Piano di Ripresa e Resilienza: non basta metterci la firma

Venerdì scorso, Matteo Renzi, in un’intervista al quotidiano EL PAÍS, ha lanciato un messaggio che difficilmente avrebbe potuto essere più chiaro: se Conte pensa di poter avere pieni poteri, al pari di quanto preteso da Salvini qualche tempo fa, Italia viva farà cadere il Governo.

Lo stesso titolo dell’intervista non lascia dubbi a questo riguardo.

Al di là di ogni personale opinione sul modo di agire di Matteo Renzi, divisivo come raramente altri leader sono stati, il punto sottolineato nel corso dell’intervista appare fondamentale.

Infatti, l’Italia dovrebbe disporre di un ammontare cospicuo di fondi (più di 200 miliardi di euro) da destinare agli investimenti e alla modernizzazione del paese.

Renzi non ha alcuna intenzione di delegare ad altri – leggasi al PD e al M5S – queste decisioni.

Qualsiasi cabina di regia che dovesse vederlo escluso dovrebbe gestire l’attacco personale e partitico, di Renzi e di Italia viva. Questa dura presa di posizione potrebbe dare il colpo decisivo alle idee alla base della delega a una cabina di regia, coordinata dal triumvirato Conte-Gualtieri-Patuanelli, delle attività riguardanti il Piano nazionale di ripresa e resilienza. I tre, appunto, sono espressione di PD e M5S e questo non appare accettabile da parte del leader di Italia viva. Vedremo come andrà a finire, anche se appare difficile che un’occasione unica e forse irripetibile – per un paese come l’Italia – di erogare fondi e in misura consistente veda qualche partito di maggioranza al di fuori del processo decisionale e intenzionato a delegare ad altri le medesime decisioni…

Per dirla tutta, appare ben difficile che un ministro o notabile di partito – Movimento cinque stelle incluso – accetti di non far parte del nucleo che gestisce il complesso processo decisionale e, di conseguenza, accetti di lasciare che il proprio collegio, regione, ecc. non benefici almeno in parte dei medesimi fondi europei (o ne benefici, ma in virtù di decisioni altrui).

Un punto pare però attualmente non oggetto dell’attenzione che invece meriterebbe. La governance del processo attiene sicuramente alla identificazione dei beneficiari dei fondi. Su questo nessun dubbio. Ma, successivamente a questa decisione, ci sarà una fase, lunga e difficilmente identificabile oggi in termini di compiti e di risorse da rendere disponibili, che dovrebbe portare alla realizzazione di quanto verrà inserito nel Piano nazionale.

Il riferimento è alla semplificazione delle procedure, in linea con le richieste della stessa Commissione e ove queste siano di ostacolo alla implementazione del PNRR, al controllo di quanto in corso d’opera, alla interazione con i vari organi di controllo (ANAC, fra tutti), e a quant’altro necessario. In altri termini, se l’Italia vuole utilizzare al meglio i fondi, non sarà solo necessario identificare propriamente i progetti, ma fare in modo che gli stessi vengano realizzati. Speriamo che la politica, così attenta – e comprensibilmente – alla prima fase, non trascuri la complessità delle fasi successive.

Luigi Bonelli

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