Protestare è giusto, costruire l’alternativa è necessario (di Claudio Lombardi)

Il 15 ottobre sarà una giornata internazionale di mobilitazione “contro la distruzione dei diritti, dei beni comuni, del lavoro e della democrazia causata dalle politiche anticrisi, che difendono i profitti e la  speculazione finanziaria”. Così precisa il senso dell’iniziativa il coordinamento che raccoglie le sigle organizzatrici delle manifestazioni.

Nel pieno di una crisi economica mondiale la cui responsabilità va attribuita allo strapotere dei centri che controllano il denaro e che, attraverso il denaro, decidono le sorti delle economie nazionali nasce un movimento che vuole rimettere al centro gli esseri umani. Con molta utopia certo, ma con il coraggio di uscire fuori dal balletto di analisi e terapie che danno sempre per scontata e inevitabile la libertà assoluta della speculazione finanziaria.

Negli USA è scoppiata la protesta contro i maghi della finanza e contro il connubio con i governi prontissimi a far pagare alla massa dei contribuenti i danni fatti dalla finanza, ma incapaci di dettare e far rispettare regole che ne limitino l’arbitrio.

Non a caso Paul Krugman in un articolo sul New York Times parla esplicitamente di “americani ricchi che beneficiano ampiamente di un sistema truccato a loro favore” e di “gente che è diventata ricca trafficando con complessi schemi finanziari che, lungi dal portare evidenti benefici economici agli americani, hanno contribuito a gettarci in una crisi i cui contraccolpi continuano a devastare la vita di decine di milioni di loro concittadini”. Mentre loro “non hanno ancora pagato nulla. Le loro istituzioni sono state salvate dalla bancarotta dai contribuenti con poche conseguenze per loro”. E “beneficiano anche di scappatoie fiscali grazie alle quali gente che ha redditi multimilionari paga meno tasse delle famiglie della classe media”.

È un’analisi valida anche per l’Italia e aggravata dall’evasione fiscale, dalla corruzione e da una classe dirigente politica al governo incapace, corrotta e con troppe presenze e connivenze criminali.

Questi i motivi di una rivolta sociale che è giusto e necessario che ci sia perché da troppi anni il prelievo a carico della maggioranza dei cittadini serve per finanziare una gigantesca macchina di redistribuzione del reddito a favore di alcune categorie sociali e un bilancio pubblico nel quale non ci sono mai i soldi per i servizi e per l’assistenza, ma che non lesina mezzi quando si tratta di favorire gruppi di potere intrecciati e collusi fra politica, imprenditoria e criminalità.

Un caso esemplare. Roberto Perotti e Marco Ponti intervengono sulle grandi opere con un articolo sul Sole 24ore dal titolo emblematico: “Grandi eventi? Meglio la città pulita”.

“La ragione ci aiuta a smitizzare uno dei miti più devastanti dei nostri tempi”. Così inizia l’articolo e già definire miti devastanti i grandi eventi che sono stati la bandiera dei governi degli ultimi anni fa intravedere un baratro di sprechi e di assurdità.

I due autori scrivono “per evitare di dover piangere domani”. Parlano dell’EXPO milanese, del Ponte sullo Stretto e della TAV.

Ricordano che i numeri usati per magnificare la spesa delle grandi opere sono “fuorvianti, perché basati sul classico meccanismo dell’analisi di valore aggiunto”, ma quei numeri non dicono che “l’euro iniziale avrebbe potuto essere speso in mille altri modi”. Infatti “prima di spendere tra i 7 e i 14 miliardi (quasi l’1% del Pil) sull’Expo, tra i 5 e i 10 per la Tav, forse una decina per il Ponte sullo Stretto, si dovrebbe avere una ragionevole certezza che ne valga la pena. Invece analisi costi – benefici in Italia non si fanno, o si fanno per finta, commissionandole ai soggetti interessati: si fanno invece molte analisi di valore aggiunto, che dicono sempre sì”.

La conseguenza è drammatica: “eventi e infrastrutture inutili distolgono risorse finanziare, politiche ed umane dal lavoro molto più oscuro ma molto più importante dell’ordinaria amministrazione”. Per esempio: con una minima frazione del costo dell’Expo milanese “si potrebbe fare molto di più per migliorare la vita dei cittadini: dal tenere le strade pulite a riempirne le buche, dal mettere a posto le scuole a ripulire i navigli, da pulire i graffiti sui muri a migliorare i servizi sociali”.

Ecco la drammaticità: con un bilancio pubblico gravato da un debito enorme, con un’evasione fiscale che sottrae risorse immense ogni anno, con un livello di spreco e inefficacia in gran parte dovuto alla corruzione, ma anche ad una cultura politica e amministrativa disinteressata ai risultati, nel pieno di una crisi che ci fa pagare prezzi altissimi, con questa situazione, chi tiene in mano il potere è prontissimo a sprecare miliardi e miliardi di euro in opere inutili che non migliorano le condizioni di vita dei cittadini o l’efficienza del sistema paese.

Lo Stato non può più funzionare così e bisogna dirlo chiaro e forte perché le ingiustizie le pagano i cittadini (tranne quei pochi che ne traggono profitto). Con questo spreco di risorse non c’è futuro e non c’è sviluppo.

Negli USA fa scandalo ed è uno dei motivi della protesta, che il capitalismo continui indisturbato a sottrarre ricchezza all’economia non solo con le speculazioni finanziarie, ma anche con quelle che sempre più appaiono appropriazioni indebite, ma vengono chiamate retribuzioni dei top manager. Il caso recente più clamoroso è quello del capo di HP che è stato cacciato dal suo incarico per incapacità dopo appena 11 mesi, ma si è messo in tasca ben 23 milioni di dollari. Ebbene, che senso ha togliere un tale valore generato dall’azienda e consegnarlo ad uno per il solo merito di appartenere ad una razza padrona al di sopra di ogni controllo? In questo modo si impoverisce l’economia e quei soldi spariscono dai bilanci delle società e prendono la strada delle speculazioni finanziarie.

Contro questo capitalismo che ha tradito i principi di concorrenza e che chiama mercato la libertà assoluta garantita ad alcuni grazie alla sottomissione della stragrande maggioranza degli altri è giusto protestare. Oltre la protesta, però, bisogna mettere le basi di una rivoluzione culturale e civile che rimetta al centro dello Stato la persona e il sistema sociale nel quale tutti lavoriamo e viviamo. La vera competizione non si fa con i numeri, ma con i fatti che solo gli esseri umani possono produrre con il loro lavoro.

Claudio Lombardi

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