Politica e figli (di Daniela Gambino)
Non ho figli e sono egocentrica. Parlerò di come ho scoperto io la politica, ok? Se non vi va leggete altro.
Diciamo che io non ho avuto, sin da subito, una coscienza politica. La mia è una famiglia profondamente di sinistra che potrebbe essere usata come parametro con padre operaio – almeno per un pezzo, prima dei mutui – secondo la teoria marxista con prole multiforme, ben 4 prole e un prolo, che però della sinistra non sapeva niente. Ovvero, un tempo lontani parenti avevano lottato per le terre in ridente paesino nei pressi di Palermo, e forse e dico forse, gli era stata richiesta la tessera del partito comunista.
Ma la politica, a casa mia, non era un bene contemplato: qualcuno chiedeva voti, di rado devo ammettere; dai quartieri una voce prometteva e contava con non so quale metodo chi e dove aveva votato per lui nel segreto dell’urna. Non ho mai capito come funzionava il calcolo, ma si raccontava lo facessero.
Fin da subito, insomma, mi sono abituata all’idea che ti sgamavano, che la politica era insidiosa persino in questi termini, che la matematica non è un’opinione e si risale al chi e al come. Ma la politica per me erano i volantini nelle buche delle lettere. Fu uno svolazzare di santini dal cielo, una mattina che mi trovavo in spiaggia, una folata di tesserine rosa che dicevano metti qui una x, sputate direttamente senza paracadute dalla pancia di un biplano a insozzare il candore della sabbia. Erano le strade invase dai manifesti, con frasi troppo rassicuranti per essere vere e un’ossessiva ripetizione del verbo cambiare. Erano facce che sembravano impastate col pongo, quello che ci dava la maestra alle elementari, e messe in cima a colletti bianchi e cravatte.
Un mio compagno di classe mi confidò scioccato che la madre, una volta, vedendo comparire non so chi, non solo aveva inveito verso di lui , ma simulato uno sputo bello forte, puh, in quella direzione. Ve lo dico perché, se avete figli, magari li traumatizzate.
Alle elementari ho scoperto di essere nata lo stesso giorno di Sandro Pertini e, una volta, alle medie, fui l’unica a rispondere alla domanda “chi è il presidente del consiglio?”, allora era Fanfani. Oggi non accadrebbe più, credo, di essere l’unica.
Per me, Berlusconi, ha rivelato al mondo di più che le tette scoperte delle donne di Drive in: per contrasto ha mostrato alla sinistra, una serie di ideali di condivisione. Per me la sua discesa in campo è stata una specie di epifania. Ho saputo di Berlinguer, perché avevo bisogno di sapere che c’era qualcuno e qualcosa oltre e prima di Berlusconi, qualcuno con l’aria emaciata, che non avesse preso tanto sole, trascorso abbastanza ore dal dentista da assicurarsi un sorriso perfetto. Qualcuno che non facesse ripetere di continuo alla gente, al bar, o dal barbiere, le frasi: Si è fatto da solo, E’ ricco e non ci fregherà i soldi, Puoi dire quello che vuoi, ma è simpatico, fa ridere.
Analizziamo velocemente: la prima frase rivela l’uso continuato e consolidato delle appartenenze familiari e delle conventicole e spintarelle, la seconda l’idea discriminante che chi è povero prova l’impulso di rubare, la terza che alla gente piacciono le barzellette sceme. Ma lui nell’ambito non era un precursore, c’era già stato Andreotti, con il suo codazzo di aficionados che ridevano delle sue battute e le riportavano come Il potere logora chi non ce l’ha, altra frase che rivela l’intima convinzione – lui come Berlusconi – di essere invidiato e di essere osteggiato non per una politica spavalda e spregiudicata, ma perché si vorrebbe essere al loro posto.
A un certo punto, sai che c’è? Volevo qualcuno che non mi facesse ridere, anzi, uno bello serio, con cui ricompormi un pochino e non sbracare del tutto. Per un po’ ho creduto agli slogan di sinistra compreso Un altro mondo è possibile, poi, con i proclami, ho chiuso. Spero che si renda più vivibile questo mondo qua, invece di sostituirlo con uno più nuovo, come si fa coi motori.
Ma non è di questo che volevo parlare, ma soprattutto del mio universo politico di bambina. Del tempo impiegato a capire il significato della frase il personale è politico, di quanto sarebbe stato utile che qualcuno me lo avesse spiegato prima. Di quanto sarebbe stato necessario spiegare cosa succedeva e del fatto che mi sembrava che la politica fosse programmaticamente distante e oscura e che Berlusconi, con la sua esposizione mediatica, abbia reso noto, anche ai meno avvezzi, la differenza tra chi detiene il potere economico e chi quello culturale, mostrandoci il suo sogno di far coincidere le due cose. In parte, insisto, solo in parte, avverato.
Crescendo mi sono abituata a vedere i diversi orientamenti politici avversi come due tifoserie di curve opposte. Nessuno che sconfina nel campo dell’altro, nemmeno su discussioni comuni come i diritti umani. Sei un essere vivente a destra così come a sinistra, o no? O c’è un loro e un noi? E se la politica deve combattere le differenze che fa, nella pratica, le amplifica?
La politica, da spiegare adesso a un bambino, con tutti i tagli e la mancanza di welfare per precari, disoccupati, donne, anziani e minori, è una specie di nemico sordo – se non ci sono asili, se i tuoi genitori sono costretti a lavorare in nero e per pochi euro, se tua madre è una single e non sa a chi affidarti quando deve fare gli straordinari – la politica non c’è e non ti rappresenta, i bambini sono buoni da mostrare nei family day, poi come li fai e li mantieni sono fatti tuoi.
Dalla politica, manca la polis, per dirla tutta, sembra un sistema feudale, di quello studiato sui sussidiari, con tasse ai poveri, la polis, quella che ti insegnavano nell’ora di educazione civica. A proposito la fanno ancora a scuola, questa materia, oppure è fra quelle tagliate?
Daniela Gambino tratto da www.xpolitix.com
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