e aiutare chi è in difficoltà; che sono capaci di organizzarsi per andare in soccorso di chi soffre; che hanno senso dello Stato perché sanno cos’è e lo vivono come espressione di una collettività; che non cercano le luci della ribalta perché credono più alla solidità e alla verità che all’effimero.
Sono in tanti, ci circondano, ne facciamo parte. Devono solo riconoscersi, incontrarsi, collaborare perché il problema e la sfida dell’Italia è portare LORO al vertice e al comando.
Claudio Lombardi
Una cosa è certa:Schettino è l’emblema della raccomandazione, di uomini che occupano posti di comando non in base alla loro esperienza e professionalità, ma proprio per la loro incapacità e inefficienza. Questa è L’Italia. Uno spaccato di contraddizioni, di uomini che ci portano al disastro sacrificando anche le nostre povere vite. Vite che non hanno la stessa importanza di quella dei vip. Gente comune, trattati alla stregua di extracomunitari. Infatti questa crociera si è rivelata tale. Una crociera fatta a pochi soldi, con un comandante raccattato chissà in quale cantina, che se la spassava con una moldava, salva anche lei, che non conosceva le dure e ferree regole del mare, che forse non sapeva nemmeno nuotare. E a rimetterci come al solito persone che inseguono sogni a buon mercato che si illudono di vivere per pochi giorni una fiaba raccontata, attesa, vera per pochi attimi, l’illusione di sentirsi padroni dei loro destini. E in questo caso padrona delle loro vite è stata la morte, che li ha ghermiti nel pieno della loro spensieratezza. Chi stava traghettando in quel momento il gigante del mare aveva ben altro in testa e figurarsi se poteva pensare al resto. Uomini così non servono nemmeno a se stessi.
E’ accettabile la rappresentazione dei fatti ed anche il parallelo con la società italiana.
E’ per questo che dovremmo avere tutti più fiducia in noi stessi. Consapevolezza delle nostre capacità di comprendere ed affrontare i problemi – anche quelli complessi che la modernità ci propone – meglio di una classe dirigente che, presa nel suo complesso, assomiglia così tanto al comandante Schettino
Dobbiamo cambiare noi stessi, se vogliamo cambiare questa realtà che ci piace sempre di meno.
E dobbiamo ricordare che se quella classe dirigente è li e si autoalimenta per cooptazione è soltanto per colpa nostra che, pur avendo a disposizione gli strumenti democratici per esercitare il nostro controllo e la nostra sovranità, abbiamo smesso da tempo di utilizzarli.