Una proposta su accoglienza e integrazione
Con una lettera a Repubblica Giorgio Gori sindaco di Bergamo fa una proposta per gestire l’accoglienza e l’integrazione dei migranti. Dopo aver riconosciuto la giustezza della battaglia di Matteo Renzi “per un maggiore coinvolgimento dell’Europa e per una politica di investimenti che riduca i flussi dall’Africa” osserva però che all’interno del nostro Paese ci sono troppe criticità che derivano, in primo luogo, dall’aver affrontato la questione immigrazione come un’emergenza. E invece emergenza non è, ma un fenomeno di lunga durata che continuerà per molto tempo. La particolarità della nostra situazione è che, dopo la chiusura delle frontiere, da luogo di transito oltre che di permanenza, siamo diventati “una destinazione finale”. Questo è il motivo per cui la pressione sulle strutture di accoglienza si è fatta così forte e lo è in particolare per quei pochi comuni (500 su 8.000) “che portano sulle spalle tutto il carico dell’ospitalità”.
In primo luogo “la base dell’accoglienza va assolutamente ampliata e l’unica strada è una seria incentivazione dei Comuni centrata sullo sbocco delle assunzioni”. Occorre, però, un vero e proprio piano nazionale che “tenga conto di due evidenze:
1) La gran parte dei richiedenti asilo è destinata a vedere respinta la propria istanza. A Bergamo, dall’inizio dell’anno, i “no” della Commissione territoriale sono stati il 93%. Qualcuno verrà riammesso dai Tribunali, ma il 75-80% resterà fuori (la gran parte dei migranti arriva da Paesi in cui non sono riconosciuti conflitti o persecuzioni).
2) Per questi “diniegati” la legge prevede il rimpatrio, ma i rimpatri eseguiti sono un’eccezione. Mancano gli accordi bilaterali con i Paesi d’origine (tutt’altro che facili da fare) e ci sono grossi problemi burocratici ed economici. Per rimpatriare 10.000 migranti servono 116 voli e 20.000 poliziotti. Ogni rimpatrio assistito costa tra i 3.000 e i 5.000 euro. Non è quindi realistico (almeno nel breve) che se ne possano fare molti di più”.
Osserva Gori che i “diniegati” restano comunque sul territorio nazionale “espulsi dai luoghi di accoglienza, senza documenti, senza soldi, senza un luogo dove stare, irregolari consegnati ad una vita di espedienti e di attività illegali, in attesa di trasformarsi in un problema di sicurezza e di ordine pubblico”. E’ chiaro che questo è uno degli aspetti cruciali della questione immigrazione ed è quello che determina le reazioni più negative.
La proposta di Gori è che si dia una possibilità a “chi tra loro ha voglia di fare, di imparare e di rispettare le nostre leggi” con un percorso organizzato di integrazione che obbligatoriamente “preveda l’apprendimento dell’italiano e di elementi culturali di base, accompagnato da attività lavorative (centrate sulla manutenzione del territorio) e da moduli di formazione professionale”. Più o meno è ciò che oggi accade solo per i profughi cui è stato riconosciuto il diritto di protezione. Secondo Gori invece “lo schema va esteso a tutti i richiedenti e attuato sin dalla fase di seconda accoglienza, ben prima che le commissioni si pronuncino, moltiplicando le strutture Sprar e i luoghi di accoglienza diffusa”. E solo chi rifiuta di stare dentro questo percorso deve essere rimpatriato.
Per chi lo accetta invece “impegno e livelli di apprendimento dei migranti devono essere misurati e diventare decisivi ai fini della concessione del permesso umanitario. Che non può essere concesso a tutti, ma solo a chi accetta un patto fondato su formazione, lavoro e concreta volontà di integrazione”.
Solo così, sottolinea Gori, “possiamo evitare di diseducarli lasciandoli per quasi due anni senza far nulla, e insegnare loro che l’accoglienza ricevuta richiede una “restituzione”. Solo così possiamo ridurre il numero dei rimpatri da eseguire ed evitare di generare una massa crescente di irregolari indirizzati verso attività illegali”.
La proposta sembra valida, ma, soprattutto punta decisamente a far cessare l’ipocrisia di un’emergenza in corso da anni che tale è solo perché mancano piani e obiettivi. L’emergenza alimenta il degrado e il rifiuto. I percorsi di integrazione costruiscono il futuro
Claudio Lombardi
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