Quattro referendum contro l’insicurezza dei cittadini (di Claudio Lombardi)

Dunque è deciso: il 12 e 13 giugno si andrà a votare per quattro referendum.

Legittimo impedimento ovvero l’abrogazione delle norme che consentono al Presidente del Consiglio e ad altre cariche istituzionali di rinviare i processi nei quali sono imputati fino al termine del loro mandato.

Nucleare cioè l’abrogazione della norma che dispone la realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare.

Servizi pubblici locali di rilevanza economica e non solo acqua con due quesiti. Il primo cancella le norme che hanno previsto l’affidamento dei servizi locali con gare pubbliche e l’obbligatoria partecipazione o cessione di quote azionarie di proprietà pubblica ad imprenditori privati. Il secondo quesito riguarda la parziale abrogazione della norma sulla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato che ha stabilito una remunerazione del capitale investito del 7% senza alcun collegamento ad obblighi o impegni di miglioramento qualitativo del servizio.

Si tratta di referendum promossi da diversi comitati che riflettono una varietà di posizioni e di realtà, ma c’è qualcosa che accomuna le proposte referendarie. Questo qualcosa è il bisogno di sicurezza dei cittadini.

Nel caso del legittimo impedimento è desiderio di ogni cittadino sapere di potersi fidare delle istituzioni, essere sicuri che il principio “chi sbaglia paga” non conosce eccezioni e che chi occupa posizioni di potere non ne approfitti per violare la legge a suo piacere sapendo che potrà evitare le sanzioni che colpirebbero i comuni cittadini. È vero che nella pratica le cose non vanno così e che la violazione delle regole è ampiamente praticata a diversi livelli, ma ciò non toglie che l’esistenza di una legge che solleva i vertici dello Stato dalla responsabilità per i reati comuni getta un’ombra sinistra sulla stabilità di qualsiasi società. Come fa il cittadino a sentirsi sicuro se si dimostra che il potere libera dalle leggi? E chi garantisce che ciò che oggi vale per il capo del Governo non varrà domani per tanti altri che hanno incarichi amministrativi o politici?

Nel caso del nucleare l’esigenza di sicurezza tocca la salute e la vita stessa delle persone. Le innumerevoli rassicurazioni che, fin dall’inizio, sono state fornite all’opinione pubblica sulla sicurezza delle centrali nucleari e la rappresentazione dell’energia nucleare come una via obbligata per mancanza di alternative sono miseramente cadute nel volgere di pochi anni.

Innanzitutto gli incidenti nelle centrali hanno mostrato la vulnerabilità di ciò che è stato progettato e realizzato (e che al momento appariva quanto di più avanzato e sicuro si potesse realizzare) e poi si è dimostrata l’inesorabilità e la vastità delle conseguenze degli incidenti. In questi giorni è passata sulla nostra testa la nube radioattiva proveniente dal Giappone e tanti ricordano quando un’altra nube arrivò da noi, quella di Chernobyl, e in pochi tengono presenti le conseguenze in termini di aumento di tumori alla tiroide e di patologie che essa determinò. Qui, a migliaia di chilometri di distanza. Sappiamo che l’inesorabilità è data dall’impossibilità di contenere e controllare le radiazioni una volta fuoriuscite dalle centrali e dalla durata dei loro effetti ampiamente superiore alla vita umana.

Non solo, c’è poi il problema delle scorie che nessuno, finora, ha risolto in maniera efficace.

Di fronte a tutto ciò cosa valgono le rassicurazioni di politici troppo interessati al denaro che la costruzione delle centrali mette in moto e di tecnici troppo innamorati delle loro creature da dimenticare che c’è una differenza tra esperimenti e vita reale?

Nel caso dei servizi pubblici locali e, quindi, anche dell’acqua, ma anche di rifiuti e trasporto pubblico i cittadini sentono che si tratta di servizi essenziali alla loro vita quotidiana e allo svolgimento di ogni tipo di attività sociale e personale. Come possono sentirsi sicuri se sentono ripetere da anni che i servizi sono un problema per le finanze pubbliche e che lo Stato, dal centro alla periferia, non vede l’ora di liberarsene mettendoli in mano ad imprenditori privati?

È ovvio che le imprese private non sono un pericolo di per sé, ma è pure ovvio che alcuni servizi sono così importanti, l’acqua per esempio, e l’affidabilità e capacità di controllo delle istituzioni locali così bassa, che i cittadini non possono sentirsi sicuri ascoltando le favole che le aziende private compiranno il miracolo di dare a tutti servizi migliori a costi ragionevoli.

Potrebbe anche essere così, ma siamo sicuri che siamo pronti a gestire un simile processo? Anzi, che le istituzioni siano pronte? Già perché affidare la gestione di alcuni servizi ai privati senza disporre di un sistema di governo e di controllo serio significa mettere i cittadini di fronte al ricatto di poteri economicamente forti, più forti dei comuni e delle regioni.

Purtroppo anche la fiducia nello Stato non è fonte di rassicurazione perché mai nella storia d’Italia c’è stata una tale impunità per i politici che a tutti i livelli si alleano con imprenditori e affaristi se non anche con la criminalità organizzata per gestire i beni pubblici.

Bisogna risalire agli anni di “tangentopoli” per trovare qualcosa di simile all’assalto alle risorse pubbliche che si è verificato nell’ultimo decennio. E il capo del Governo, addirittura, rivendica a suo merito di studiare leggi, a suo favore certamente, ma con le quali la magistratura non avrebbe potuto perseguire coloro che rubavano il denaro pubblico in combutta con imprenditori privati.

Purtroppo il referendum non può dare risposte a questo bisogno di pulizia, di onestà e di lealtà che i politici di ogni partito dovrebbero dimostrare per il solo fatto di rivestire cariche pubbliche. Dietro al desiderio di sicurezza dei cittadini c’è anche, bisogna capirlo, una profonda sfiducia nei partiti e nella politica che, quindi, non può costituire la sponda sicura nella quale riporre le speranze di miglioramento di questo Paese. Speriamo, perciò, che i partiti non colgano il ritorno alle gestioni pubbliche nei servizi locali come l’occasione per accrescere il loro potere e l’irresponsabilità delle loro decisioni.

La spinta alla valorizzazione della dimensione pubblica e collettiva che viene dai referendum, tuttavia, può costituire l’inizio di una storia nuova perché rimette tutto in discussione e occorrerà trovare soluzioni nuove ed è questo un ottimo motivo per votare SI’ e far vincere i referendum il 12 e 13 giugno.

Claudio Lombardi

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