Poco spazio per giovani e donne anche nel Terzo settore? (di Angela Masi)
Genere e generazioni: quale sfida per la cittadinanza attiva? Di giovani e di donne si parla molto e sono presenti in quasi tutti i discorsi e fanno bella mostra nei programmi politici. Si tratta di dichiarazioni di principio? Va di moda parlare di giovani, di donne e di nuove sfide oppure effettivamente la società si sta interrogando sul patrimonio rappresentato dalle nuove generazioni e dalle donne in un contesto altamente problematico rappresentato dalla crisi economica e del sistema politico e sociale? E con quali risultati?
Come al solito i dati reali ci aiutano a capire meglio di che si tratta. Uno sguardo ad un’indagine condotta da Cittadinanzattiva nel 2012 ci parla del Terzo Settore, dell’associazionismo e dei centri servizio del volontariato; insomma di tutto il variegato universo di associazioni nelle quali si esprime buona parte del volontariato in Italia. Ciò che accade in questo mondo dovrebbe rappresentare il meglio dell’evoluzione sociale e civile e i dati raccolti in parte confermano questa aspettativa, ma in parte riservano anche alcune sorprese.
Il focus dell’indagine ha riguardato gli organigrammi per scandagliare il tema del rapporto tra generi e generazioni nelle organizzazioni sociali.
Filo conduttore della ricerca sul rapporto tra generazioni sono stati:
- il dato demografico: secondo l’ISTAT In 15 anni, dal 1985 al 2010 i giovani tra i 15 e i 29 anni sono passati da 13 milioni a 9 milioni, mentre gli anziani over 65 da 7 milioni a 12 milioni. La popolazione giovanile rischia di trovarsi costantemente in minoranza nella società contemporanea;
- le nuove forme di partecipazione: la percentuale dei giovani che dedicano parte del loro tempo alla solidarietà sta aumentando: si è avuta una lettura distorta a causa del dato demografico. In termini assoluti il numero in 10 anni si è, invece, ridotto (-107 mila), ma proporzionalmente i giovani che fanno volontariato sarebbero addirittura aumentati: se nel ’96 erano sei su 100 i giovani impegnati nel volontario, dieci anni dopo sono saliti a 8,5 . E oggi il Censis ci dice che sono 2.000.000 i giovani tra i 15 e i 29 anni che fanno volontariato. Quindi, non crisi, ma trasformazione della partecipazione, nel senso che quest’ultima si sposta verso organizzazioni meno strutturate e all’interno di associazioni locali, calate nei contesti territoriali, piuttosto che nelle grandi associazioni a carattere nazionale;
- il mancato riconoscimento dell’importanza della partecipazione giovanile. Si sono evidenziati, nel corso della ricerca, stereotipi e modelli secondo cui “I giovani non partecipano, è difficile coinvolgerli, sono più individualisti, cercano qualcosa in cambio…”, nonché una scarsa conoscenza della complessità della realtà e la tendenza ad inibire la possibilità di un protagonismo autentico.
L’indagine ha rilevato, in tutte le associazioni intervistate e analizzate che vi è un ricambio “difficile”, nonché una certa imposizione del ruolo dei padri fondatori e delle regole della democrazia interna.
In altre parole, la differenza con il mondo profit, del lavoro è che “l’impegno civico non va in pensione”. In sostanza, tutte o quasi tutte le organizzazioni intervistate contemplavano nei ruoli di maggiore responsabilità i fondatori dell’organizzazione stessa.
Esistono, tuttavia, germi di buone pratiche: su 99 organizzazioni analizzate, sono circa 30 quelle che fanno riferimento esplicitamente ai giovani sul sito, con diversa “intensità” (servizio civile, sensibilizzazione nelle scuole, settori dedicati, settori con statuti e rappresentanti).
Interessante, per esempio l’iniziativa del CSV-net che ha realizzato un percorso partecipato per realizzare il Manifesto della Promozione del Volontariato Giovanile. Ha lanciato un sondaggio on line (sito internet dedicato, blog aperto ai contributi e delle giornate di incontro per valorizzare l’impegno civile dei giovani e la ricchezza della cultura giovanile) con domande riguardanti l’attivismo giovanile e cosa le nuove generazioni si aspettano dalla partecipazione attiva alla vita di questo Paese.
Quanto alle tematiche di genere,ogni organizzazione ha un organigramma differente.
Laddove è contemplata la carica di presidente, cioè 99 organizzazioni, in 81 casi è affidata agli uomini, solo in 15 casi alle donne. Lo stesso accade per la carica di segretario generale (su 30 organizzazioni in 24 sono uomini, in 6 donne) e persino per quella di vice-presidente (su 62 organizzazioni, 77 uomini e 31 donne).
Nonostante si tratti di dati parziali, la ricerca di Cittadinanzattiva evidenzia che le percentuali di donne in posizioni di responsabilità politica all’interno delle organizzazioni sono ancora basse rispetto alla percentuale di volontarie all’interno delle organizzazioni. Infatti, secondo i dati ISTAT il 46% dei volontari è donna, polarizzato nelle associazioni femminili, in quelle di cura e in quelle per l’educazione.
Una cosa è certa, sui temi relativi alla partecipazione nella comunità di giovani e donne, sopravvivono tuttora numerosi luoghi comuni e stereotipi ed una realtà di fatto che, quasi per inerzia, non permette e non facilita il ricambio. Niente di nuovo verrebbe da dire, il problema del rinnovamento non è cosa che si limita alla politica e alle istituzioni, ma è un problema sociale di grande rilevanza che chiama in causa il modello Italia in tutti i suoi aspetti.
Angela Masi
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