Primarie del centro sinistra: il bene (in) comune (di Vanni Salvemini)

Il valore di questa straordinaria partecipazione di popolo va oltre il Pd, oltre il centrosinistra. È una tappa della ricostruzione nazionale.

Cosa ci insegna:

a)    Le primarie portano coraggio dove c’è paura, fiducia dove c’è risentimento, senso di comunità dove c’è individualismo e solitudine. Le decine di migliaia di volontari che consentono questo atto collettivo di libertà sono la prova vivente che una riscossa civica è possibile. Sono la prova che la politica non è finita, che la resa alle oligarchie non è scontata, che il declino può essere invertito se le persone riescono a tenersi per mano senza negare le differenze. La drammatica crisi sociale non è riuscita a distruggere la percezione del bene comune. La politica democratica può farci uscire dalla disperazione della moltitudine informe, dal dominio assoluto della finanza, dai populismi, dalla rabbia impotente.

b)    Le primarie stesse nascono da un atto di fiducia non scontato. La crisi di credibilità della rappresentanza sta diventando una crisi di legittimità. La corruzione è alimentata da una politica autoreferenziale e separata. L’impoverimento dei ceti medi e delle famiglie sta formando una miscela esplosiva tra tensioni sociali e deficit democratico. Quando il Pd ha deciso di dar vita a queste primarie – con tutte le contraddizioni e le sofferenze che esse aprivano – non era solo l’ultimo partito con la dignità di chiamarsi partito. Era anche l’ultimo punto di resistenza «costituzionale» alla vulgata dell’azzeramento, secondo la quale destra e sinistra sono la stessa cosa, la politica non serve a nulla se non a rubare, e alla fine è meglio che muoia Sansone con tutti i filistei. Una vulgata sospinta anche da pezzi della borghesia italiana, che coccolano Grillo e poi, con lo stesso sentimento anti-partitico, reclamano un governo di tecnici a prescindere dalle elezioni.

c)    Le primarie hanno allargato il campo del Pd. Hanno costruito una coalizione, hanno attratto ulteriori consensi. I numeri della partecipazione alle primarie segneranno questa stagione politica. Apriranno di fatto il dopo-Monti. Il che non vuol dire che i meriti del governo debbano essere disconosciuti. Ma d’ora in avanti non si potrà più negare la candidatura del centrosinistra e opporre ad essa una soluzione solo «tecnica». Ciò che sta avvenendo nel magma del Centro è già una reazione al successo delle primarie del centrosinistra: il governo del dopo Monti dovrà avere comunque un chiaro profilo politico (e con il populismo berlusconiano la rottura deve essere netta per chiunque voglia davvero concorrere).

Guai se il Pd, da domani (o dal giorno successivo al ballottaggio), commettesse l’errore di considerarsi autosufficiente. Il suo coraggio, i suoi valori costituzionali, il suo desiderio di rinnovamento devono spingerlo ad allargare di più le braccia. A rischiare ancora. L’obiettivo non è solo vincere una competizione elettorale, ma avviare un processo che coinvolga le forze migliori dell’Italia. Se oggi il Pd è stato centro di attrazione del centrosinistra, domani dovrà esserlo anche di coloro che vogliono partecipare alla ricostruzione del Paese.

Vanni Salvemini da vannisalvemini.wordpress.com

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