Politica italiana qui si vedrà cosa vali (di Mila Spicola)

C’è un vuoto improvviso, anche se ancora viviamo di echi. Le migliaia di righe da anni occupate da Silvio Berlusconi adesso dovranno essere riempite da altro. Non solo nei giornali, ma soprattutto nella politica.

E’ il “momento d’oro” per farsi valere e per farsi vedere. La classe politica italiana è a nudo in queste ore di fronte al paese. Di fronte a noi italiani che ben poco possiamo fare da qui a sette giorni se non assistere. Siamo ancora con le bocche stupefatte, colpiti dagli ultimi eventi. Da Duino a Lampedusa. Tutti quanti.

Fermi, immobili, nonostante il chiacchiericcio. E’ il momento di rimanere svegli e vigili per curare gli interessi degli italiani tutti. Oggi sono a casa in preda ad un ascesso. E qualcuno potrebbe ironizzarci su e pensare che io deliri. No, ho solo il tempo “recuperato” dalla malattia, per riflettere con l’eco delle voci dei miei ragazzi. Per sentirmi in colpa e immaginarli vagare per i corridoi con la sedia in mano, pronti ad essere mollati nella prima classe che gli capita. Cosa c’entra con la crisi e con le dimissioni di Berlusconi? C’entra c’entra. Perché quelle sedie vaganti dovevano servire a sanare i conti, nella vulgata delle falsità e delle menzogne. E invece hanno ammalato tutti quanti. Nella litania degli sprechi ideologici. Come dicevamo in tanti, sono servite ad aumentare lo sconcerto e la confusione. Ad aumentare divari, povertà, ritardi. E’ giunta l’ora di ripartire dalle vere priorità della vita di ciascuno. A partire da un ragazzino senza prof.

La priorità non sono i conti, sono gli uomini che stanno dietro a quei conti. I provvedimenti giusti non sono quelli che conducono un paese allo sbando, l’inefficace macelleria sociale a cui abbiamo assistito per spremere parti del paese che anche se le spremi non esce nulla se non rancore.

E’ il momento di valutare per bene chi abbiamo posizionato in quelle stanze, in quelle Aule e in quei corridoi: decideranno il “come” e il “cosa” è meglio per il paese e per noi o il “chi”? Questa è la domanda che in cuor suo ognuno inizia a porsi. Riusciranno le ragioni dell’uomo e dell’umanità a prevalere sulle ragioni dell’economia? Perché il nodo è tutto lì. I mali del liberismo che ci ha condotto nel baratro di cui parla la Marcegaglia non si sanano senza rimettere priorità ed emergenze nel giusto posto.  La priorità adesso non è l’economia, anche se l’uomo che dovrebbe salvare tutto è un economista. La priorità è la buona politica, quella che parte dai bisogni e dai doveri collettivi delle persone in quanto somma di uomini e donne.

Saranno prioritarie, da qua a dieci giorni, strategie, alleanze, posizionamenti per riallinearsi, nella logica del vecchio malcostume italiano, o politiche, provvedimenti, decisioni, azioni  necessarie? Ci sarà un cambio di passo? In una parola: riusciranno a dare un colpo di spugna alle “repubbliche” modali che ci hanno preceduto (e mai termine più errato fu scelto)? La prima, la seconda, la terza…quelle delle “conversazioni”, dei “summit”, degli incontri a tre, a quattro, dei gruppi da Stato Maggiore, dove le parole più pronunciate sono i nomi, i dove, i con chi, in quale posto, ..replicando all’infinito mali e vizi del sistema politico italiano? Oppure prevarranno le discussioni trasversali su ciò che è meglio fare adesso , subito, per riprendere il passo e non rimanere nel fondo del pantano? Non i “noi di qua e voi di là” degli schieramenti, ma il noi reale di italiani in pericolo. Sarebbe l’ora e la Storia la sta servendo su un piatto d’argento questa possibilità. Hanno capito che le parole chiave oggi per l’Italia e per i mercati sono “fiducia”e “credibilità”, cioè valori etici di valore immateriale?

Nessun governo tecnico sarà efficace se prima non si definiscono alcuni limes. Come gli antichi quando costruivano una città nuova, piantavano i paletti e una corda segnava il confine: tra ciò che era città e ciò che non lo era, tra civile e incivile, tra città e natura. Si benedivano persino. Quei confini. Come qualcosa di sacro. E poi si iniziava a costruire, a vivere, a organizzare. Oggi quei recinti sono stati distrutti dalla volgarità etica e dal disprezzo e spregio di ogni regola in nome di qualunque tipo di potere impazzito, politico, economico o sociale.

Il recinto e i paletti non sono altro che il ricreare le basi del vivere comune e del vivere collettivo rifissando regole, presupposti e prospettive. Alcune decisioni dolorosissime dovranno essere prese ma non distruggendo quelle basi, e oggi sono chiarissime ed evidenti a tutti: gli aiuti necessari ai più deboli, che ormai sono bocchette per l’ossigeno. Senza ossigeno ai più deboli l’Italia non riparte. Giovani, disoccupati, precari, donne, anziani, sud. Attenzione: non assistenzialismo, ma politiche adeguate.

Primo. Tagliare i privilegi e gli sprechi reali, non ideologici per macinare qualche consenso. E quale spreco o privilegio più odioso se non quello degli abnormi costi della politica? Non è demagogia: è dare l’esempio. La base elementare per ogni politica, secondo De Gasperi. Il cui stipendio era di poco superiore a quello di un insegnante. Quanti fanno finta di scordarselo?

Secondo.  Accantonare per un attimo manie di grandeur: grandi opere, spese militari da impero coloniale, non ce le possiamo permettere. Sic et simpliciter. Quando sono il tinello e la cucina a non funzionare.

Riuscirà questa classe politica a capire quali sono le reali premesse da cui partire per prendere ciascun provvedimento? Non la propria difesa e nemmeno il ritenersi indispensabili. Bensì agire perseguendo giustizia sociale. Persino un bocconiano forse potrebbe capire che non è da “comunisti” ritenere che se non si sanano certi divari, anche sostenendone qualche costo, togliendo di qua e mettendo di là, facendo venire , non dico il mal di pancia, ma l’ulcera a qualcuno, da tutto questo non se ne esce.

Se non si cambia davvero il modo di agire e decidere il grande vuoto lasciato dalla deflagrazione delle nostre Torri Gemelle, il fallimento non solo di Berlusconi, ma di tutta la classe politica e partitica a lui collegate, rimarrà quello che è: vuoto, pronto a diventare fango alle prime piogge.

Terzo. La patrimoniale. Non riduciamola a un sostantivo, ma analizziamola nella sostanza e nel significato: i costi delle prossime manovre non possono essere sostenuti dalle fasce deboli, non per mancanza di volontà di queste ultime (qualora fosse messa in conto), ma semplicemente perché non hanno denaro in tasca. Vanno sostenuti da chi può farlo. Senza che l’enorme potere contrattuale di questi ultimi influenzi e schiacci le decisioni di chi è chiamato a decidere in queste ore e che è compreso per intero in quella classe sociale. Quella di chi può sostenere costi.

Quarto. Non facciamo oggetto di sarcasmo, di scherno o di scandalo un serio e ponderato inasprimento dei controlli sui gettiti fiscali. L’evasione fiscale è un furto alla collettività. Non è bello pagare le tasse, ma è meno bello essere ladri. E anche qui: i privilegi e l’enorme potere contrattuale dei veri destinatari di quegli inasprimenti, spesso coincidenti con chi ci ha governato (penso ai grandi capitali di imprese come quella di Caltagirone, suocero di Casini, o della Prestigiacomo, tanto per fare i primi due nomi che mi vengono in mente, ma l’elenco è davvero lungo) o potrebbe governarci, non schiaccino ciò che è bene per il Paese intero e non per una sua parte.

Quinto. Tassiamo i beni superflui, aumentandone il costo. Non quelli essenziali. Sigarette, alcool, dolci, auto , moto, beni di lusso e barche di grossa cilindrata. E con quelli finanziamo la cultura e la ricerca.

Non saranno due banchi in meno in una scuola o le pagelle dei miei alunni on line a salvare le sorti dell’Italia. Abbiamo visto a cosa ci hanno condotto i tagli nella scuola: al disastro nelle vite future dei nostri ragazzi senza vantaggio alcuno per le casse dello Stato. A cosa è servito il disastro accumulato tra i banchi in questi 3 anni? A chi è servito? A tenere qualche giorno in più davanti alle telecamere un ministro dell’Istruzione pappagallino balbettante e impreparato?

A chi è servito? A te tabaccaio che forse hai pagato meno tasse ma il tuo negozio è vuoto? A te dentista che evadi bellamente ma ti scarseggiano i clienti? A te commerciante, avvocato, parrucchiere? E chi viene a tagliarsi i capelli oggi? A che serve pagare qualche centinaia di euro in meno se poi abbassate la saracinesca e trovate un paese in rovina?

A chi è servito? Alla vecchietta pensionata che la domenica mattina mette sul primo canale a massimo volume la Santa Messa e si batte il petto contro i Comunisti, Dio ci scansi e liberi? E poi al pomeriggio si ritrova con qualche spicciolo, sempre di meno, da regalare al nipotino. Sempre più incattivito, più maleducato, più tracotante?

Che cosa c’entra con la crisi? C’entra c’entra. C’entra con la parolina che fa capolino tra i 39 quesiti che ci pone l’Europa. Capitale Umano. Nessun capitale è concepibile se quell’aggettivo non è posto innanzi a ciascuna politica, a ciascuna strategia, alleanza, tavolo e a ciascun provvedimento.

Quei 39 quesiti che l’Europa ci ha posto per iscritto, relativi alle misure e alle risposte che la nostra politica sarà chiamata a dare saranno oggetto di sostanziale e completa contrattazione nei tavoli delle decisioni che si stanno ponendo frettolosamente in essere? O verranno delegati agli ultimi dieci minuti di rito e solo dopo avere deciso e stabilito i “chi” e i “perché”? Seguendo come al solito logiche di appartenenze piuttosto che di competenze? Fatta salva la figura dell’uomo chiamato a salvare la patria dal suo orto: il Cincinnato di turno.  Possiamo salutare con gioia il fallimento della politica?

In una parola: si cambia tutto per non cambiar nulla o si cambia davvero? Vien dura pensare che le stesse persone che stanno lì da 20 anni possano all’improvviso essere in grado di pensare, fare, scegliere e decidere in modo diverso da come sono stati capaci di fare fino a ieri. Un paese intero, un mondo intero sta urlando a gran voce: basta. E’ ora di cambiare. Fiducia e credibilità chiedono i mercati. Fiducia e credibilità chiedono gli italiani. Dovrebbero pur capirlo. Anche se le dinamiche di “contrattazione” a cui stiamo assistendo in queste ore non fanno presagire nulla di nuovo sotto il sole. O sotto le nubi. Una differenza però oggi c’è. Noi stiamo osservando. Nonostante l’ascesso.

Mila Spicola

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