Qatargate: uno scandalo che fa male

Il Qatargate non  è uno scandalo come altri, ma fa più male perché è anche un colpo all’europeismo. L’Europa aveva già tanti problemi di tenuta ideologica e valoriale, mancava un caso di corruzione eclatante come quello emerso in questi giorni con l’arresto di Eva Kaili vice presidente del Parlamento Europeo. E tutto lascia intendere che sia solo la punta di un iceberg profondo. Già i nomi degli altri arrestati ed indagati fanno immaginare una cerchia non ristretta di persone che hanno agito all’interno o ai margini dei centri decisionali dell’Unione europea.

Fa male perché il Parlamento Europeo rappresenta l’Europa dei popoli e in qualche misura l’istituzione più simbolica. Nel corso degli ultimi decenni è stata faticosa la riforma delle Istituzioni europee che ha portato il Parlamento ad assumere un ruolo via via sempre più rilevante nel tentativo di ridurre il gap di democrazia e di rappresentatività dei cittadini europei. Traguardi che rischiano adesso di essere vanificati o messi da un canto per molto tempo.

E’ grottesco oggi leggere sul sito del PE : “Il Parlamento ritiene che il proprio compito non sia soltanto quello di promuovere un processo decisionale democratico in Europa, ma anche di sostenere la lotta per la democrazia, la libertà di espressione e lo svolgimento di elezioni regolari in tutto il mondo. Il Parlamento europeo non ritiene che i diritti fondamentali delle persone finiscano alle frontiere dell’UE. Le sue deputate e i suoi deputati si pronunciano regolarmente, individualmente e all’unisono, sulle tematiche relative ai diritti umani nei paesi terzi. Poiché questi diritti sono considerati universali”.

Una retorica non più sopportabile dopo la guerra in Ucraina che ha mostrato la debolezza del peso politico dell’Europa e dopo i pacchi di banconote a casa della vice presidente Kaili.

Fa male il Qatar gate perché finisce la favola del lobbismo sano e della corretta rappresentazione presso le istituzioni europee del Sistema Paese, quello per cui si andava a Bruxelles per concertare orientamenti e misure di politica agricola o industriale, dimostrando quanto fosse condiviso nel Paese l’interesse generale pure in presenza di interessi di parte.

Fa male perché stavolta la lobby è quella di uno stato estero molto lontano dagli standard di libertà e di rispetto dei diritti che sono alla base delle società europee.

Fa male (a molti) perché coinvolge la parte politica dalla quale ci si sarebbe aspettata una attenzione vera ai temi del lavoro e delle condizioni dei lavoratori e più in generale ai temi dei diritti umani universali.  Anzi, più che un’attenzione, una profonda identificazione.

Invece non c’è niente che tiene, né il sogno europeista, né quello social democratico. La sinistra modaiola ha cavalcato i temi dei diritti civili spesso lasciando in disparte i diritti sociali perché sono questi a dare fastidio e a “puzzare di fatica”, ma non si è accorta delle “serpi in seno” che stava allevando all’ombra di parole altisonanti.

Non resta che sperare in una gestione trasparente del Next Generation EU, unica occasione di riscatto dopo questa brutta pagina di storia dell’Unione Europea.

Liliana Ciccarelli

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