Non gli basterà l’Ucraina: la sfida russa all’Occidente
Una delle spiegazioni più accreditate dell’invasione dell’Ucraina è nel desiderio russo di riscattare la sconfitta nella Guerra Fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Tutto, a cominciare dalle parole con cui Putin ha annunciato l’aggressione, fa supporre che sia vero. L’ansia di rivincita ha però potuto prosperare grazie a due condizioni. La prima è l’ignoranza se non il disprezzo russo per il diritto internazionale, l’autodeterminazione dei popoli e le libertà occidentali, come quella dell’informazione, sostituita da un sofisticato e capillare sistema di spionaggio e disinformazione. La seconda, e di gran lunga più importante, è lo stato dell’economia russa.
Cominciamo da quest’ultimo punto. Oltre il gas, nulla o quasi. La Russia ha un arsenale atomico, ma tecnologicamente è un nano economico. Al confronto con Paesi vicini, soprattutto Cina e India, la Russia è un Paese arretrato, che ha creato un’oligarchia ricchissima ma non una classe media. Il reddito pro-capite la colloca al 72esimo posto al mondo. Secondo un calcolo pubblicato da Novokmet, Piketty e Zucman nel 2018 (“From Soviets to oligarchs: inequality and property in Russia 1905-2016”), le ricchezze detenute all’estero dai russi ammontano alla stratosferica cifra dell’ 85 per cento del Pil. Secondo il documentato libro del 2019 dell’economista svedese Anders Åslund “Russia’s Crony Capitalism: The Path from Market Economy to Kleptocracy”, Putin stesso ha una ricchezza personale dai 100 ai 160 miliardi di dollari. E si concede bizzarrie da imperatore romano della decadenza come quella di firmare nel 2021 una legge secondo cui si potranno chiamare “champagne” soltanto gli spumanti russi e non quelli francesi prodotti nella provincia che dà loro il nome.
L’economia russa è completamente stagnante dal 2014 e per lo più stagnante dal 2009. Il Pil è sceso da 2,3 trilioni di dollari nel 2013 a 1,5 trilioni nel 2020. Da quando Putin ha invaso nel 2014 l’Ucraina e annesso illegalmente la Crimea, il reddito disponibile reale delle famiglie russe è diminuito del 10 per cento. Ha forse Putin indirizzato i suoi sforzi per la crescita economica e il miglioramento del tenore di vita? No, ha spostato la pressione sulla leva militare e su quella ideologica.
Ora su questa economia fragile si abbatte il costo di una nuova guerra e delle sanzioni. “Quando verrà scritta la storia di questo periodo, la guerra di Putin in Ucraina avrà lasciato la Russia più debole e il resto del mondo più forte”, ha detto Biden nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione. Biden pensava di doversi confrontare con la Cina in una sfida tecnologica ed economica, sull’ambiente, invece è stato risucchiato da Putin in una sfida passatista sul terreno militare, l’unico dove la Russia è forte.
Il presidente russo dice che le sanzioni contro la Russia sono un atto di guerra. Ha ragione, con le sanzioni i Paesi occidentali possono sconfiggere Putin senza combattere e ciò, come insegnò Sun Tzu, sarebbe prova di suprema abilità.
L’unica forza reale che ha la Russia è quella militare: pompata dal sentimento dell’umiliazione, è lì la valvola di sfogo del malessere russo. Ma quando è cominciato questo malessere? In realtà l’avversione all’Occidente è una costante della coscienza russa. Il premio Nobel Aleksandr Solženicyn, nonostante la lunga detenzione nei gulag e le vessazioni a cui fu sottoposto dal regime sovietico, era più antimodernista che anticomunista. Il tempo dell’Est e quello dell’Ovest hanno avuto velocità differenti. A volte il tempo si ferma o torna indietro. Il direttore del Financial Times Lionel Narber intervistò Putin nel 2019 e raccontò di aver notato sulla sua scrivania una statua bronzea di Pietro il Grande. Altro che Lenin o Stalin, Pietro il Grande morto quasi tre secoli fa. Lui vivrà, aveva chiosato Putin, finché la sua causa rimarrà viva. La causa – antistorica – è quella di riallargare i confini della Grande Madre Russia.
Lo scrittore inglese Robert Harris sostiene che “queste di oggi sono ancora le conseguenze della caduta dell’Urss. Quando crolla un impero, in genere ci sono tremendi problemi e violenze. Con l’Unione Sovietica, invece, ciò non accadde. Oggi stiamo vivendo la violenza che ci si aspettava allora e che è esplosa adesso, con un ritardo di trent’anni”. In realtà la Russia ha perso la guerra fredda senza creare gli anticorpi contro la guerra. Germania e Giappone si ritrovarono praticamente rase al suolo nel 1945 e lo choc della distruzione bellica in uno con la profonda vergogna per il genocidio commesso dai nazisti innescarono un vero e proprio tabù della guerra: grazie anche agli aiuti post bellici degli Alleati, che non commisero l’errore fatto alla fine della Ia guerra mondiale, Germania e Giappone, disarmati, dal dopoguerra hanno profuso le proprie energie esclusivamente in campo economico. La Russia, invece, ha vissuto il crollo del 1989-91 come una mortificante frustrazione, senza nessuna profonda autoanalisi aperta al mondo contemporaneo e coltivando gli stessi sentimenti di rivincita che prevalsero tra gli sconfitti della Ia guerra mondiale e che ebbero grande parte nello scatenare la IIa.
Se oggi per gli ucraini l’Europa è, oltre che un’ancora di salvezza, anche un sentimento, la Russia è mossa invece da un risentimento. La sua invasione è un agire antistorico, è la restaurazione del congresso di Vienna che voleva cancellare gli effetti della Rivoluzione francese. La osserviamo come in quei film dell’orrore in cui il malvagio che sembrava morto ci afferra con un ultimo sussulto. In questo caso il malvagio resuscita ben trent’anni dopo la fine della guerra fredda. L’esercito ucraino ha pubblicato su Twitter un’immagine del Teatro dell’Opera di Odessa, protetto da sacchi di sabbia e cavalli di Frisia identica a un’altra del 1942, con la didascalia “A distanza di 80 anni, Odessa, Ucraina”.
Lo storico Andrea Graziosi (che ricordo a Napoli studente del Liceo Umberto nella mia stessa sezione B, a un anno di distanza, e leader della sinistra studentesca), profondo conoscitore della Russia e dell’Ucraina, spiega quanto persino il comunismo sia stato solo un abito indossato per 70 anni sopra una realtà preesistente e più profonda, la stessa a cui si richiamava Aleksandr Solženicyn: “È da almeno quindici anni che Putin va teorizzando la ricostruzione di una grande potenza slava dominata dalla Russia e fondata su ordine, gerarchia, ideologia illiberale e disprezzo per l’Occidente corrotto. La sua retorica si nutre di pezzi di storia molto diversi. Da una parte risale al nazionalismo grande-russo precedente il 1914, dall’altra recupera l’eredità di Stalin scegliendo come evento legittimante del nuovo Stato russo la vittoria sovietica nella seconda guerra mondiale: una guerra di liberazione dai nazisti, certo; ma anche – come ci ha raccontato Vasilij Grossman – una guerra di oppressione dei popoli dell’Europa orientale. A queste radici storiche s’aggiunga la retorica dell’umiliazione che il popolo russo avrebbe subito dopo il crollo dell’Urss. Quello della nazione umiliata è un mito che muove le guerre. Basti pensare all’uso che ne fece Hitler”.
Ciò che dice Graziosi trova conferma nelle parole degli intellettuali vicini a Putin. Aleksandr Gel’evič Dugin soprannominato “il Rasputin del Cremlino”, teorico del sovranismo e della fondazione di un “impero euro-asiatico” in grado di combattere l’Occidente, afferma: “Questa non è una guerra contro l’Ucraina. È un confronto con il globalismo come fenomeno planetario integrale. La Russia rifiuta tutto nel globalismo: atlantismo, liberalismo, anti-tradizione, tecnocrazia. Noi siamo in guerra esattamente con questo. Da qui la loro legittima reazione. La Russia viene ormai esclusa dalle reti globaliste. Non ha più una scelta: o costruire il suo mondo o scomparire. La Russia ha stabilito un percorso per costruire il suo mondo, la sua civiltà. E ora in Ucraina è stato fatto il primo passo. Ma sovrano di fronte al globalismo può essere solo un grande spazio, un continente-stato, una civiltà-stato. Nessun paese può resistere a lungo a una completa disconnessione. La Russia non è l’Europa occidentale. La Russia ha seguito i greci, Bisanzio e il cristianesimo orientale. E sta ancora seguendo questa strada. Sì, con zigzag e deviazioni. A volte in vicoli ciechi. Ma si sta muovendo. La Russia è sorta per difendere i valori della Tradizione contro il mondo moderno. Molte persone in Ucraina lo capivano. Ma la terribile propaganda rabbiosa liberal-nazista non ha lasciato nulla di intentato nella mente degli ucraini. Torneranno in sé e combatteranno insieme a noi per il regno della luce, per la tradizione e una vera identità cristiana europea. Gli ucraini sono nostri fratelli. Lo erano, lo sono e lo saranno. La rottura con l’Occidente non è una rottura con l’Europa. È una rottura con la morte, la degenerazione e il suicidio. È la chiave del recupero. E l’Europa stessa, i popoli europei dovrebbero seguire il nostro esempio: rovesciare la giunta globalista antinazionale. E costruire una vera casa europea, un palazzo europeo, una cattedrale europea”.
Delirio? Forse, ma Dugin in Russia è considerato il portavoce di Putin. Un altro intellettuale molto ascoltato da Putin è Dmitrij Suslov, che dirige il Centro di Studi europei e internazionali presso la Scuola Superiore di Economia di Mosca, che così ha spiegato il 25 febbraio al Corriere della Sera la “missione di Putin”: “Ci fermeremo soltanto quando sparirà l’Ucraina attuale. Il dopo Guerra Fredda è finito per sempre e siamo dentro una confrontazione a tutto campo con l’Occidente, inclusa l’Unione Europea. Lo scontro sarà forte, ci considereremo di nuovo nemici. Tutto ciò purtroppo è vero, ma la leadership russa considera più importante la risoluzione della questione ucraina ed è pronta a pagare il prezzo. Sanzioni e confrontazione sono temporanee, questo è per le generazioni».
Se non vogliamo fare finta di non avere ascoltato queste parole e gli stessi discorsi di Putin, possiamo pensare che quella di Putin sia solo una guerra locale all’Ucraina e non la prima tappa di un attacco globale all’Occidente. “Se noi dovessimo scomparire, che Dio ci protegga, allora sarà il turno della Moldavia, della Lettonia, della Lituania, dell’Estonia, della Finlandia… Fino al muro di Berlino, credetemi”, ha detto Zelensky, con i toni drammatici di chi sta difendendo la propria vita e la propria terra, ma lanciando un monito che non ci può lasciare indifferenti. “Non ci volteremo dall’altra parte”, ha detto Draghi. In gioco non c’è solo il futuro di Kiev, ma del mondo libero.
Conta poco, a questo punto, appurare se il senso di umiliazione dei russi è dovuto alle presunte azioni occidentali (la Nato che si allarga a Est) o, come più probabile, alla percezione soggettiva di parte della popolazione russa, uscita dalla Guerra Fredda dopo 70 anni di propaganda, indottrinamento ideologico e assenza di libertà di stampa. Svetlana Aleksievich, premio Nobel per la letteratura nel 2015, bielorussa di madre ucraina riparata in Germania per sfuggire alla repressione del regime filorusso di Lukashenko, ricorda che la maggioranza della popolazione russa, disinformata come in tutte le dittature, sostiene Putin: “Credo che Putin rispecchi l’opinione dei russi medi che vivono in periferia, di quei russi che non possono tollerare umiliazioni, come dicono loro. Per i miei libri ho viaggiato molto per la Russia e tanti di quelli che ho sentito parlavano di umiliazione più di ogni altra cosa: nessuno ha paura di noi. E come si sono tirati su di morale quando hanno potuto dire che Putin li ha fatti rialzare in piedi dacché erano in ginocchio di fronte al mondo! Temo che questo sentimento di “imperialità” sia molto radicato. Quando c’è stato il crollo dell’Urss nel 1991 abbiamo esultato che tutto fosse successo pacificamente. Abbiamo sopravvalutato la morte del comunismo. Non è per niente vero, nient’affatto. Ce ne stiamo accorgendo. Quest’uomo rosso, l’homo sovieticus, adesso capiamo che è vivo. Molto di quello che c’era ai tempi sovietici ci ha lasciato un’impronta, ha lasciato la menzogna”. E aggiunge: “Dubito che Putin si fermi soltanto all’Ucraina, se riuscirà a vincere. Spero che l’Europa che si è schierata compatta, dica la sua, e anche gli Usa. Non a caso lui ci spaventa tutti con le armi nucleari. Ci ritroviamo in un punto assolutamente inaspettato della storia. Nessuno di noi pensava che qualcosa del genere fosse possibile”.
Non c’è più una contrapposizione tra comunismo e capitalismo, come nella guerra fredda. Il confronto investe due visioni antitetiche del mondo: il potere assoluto e la democrazia. In Russia il potere assoluto reprime in modo feroce ogni minima voce dubbiosa, da noi la democrazia consente di parlare anche a voci antidemocratiche. Ma chi in Occidente governa ha ben compreso qual è la posta in gioco. “Non ho mai visto una differenza così netta tra bene e male, tra giusto e malvagio, in vita mia”, dice Boris Johnson. E Biden, con più enfasi: “La libertà trionfa sempre sulla tirannia. Noi salveremo la democrazia”. In America sono convinti che la guerra sarà lunga: Putin può conquistare l’Ucraina, ha detto Biden, ma “non conquisterà mai i cuori e le anime del popolo ucraino. Non spegnerà mai il loro amore per la libertà. Non indebolirà mai la determinazione del mondo libero”. Quindi i paesi occidentali continueranno ad armare gli ucraini, la cui resistenza continuerà anche dopo l’eventuale caduta di Kiev e di Zelensky.
“Nella nostra storia abbiamo imparato questa lezione: quando i dittatori non pagano un prezzo per la loro aggressività, causano più caos. E i costi e le minacce aumentano”, ha detto Biden. O si ferma Putin adesso in terra ucraina e gli si fanno pagare le atrocità commesse – gli ucraini uccisi, donne e bambini, per “liberarli”; i soldati di leva russi mandati ad ammazzare i loro fratelli e a morire; un Paese civile ridotto a un cumulo di macerie; lo stesso popolo russo condotto alla fame; gli avversari politici fatti fuori con il veleno o incarcerati; intere generazioni costrette a vivere nella paura e nella delazione – oppure il nostro futuro sarà ancora più fosco di questo presente.
Giustino Fabrizio (post tratto da facebook scritto il 6 marzo 2022)
Foto di copertina di OpenClipart-Vectors da Pixabay
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