Non solo sussidi. Idee per il lavoro
Il Covid 19 cambierà molto nelle nostre abitudini e nella vita sociale. Subiremo tutti nelle nostre esistenze dei cambiamenti inimmaginabili sino a 2 mesi fa. Ma il colpo più duro lo avrà l’economia con una caduta del PIL di almeno il 10%. La crisi economica sta già distruggendo il tessuto economico e la ripresa, è inutile nasconderlo, sarà lunga. Fra le inevitabili chiusure o, meglio, mancate riaperture di attività o ridimensionamenti aziendali, licenziamenti, riduzioni d’orario e casse integrazioni, è sui lavoratori che il Covid 19 agirà più duramente.
La prima erogazione di integrazione salariale cesserà a breve e non si sa se verrà confermata e per quanto tempo. Sicuramente verrà prorogata, ma il tenore di vita dei lavoratori dovrà fare i conti con guadagni ridotti rispetto allo stipendio pieno. Inevitabile la proroga anche della sospensione dei licenziamenti individuali e collettivi per motivi economici. Ma fino a quando? E per quanto tempo aziende in crisi potranno continuare a pagare gli stipendi ai lavoratori?
Non basterà certamente lo smart working per tenere in vita le aziende. Anche la ripartenza nella Fase 2 che sta per iniziare, ma con il freno tirato, non potrà sbloccare il Paese e frenare la crescita della disoccupazione. Il lavoro va sostenuto con sussidi, ma soprattutto con azioni decise per agevolare e semplificare tutto ciò che possa aiutare a produrre reddito.
Con circa il 60% delle aziende completamente ferme perché non essenziali e le altre in attività, ma con fortissime riduzioni nella produzione e con interi settori bloccati (turismo, commercio, edilizia, cinema ecc.), la disoccupazione nel 2020 avrà una impennata e colpirà in primis le fasce più deboli, i giovani e i precari.
Dove agire dunque, per arginare il crollo?
Intanto sarà necessario snellire procedure, obblighi e regole per aiutare chi vuole assumere, mettendo sul piatto forti incentivi per almeno un anno. Una prima strada sarebbe quella di superare le regole rigide e anche inutili fissate dal Decreto Dignità del 2018 abrogandolo o sospendendolo, rendendo di nuovo il contratto a termine uno strumento valido, eliminando il limite dei 12 mesi e il numero delle proroghe possibili oltre all’aggravio contributivo. Ci sono molti contratti in scadenza che dovrebbero poter essere rinnovati. Dobbiamo ritornare alle regole fissate dal Jobs Act per il contratto a termine con una durata (comprese le proroghe e rinnovi) fino a 36 mesi senza alcuna causale. Ciò consentirebbe immediatamente a tutte le aziende con i contratti in scadenza di poterli prolungare senza problemi, visto che è perlomeno utopistico pensare che le aziende in questa fase li possano trasformare a tempo indeterminato. Aprire la possibilità alle aziende di non lasciar cadere questi contratti, di mantenerli in essere vuol dire garantire lavoro e reddito.
Altre misura semplice ed immediata potrebbe essere quella di rendere facile l’accesso al lavoro “occasionale” quello dei voucher per capirci, senza limitazioni e senza distinzioni per tipologie aziendali o di età e aprire ad una assunzione agevolata “temporanea” nel periodo maggio-ottobre 2020 legata all’emergenza covid-19 con una durata di almeno 6 mesi con nessun onere contributivo e con un salario d’ingresso parametrato a quello degli apprendisti, consentendo che gli stessi, in caso di conferma, godano di ulteriore agevolazione contributiva del 50% per almeno altri 6/12 mesi.
E poi di corsa mettere in piedi un condono per gli immigrati che lavorano, con un permesso di soggiorno speciale di almeno 1 anno. Sono assolutamente necessari in agricoltura e nei servizi alle persone.
Non è più tempo di scontri ideologici, servono azioni comuni per il Paese, veloci e pragmatiche. Il lavoro non può attendere, non ci sono i tempi, dobbiamo salvaguardare il più possibile i lavoratori e favorire le aziende. Oltre alle misure già indicate serve agevolare i part-time e liberalizzare i contratti intermittenti (a chiamata) per almeno 1 anno per tutti senza vincoli di età o di attività. Semplificare poi al massimo anche la possibilità di utilizzare i percettori di Reddito di cittadinanza magari assegnando le ore previste dalla legge per scopi sociali (8 ore settimanali) alle aziende in difficoltà. Sarebbe utile anche alzare la quota di decontribuzione per le aziende in caso di assunzione di chi percepisce il RdC e consentire che i lavoratori in Naspi possano essere assunti anche loro portando l’agevolazione per le aziende dal 20 al 50 per cento.
Semplici idee su materie poco conosciute oltre la cerchia di chi è direttamente interessato, ma che possono essere tradotte in decisioni velocemente e possono produrre risultati concreti. Nella situazione che stiamo vivendo non ci si può impantanare sui cavilli burocratici e sulla rigidità delle regole pensate per tempi normali. Oggi ci vuole semplicità e velocità altrimenti le vie dell’illegalità arriveranno prima
Alessandro Latini
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