Notizie dalla Capitale: la mafia c’è e comanda la città
Un’operazione degna dei tempi di Falcone e Borsellino quella in corso a Roma. 37 Arresti per “associazione di stampo mafioso” e sequestri di beni per 200 milioni. Ma, soprattutto, la scoperta di un “ramificato sistema corruttivo” finalizzato all’assegnazione di appalti e di finanziamenti pubblici dal Comune di Roma e dalle aziende municipalizzate.
L’elenco delle accuse è impressionante: associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e ancora altri reati. Il tutto degno della malavita organizzata in forma mafiosa.
Secondo il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone “Con questa operazione abbiamo risposto alla domanda se la mafia è a Roma. La risposta è che a Roma la mafia c’è. Nella capitale non c’è un’unica organizzazione mafiosa a controllare la città. Ci sono diverse organizzazioni mafiose”. Ha detto ancora Pignatone che “alcuni uomini vicini all’ex sindaco Alemanno sono componenti a pieno titolo dell’organizzazione mafiosa e protagonisti di episodi di corruzione”.
I nomi degli arrestati e degli indagati ci raccontano di un sistema di potere trasversale in grado di comprare la complicità di politici di ogni schieramento e di mischiare criminalità pura con pezzi delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche. Uno schema mafioso già visto nel quale i pubblici poteri sono progressivamente assorbiti in un potere nascosto suddiviso tra bande criminali che diventano la vera sede delle scelte politiche.
Da anni ci chiediamo come mai l’Italia, un paese che produce comunque tanta ricchezza e che è retta da una spesa pubblica enorme, funzioni così male.
Da anni ci interroghiamo sulle cause di tanta inefficienza, di una burocrazia ottusa e spesso nemica dei cittadini, della distruzione di risorse e di beni comuni. Ci domandiamo dove vadano a finire i soldi che entrano nelle casse pubbliche e come mai l’evasione fiscale continui a pesare per somme enormi sui bilanci pubblici (in questi giorni la Corte dei Conti ha valutato 120 miliardi sottratti al fisco).
Da anni assistiamo all’esplosione di scandali che hanno sempre gli stessi protagonisti: politici, funzionari e manager corrotti; affaristi più o meno collusi con la criminalità che riescono ad arrivare dappertutto.
Ogni volta pensiamo di aver toccato il fondo e che ormai nessuno avrà più il coraggio di riprovarci.
E invece scopriamo che succede ancora. Scopriamo che i politici continuano a costruire rapporti basati sulla corruzione e sulle tangenti. Scopriamo che gli appalti vengono pilotati e che le carriere nelle pubbliche amministrazioni e nelle aziende pubbliche dipendono spesso dalla disponibilità a vendersi non dalla capacità di amministrare nell’interesse della collettività.
Leggiamo gli stralci delle intercettazioni dell’inchiesta sull’organizzazione criminale romana, vediamo con quanta facilità i politici si fanno avvicinare e accettano rapporti amichevoli con gente di cui dovrebbero conoscere la storia e intuire gli obiettivi. Leggiamo come sia facile comprare un segretario particolare, un alto funzionario, un consigliere.
Adesso è già partito il coro dei lamenti e i politici coinvolti nell’inchiesta si affrettano a smentire indignati ogni sospetto di coinvolgimento. Qualcuno si dimette e viene pubblicamente lodato per un gesto che in qualunque paese civile sarebbe obbligatorio.
Il politico più importante coinvolto nell’inchiesta è, però, l’ex sindaco Gianni Alemanno che la banda si vantava di poter manovrare a suo piacere e che non più tardi di una decina di giorni fa si metteva a guidare la protesta contro il sindaco Marino Il sindaco Marino, il sindaco responsabile di non aver capito il disastro delle periferie e di non aver compreso che Roma è più grande del suo centro storico. Responsabile di non aver capito cosa fosse il sistema di potere romano e fin dove arrivasse. Ma anche pericoloso per quel sistema e responsabile, agli occhi della cupola mafiosa, di aver trascurato i suoi interessi, di aver emarginato i suoi fiduciari e di aver compiuto scelte nelle municipalizzate e negli apparati dipendenti dal comune che hanno reso molto più difficile il controllo dei soldi pubblici che con Alemanno era totale.
Ora capiamo meglio che chi lo voleva abbattere, forse anche all’interno del Pd, aveva a cuore ben altro che i problemi della città. C’era un sistema di potere da proteggere. Ora l’operazione della Procura di Roma lo sta distruggendo. E speriamo che vada fino in fondo
Claudio Lombardi
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