Perché la flat tax è sbagliata (2)
- Flat tax ed evasione fiscale
Non vi è evidenza che un significativo taglio della pressione fiscale farebbe diminuire l’evasione. I più considerati studiosi del sommerso affermano che l’evasione fiscale dipende in prima battuta dalla capacità amministrativa dello Stato e da come lo Stato é percepito dai cittadini. In seconda battuta impattano anche sull’evasione:
- gli aumenti della pressione fiscale. Una crescita sensibile della pressione fiscale fa aumentare l’evasione perché gli operatori economici spiazzati ricorrono al sommerso. Tuttavia non ci sono particolari evidenze del fatto che abbassamenti della pressione fiscale producano una riduzione dell’evasione
- fattori storici e sociali
- struttura del mercato, ovvero dimensioni degli operatori economici e circolazione del contante
Attualmente l’economia sommersa di tutti i paesi che adottano la flat tax si stima abbia una dimensione superiore all’economia sommersa italiana. Il professor Schneider dell’università di Linz, uno dei massimi esperti di evasione fiscale, nel 2015 stimava un’evasione fiscale (shadow economy) per l’Italia di circa il 20%. Secondo Schneider il primo paese per evasione fiscale dell’UE era la Bulgaria con circa il 32% del PIL seguito dalla Romania con circa il 31%. Entrambi i paesi adottano ormai da diversi anni la flat tax.
Più in generale i paesi dell’Europa occidentale hanno una pressione fiscale nettamente più elevata ed un’evasione fiscale nettamente più bassa dei paesi dell’Europa orientale, i paesi che hanno le migliori performance in termini di lotta al sommerso sono la Francia e l’Austria che fanno rilevare dati sulla pressione fiscale tra i più elevati al mondo
Altra evidenza importante è il trend. Dagli anni ottanta in avanti, contro ogni previsione l’evasione fiscale crebbe ovunque, dal 2005 ad oggi si rileva invece una dinamica di riduzione del sommerso, nell’ordine del 3-4% in tutti i paesi OCSE, i cui principali driver appaiono la diffusione dei pagamenti elettronici e l’aumento dell’efficienza dell’amministrazione finanziarie
- Flat tax, crescita e benessere
Non vi è alcuna evidenza che la flat tax, come ogni riduzione del carico fiscale per i più abbienti stimolerebbe la crescita; oggi il trickle down, ovvero la tesi che quello che va bene per i ricchi va bene per tutta la nazione è fortemente contestata. Riscuotono sempre più successo le idee di Piketty e Stiglitz secondo cui al contrario più tasse ai ricchi potrebbero significare maggiori investimenti pubblici che il privato non farebbe oppure tagli alle imposte sui redditi più bassi che si convertono in consumi. Oggi addirittura il Fondo Monetario Internazionale afferma che meno tasse ai ricchi non significa più crescita ma più disuguaglianze e che anzi in molti paesi occorrerebbe più progressività. Essenzialmente il mercato è fatto dalla domanda – il potere d’acquisto dei cittadini – e dall’offerta – la competitività delle imprese. La flat tax sarebbe l’ennesimo intervento volto a potenziare l’offerta, ma il risultato complessivo del taglio delle tasse ai ricchi potrebbe essere negativo perché i tagli alla spesa necessari per finanziare la flat tax potrebbero deprimere in misura significativa i consumi.
Qualora vi fosse spazio per una drastica riduzione della pressione fiscale sarebbe quindi opportuno partire dai redditi più bassi per stimolare i consumi, oppure tagliare l’aliquota sui redditi delle società perché le scelte di localizzazione delle imprese in un paese dipendono molto più dall’imposta sui redditi delle società che dalle aliquote sui redditi delle persone fisiche.
- Flat tax in Italia
Salvini afferma che all’Italia serve una flat tax con aliquota del 15%, Berlusconi dice che si potrebbe iniziare con un’aliquota del 23% che si potrebbe ridurre se la crescita del PIL fosse sostenuta. Carlo Cottarelli ammonisce che il taglio delle imposte da solo produrrebbe un buco di circa 30 miliardi.
La flat tax non si finanzia da sola e la sua introduzione sarebbe per il nostro paese una scelta spericolata. Alcune evidenze depongono chiaramente in questo senso:
- Nel 2005 il consulente economico della campagna elettorale di Angela Merkel, Paul Kirchoff, propose l’introduzione di una flat tax con aliquota del 25%, la proposta bocciata dai tedeschi fu ritenuta da più parti irrealizzabile anche in un paese ricco come la Germania.
- Negli stessi anni, nella legislatura 2001-2006 il governo Berlusconi ottenne dal parlamento una delega fiscale per introdurre un’imposta sui redditi con due sole aliquote, una del 23% ed una del 33%. La proposta fu accantonata perché considerata troppo onerosa per il bilancio dello Stato. L’Italia di allora aveva un rapporto debito/PIL che in pochi anni, grazie al lavoro fatto dai governi degli anni novanta, era fortemente calato e stava convergendo sul 100% del PIL; tale rapporto è oggi al 130%.
- Negli ultimi quindici anni la progressività del sistema fiscale italiano è fortemente diminuita, prima con la riforma dei redditi d’impresa che ha abolito il credito d’imposta sui dividendi, poi dando la possibilità di optare per una flat tax sugli affitti. Tale ultimo intervento non ha prodotto i benefici sperati in termini di recupero di sommerso.
La flat tax ci porterebbe a dover scegliere tra una probabile crisi del debito pubblico e tagli della spesa che deprimerebbero la domanda. Per finanziare dal nulla la manovra come affermato dal leader leghista Matteo Salvini occorrerebbe una crescita del PIL del 4 o del 5% per molti anni, obiettivo irraggiungibile nel mondo post Lehman Brothers e ancor più irraggiungibile per un paese come l’Italia che arriva da un lungo declino della produttività del lavoro e con un’età media molto avanzata.
Probabilmente oggi una spending review seria che liberi 10 o 15 miliardi da investire in ricerca e sviluppo avrebbe più ricadute positive di quelle di un drastico taglio della pressione fiscale. E inoltre ad un paese che invecchia servono asili e non meno tasse sui redditi elevati. Infine una flat tax per tutti renderebbe meno efficaci gli sgravi fiscali per i neo imprenditori, che oggi beneficiano di un’aliquota del 5%; parafrasando Thomas Piketty: “non sempre meno tasse significa più libertà (d’impresa).”
Per tutte queste ragioni la flat tax è un’idea antistorica e dannosa. Non per questo però sono fuori luogo le posizioni di chi invoca una semplificazione del nostro sistema tributario. Per esempio si potrebbero abolire piccole imposte come il canone Rai, la concessione governativa sui contratti di telefonia, il bollo sul conto corrente o quello sull’automobile che sono in alcuni casi ormai superate e sganciate dalla capacità contributiva e sostituirle con un’unica imposta computata su una base imponibile che intercetti una reale capacità contributiva.
E` opportuno ricordare in conclusione che oggi non è più tempo di credere a chi ci promette la chimera di una rapida rivoluzione che cambierà la nostra vita, si tratti della flat tax, dell’abbandono della moneta unica o di poco credibili tagli agli sprechi di molte decine di miliardi in un anno e senza effetti indiretti. La vera rivoluzione è far capire che l’Italia è un paese che si cambia lavorando non con il martello ma con il cacciavite.
Salvatore Sinagra
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