Al capolinea il modello Italia: è ora di cambiare (di Claudio Lombardi)

Sempre più l’esistenza del governo Monti e la manovra che ha presentato si rivela come il punto di arrivo di una lunga evoluzione della storia nazionale.

Ieri su Repubblica Gustavo Zagrebelsky si domandava: “quando tutto questo sarà finito, che cosa sarà della politica e delle sue istituzioni? Diremo che è stata una parentesi oppure una rivelazione?”

Non si tratta della legalità costituzionale perché, sotto questo profilo, “il Presidente della Repubblica ha fatto un uso delle sue prerogative che è valso a colmare il deficit d’iniziativa e di responsabilità di forze politiche palesemente paralizzate dalle loro contraddizioni”.

L’analisi di Zagrebelsky si concentra, invece, “sulla sostanza costituzionale” e su questa osserva che “di fronte alla pressione della questione finanziaria e alle misure necessarie per fronteggiarla, i partiti politici hanno semplicemente alzato bandiera bianca, riconoscendo la propria impotenza, e si sono messi da parte. Nessun partito, nessuno schieramento di partiti, nessun leader politico, è stato nelle condizioni di parlare ai cittadini”. E ancoraNé la maggioranza precedente, che proprio di fronte alle difficoltà, si andava sfaldando; né l’opposizione, che era sfaldata da prima. Niente di niente e, in questo niente, il ricorso al salvagente offerto dal Presidente della Repubblica con la sua iniziativa per un governo fuori dai partiti è evidentemente apparsa l’unica via d’uscita. Insomma, comunque la si rigiri, è evidente la bancarotta, anzi l’autodichiarazione di bancarotta”. “In un momento drammatico come questo, con il malessere sociale che cresce e dilaga, con la società che si divide tra chi può sempre di più, chi può ancora e chi non può più, con il bisogno di protezione dei deboli esposti a quella che avvertono come grande ingiustizia: proprio in questo momento i partiti sono come evaporati. Corrono il rischio che si finisca, per la loro stessa ammissione, per considerarli cose superflue”.

È un’analisi lucida assolutamente condivisibile (cfr anche https://www.civicolab.it/new/?p=1581 ) e preoccupante perché indica il punto estremo di involuzione cui è giunto il nostro sistema democratico che non è più in grado di produrre decisioni utili alla collettività avviluppandosi in pratiche di governo che, senza risultati che non siano la sopravvivenza, hanno portato ad uno spreco di risorse colossale.

La consistenza del debito pubblico dal 1991 ad oggi ha sfondato il muro del 100% del Pil. In pratica ogni anno lo Stato ha preso in prestito una somma superiore al valore di tutte le attività economiche prodotte in Italia. Il valore nominale dei prestiti contratti negli ultimi 20 anni ammonta a 26.615 miliardi di euro. Se si ricalcolano gli importi per riportarli ai valori attuali questa cifra aumenta e non si è lontani dal vero ipotizzando un prelievo di circa 40.000 miliardi di euro (circa 80 milioni di miliardi delle vecchie lire). Ovviamente questo non rileva per l’ammontare dello stock del debito, ma per l’incidenza della spesa per interessi che, rapportata a quel volume di prestiti, ha sempre costituito, negli ultimi venti anni, una palla al piede per la spesa pubblica. Anche non volendo calcolare l’ammontare esatto di questa cifra la si può facilmente immaginare di entità assai elevata. Di qui la domanda: per che cosa sono stati spesi tutti quei soldi?

Alla domanda facciamo ora seguire il confronto con lo stato del nostro Paese e domandiamoci che utilizzo vero è stato fatto di quei soldi. Se guardiamo la situazione dei servizi pubblici e delle infrastrutture o le condizioni economiche delle aree più arretrate o l’efficienza degli apparati pubblici o l’erogazione di prestazioni assistenziali per i giovani che sono alla ricerca di un lavoro dobbiamo concludere, quanto meno, che sono stati spesi male.

Questo è il dramma italiano: l’incapacità di utilizzare le risorse per migliorare le condizioni di vita e per crescere. Oggi in Italia è impossibile crescere: non possono farlo i giovani perché sono soli di fronte alla ricerca di un’occupazione che valorizzi le loro capacità; non possono farlo quelli che svolgono attività economiche che richiedono come presupposto un ambiente sociale e civile favorevole e, invece, si ritrovano a fare i conti con le molteplici forme di criminalità (spesso colluse con la politica) che rendono la vita difficile, per non parlare delle lentezze e degli ostacoli burocratici o dello stato dei trasporti e delle infrastrutture; non possono farlo quelli che vorrebbero fare i cittadini e che si trovano a lottare con un sistema chiuso che privilegia i gruppi di potere e le mille corporazioni nelle quali è frazionata la società.

E il dramma italiano è che tutto ciò è stato fatto nel quadro del sistema democratico fondato sui partiti.

La manovra del governo Monti è iniqua, su questo non ci sono dubbi, è inutile girarci intorno. Ma è iniqua perché questo governo non è il prodotto di un mutamento di classi dirigenti e non è portatore di un progetto di ricostruzione dell’Italia che ne sani i tanti mali accumulatisi fin dalla formazione dello Stato unitario.

Non se lo proponeva il governo Monti e non poteva che seguire un solco tracciato da decenni. Dov’è la novità nello scoprire che far pagare gli evasori è sempre la cosa più lenta e difficile quando su questo è stato costruito il patto sociale fin dagli anni ’50? Dov’è la novità nello scoprire che è sempre molto complicato battere i privilegi della Chiesa anche quando tutta la situazione grida che questo è il momento per cominciare? Dov’è la novità nell’accorgersi che un bene pubblico come le frequenze televisive lo si vuole regalare ai monopolisti controllati dal potere politico (Rai) e privato (Mediaset)? Sono circa venti anni che il conflitto d’interessi (per non parlare dei tanti reati comuni dei quali è accusato) è ben presente agli occhi dell’opinione pubblica e ciò non ha impedito che Berlusconi andasse al governo per tre volte con i voti degli italiani. D’altra parte nemmeno gli intervalli di governo delle forze a lui alternative hanno trovato il modo per porvi rimedio. Quindi di cosa ci meravigliamo?

Alla meraviglia si deve sostituire lo scandalo e la lucida determinazione a voltare pagina. Cominciando dalla manovra ovviamente. La pressione dell’opinione pubblica deve farsi sentire assumendo sia le motivazioni che hanno portato alla nascita di questo governo (salvare l’Italia raddrizzando i conti, riportarla in Europa da protagonista), sia gli obiettivi dichiarati della manovra.

Quindi a saldi invariati, anzi migliorati bisogna ottenere che la Chiesa paghi l’ICI sugli immobili non adibiti esclusivamente al culto; che le frequenze televisive siano fatte pagare favorendo non i monopolisti attuali, ma altri soggetti e che il loro uso non sia solo per le TV, ma anche per la banda larga di internet; che sui capitali scudati si applichi un’aliquota paragonabile a quelle già applicate nei principali paesi europei (se ci dobbiamo integrare cominciamo a farlo dagli evasori); che siano concentrate le forze su quei contribuenti che appartenendo a categorie di lavoro autonomo denunciano redditi ridicoli o che risultino intestatari di beni di lusso (barche, auto ecc); che siano ridotti gli acquisti di armamenti cominciando dai cacciabombardieri F35 (100 milioni l’uno). Come impegno del governo occorre che sia condotta un’analisi della spesa che porti alla cancellazione di enti inutili, sprechi e duplicazioni e che si orienti l’azione degli apparati del fisco e della Guardia di finanza alla lotta dell’evasione fiscale.

In tal modo si aumenterebbero le entrate in misura tale da: consentire di applicare la rivalutazione a tutte le pensioni fino a oltre 2mila euro mensili; di attenuare il passaggio al nuovo regime pensionistico per i lavoratori che hanno raggiunto i 40 anni di contributi; di introdurre indennità di disoccupazione per i giovani precari; di investire risorse per la sicurezza scolastica e per la mobilità.

Tutto ciò è possibile se si inizia a mettere in atto un nuovo modello di democrazia basato sulla partecipazione, sulla responsabilità, sulla condivisione e sull’equità unica base solida per costruire un futuro. Per questo è necessario che i movimenti, il popolo della rete, le associazioni e i comitati si mobilitino e intervengano con intelligenza e lungimiranza. Che mantengano viva e alimentino la memoria. L’obiettivo non è solo di spingere il governo a modificare le sue decisioni (di oggi e di domani), ma anche quello di costruire un’alternativa futura che segni la via d’uscita dalla crisi italiana abbandonando le strade del populismo, dell’affarismo, delle oligarchie irresponsabili, dell’individualismo egoista e anarcoide che rivendica l’illegalità come sua cifra culturale e come guida dei comportamenti di ognuno. E l’obiettivo è anche ridisegnare il nostro sistema democratico per sostituire alla centralità dei partiti la centralità della politica diffusa e condivisa, della cittadinanza attiva e nuove forme di rappresentanza e di partecipazione sociale alle decisioni e al controllo sulla loro attuazione.

Claudio Lombardi

1 commento
  1. Fabio Pascapè dice:

    Il governo Monti è effettivamente la dichiarazione di resa della politica. C’è stato bisogno di un governo tecnico per avere una sorta di salvacondotto che consentisse di toccare tutti i nervi scoperti della politica del consenso consociativo portata avanti negli ultimi anni. La politica, quella partitica, controfirma la sua sconfitta ogni giorno quando continua a non produrre nulla di significativo che possa contribuire a meglio centrare le politiche del governo limitandosi in buona sostanza a sottoscriverle. Mi domando dove è finito l’iteresse voyeristico per le performance sessuali (o presunte tali) dell’ex premier che sembrava superare ogni altro (francamente preferibile)interesse per le politiche e la loro efficacia. Oggi sembra che improvvisamente non infiammino e non facciano piu’ notizia la TAV, il secondo inceneritore in Campania o il ponte sullo stretto. Tutto tace. Tutti approfittano dell’occasione data dal governo non elettivo che in quanto tale può adottare misure impopolari che non gioverebbero certamente all’elettorato di un governo elettivo.
    Questo significa che politica vera sino ad oggi se ne è fatta poca. Questo significa che sino ad oggi si è giocato a fare politica senza mai avere il coraggio di toccare lobby, interessi, gruppi di pressione per ridefinirne ambiti ed incidenza. Ora piu’ che mai il cittadino attivo, quello laico e proattivo deve fare la sua scelta di cittadinanza responsabile facendo sentire la propria voce. Questo è il momento di fornire al Governo feedback partecipati. Questo è il momento di spingere sul rilancio e rinnovamento della forma partito. Rilanciare la politica significa evitare che a governare siano i ragionieri e che l’etica dei tagli indispensabili prenda il sopravvento.

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