Oltre Osama: la strategia USA verso il mondo islamico (di Roberto Ceccarelli)

La notizia della morte di Bin Laden impone una riflessione che ci porta indietro con il tempo, al quel 4 giugno 2009, quando il Presidente Obama pronunciò uno storico discorso all’Università de Il Cairo. Da quel giorno, molte cose sono cambiate in Medio Oriente ed altre stanno cambiando.

Io sono tra quelli che ritengono quel discorso, lo spartiacque della politica estera mediorientale degli USA, pur considerando che non sarebbe bastato un solo discorso a sradicare anni di diffidenza, come lo stesso Obama affermò durante il suo intervento.

Il Presidente disse: “Sono qui per cercare un nuovo inizio fra gli Stati Uniti ed i musulmani nel mondo, basato sul mutuo interesse e sul mutuo rispetto. E sulla verità: America e Islam non devono essere in competizione. Invece, si sovrappongono e condividono principi comuni, di giustizia e progresso, di tolleranza e dignità di tutti gli esseri umani” – “Abbiano gettato le basi per un nuovo approccio del rapporto  tra Occidente e Medio Oriente”.

Tendendo la mano agli islamici il Presidente degli Stati Uniti pose l’accento su ciò che unisce americani e musulmani, dopo anni di “paura e diffidenza”, che hanno invece evidenziato le differenze.

La sua insistenza sulla necessità di inaugurare una nuova era, bisogna ammettere è riuscita  davvero ad aprire una breccia, dimostrandosi molto più efficace delle politiche occidentali rivolte finora al Medio Oriente.

La volontà di combattere gli estremismi indica un’altra strada da percorrere che ci auguriamo sarò intrapresa dal nuovo Medio Oriente. “Qualsiasi cosa pensiamo del passato, non dobbiamo rimanerne prigionieri. I nostri problemi vanno affrontati in partnership e il progresso va condiviso. Ma la prima questione da affrontare è l’estremismo violento in tutte le sue forme. L’America non è, e non sarà mai in guerra con l’Islam. Tuttavia, affronteremo senza tregua gli estremisti violenti che pongono un serio rischio alla nostra sicurezza. Il mio primo compito come presidente è proteggere il popolo americano”.

Il voler dare forza e fiducia ai popoli ha certamente toccato le menti ed i cuori di quegli intellettuali che da tempo lavorano per emancipare i loro Paesi: “Non vogliamo tenere le nostre truppe in Afghanistan, non cerchiamo basi militari lì e porteremmo volentieri a casa ogni soldato se fossimo convinti che non ci siano in Afghanistan e Pakistan estremisti violenti che vogliono uccidere quanti più americani possibile. Ma così non è. Ecco perché siamo parte di una coalizione di 46 paesi. E nonostante i costi, l’impegno dell’America non si indebolirà”.

“Gli eventi in Iraq hanno ricordato all’America la necessità di usare la diplomazia e creare consenso internazionale per risolvere i nostri problemi ogni volta che è possibile. Ora l’America ha una doppia responsabilità: aiutare l’Iraq a costruire un futuro migliore e lasciare l’Iraq agli iracheni. Le nostre brigate di combattimento saranno rimosse dal Paese il prossimo agosto e rispetteremo l’accordo con il governo iracheno democraticamente eletto di ritirare tutte le truppe dall’Iraq entro il 2012”.

E ancora, allargando lo sguardo al nucleo centrale dei conflitti in Medio Oriente: “I forti legami degli Stati Uniti con Israele sono noti. Questo legame è indistruttibile e l’aspirazione ad una patria per gli ebrei è radicata in una storia tragica che nessuno può negare. Al tempo stesso, è allo stesso modo innegabile che il popolo palestinese abbia sofferto nella ricerca di una patria. La situazione della gente palestinese è intollerabile. E l’America non girerà le spalle alla legittima aspirazione palestinese alla dignità, a ciò che è opportuno e ad uno stato proprio. L’unica soluzione è che l’aspirazione di entrambe le parti sia realizzata attraverso due stati, dove israeliani e palestinesi possano vivere in pace e sicurezza. E’ nell’interesse di Israele, della Palestina, dell’America e del mondo. I palestinesi devono abbandonare la violenza. Hamas deve riconoscere gli accordi passati ed il diritto di Israele ad esistere. Israele deve rispettare l’obbligo di permettere ai palestinesi di vivere, lavorare e sviluppare la propria società”.

Ed ecco un passaggio cruciale sulla strategia USA: “Invece di rimanere intrappolati nel passato, il mio paese è pronto ad andare avanti. Il confronto sul controverso programma nucleare iraniano è a una svolta decisiva. Non riguarda solo gli interessi americani, ma si tratta di prevenire una corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente che potrebbe portare la regione e il mondo intero lungo un cammino molto pericoloso. Riaffermo l’impegno dell’America per un mondo senza armi nucleari, ma ogni nazione, Iran compreso, dovrebbe avere diritto ad avere accesso al nucleare per scopi pacifici, se rispetta gli obblighi del Trattato di non proliferazione nucleare”.

Infine,  l’esortazione a guardare alla democrazia, come strumento di governo e di sviluppo sembra essere il messaggio maggiormente, percepito. Dal 20 Gennaio di quest’anno abbiamo avuto diverse dimostrazioni che sembrano proseguire in tutto il Nord d’Africa e che probabilmente sono la motivazione del cambiamento di linea del Pakistan. Per la prima volta abbiamo assistito a rivolte senza appelli alla guerra santa, e senza bandiere d’Israele e degli USA bruciate, insomma sembra proprio che sia cambiato molto: “Nessun sistema di governo può o deve essere imposto da una nazione ad un’altra. Ma questo non riduce il mio impegno per avere governi che riflettano la volontà della gente. L’America non presume di sapere ciò che è meglio per tutti, ma ho la convinzione certa che tutti i popoli desiderino alcune cose: la possibilità di poter affermare le proprie opinioni e poter avere voce su come si è governati. La fiducia in una legge uguale per tutti e in una giusta amministrazione, un governo trasparente, che non si approfitti della cittadinanza, che sia onesto, e la libertà per ciascuno di scegliere la vita e lo stile di vita che preferisce. Queste non sono idee americane, ma diritti umani di base, che sosterremmo e per cui combatteremo ovunque”.

Con questo discorso, Obama ha teso una mano ed ha indicato un nuovo percorso  all’America, al Medio Oriente ed al resto del mondo, che dobbiamo percorrere tutti insieme, se vogliamo uscire dal nuovo tunnel in cui la storia ci ha infilato.

Roberto Ceccarelli

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