Recovery plan una prova cruciale per l’Italia

Cosa c’è che non va nel Piano nazionale di ripresa e resilienza? Da mesi si sventolano davanti agli italiani i 209 miliardi che dovrebbero arrivare dall’Europa. Molto meno si parla del PNRR o Recovery plan che, però, alimenta polemiche e critiche. Che si tratti di una cosa seria lo dimostra la modalità irrituale con la quale il commissario all’economia Paolo Gentiloni in un’intervista a Repubblica del 28 dicembre ha messo in guardia l’Italia sul rischio di sbagliare il Piano e di non avere i finanziamenti.

Occorre dire che non si sono fatti molti sforzi per informare correttamente gli italiani. Il cuore della questione non sono i 209 miliardi, ma è il Piano che li dovrebbe giustificare. Cerchiamo dunque di fare il punto sulla bozza approvata dal governo ai primi di gennaio e che adesso è all’esame del Parlamento. Abbiamo preso come riferimento le osservazioni critiche di due economisti – Giovanni Tria e Mario Baldassarri – e di un giornalista di grande esperienza, Giorgio Santilli.

Tria basa il suo ragionamento sulle sensazioni trasmesse dalla lettura della bozza del PNRR. La prima è che in esso vi sia una descrizione di bisogni e non di progetti. Di conseguenza – ed ecco la seconda sensazione – la ripartizione delle risorse alle missioni previste dal piano non porta ad una stima dei costi basata sulla selezione dei progetti e sul rendimento atteso in termini di benefici e risultati sia specifici che generali. Non è cosa da poco sia perché la Commissione europea lega i finanziamenti agli obiettivi attesi e quantificati, sia perché si trae la conferma che i ritardi italiani negli investimenti pubblici non derivano solo da una limitata capacità di attuazione, ma anche di progettazione. È quindi chiaro che le riforme che l’Europa ci chiede costituiscono le precondizioni per attuare i progetti del Piano.

Tria aggiunge che gli investimenti pubblici non servono solo a spendere soldi per alimentare la domanda, ma devono servire a rendere possibili gli investimenti privati senza i quali non ci sarà crescita sufficiente a rendere sostenibile la montagna di debiti accumulati.

Giorgio Santilli ricorda come la Commissione si stia sforzando di farci capire che i fondi messi a disposizione dal Next Generation Eu vanno di pari passo con gli impegni che dovremmo assumere per convergere sui grandi obiettivi europei in materia ambientale e digitale, per sbloccare la crescita e la produttività italiane. I 209 miliardi del Recovery, infatti, non sono un regalo da spendere con il fastidio di qualche vincolo, ma un contratto da onorare con misure credibili e misurabili.

Al primo posto ci sono “quelle riforme, dalla giustizia alla macchina amministrativa, dal fisco al lavoro alla concorrenza, che stanno sul tavolo ormai da molti anni. Nella bozza di piano però non ci sono misure, dettagli, obiettivi. Si capisce che manca un accordo politico che almeno indichi chiaramente la direzione di marcia. È questo il vero grave ritardo del Piano italiano perché queste riforme importantissime tentiamo di farle da anni e non ci riusciamo”. Inoltre – e questo è un aspetto forse meno comprensibile dalla politica italiana – gli obiettivi devono essere misurabili. Solo i numeri, infatti, possono indicare l’effetto sul PIL, sull’occupazione, sulla produttività delle riforme e dei progetti con cui attuarle. Ben altro quindi che commissari, deroghe e scorciatoie.

Mario Baldassarri introduce ulteriori elementi sui quali ragionare. L’Italia ogni anno paga circa 15 miliardi all’Unione europea e ne riceve con i fondi strutturali circa 10. Negli ultimi 20 anni di quei 10 miliardi disponibili non siamo stati capaci di spenderne più del 50%. Pertanto non siamo stati capaci di spendere circa 100 miliardi di euro suddivisi in molti anni. Oggi, però, i fondi europei disponibili per l’Italia ammontano a circa 370 miliardi di euro: 209 del Ngeu, 36 del Mes sanità, 20 del Sure, 20 della Bei, 35 miliardi ancora non spesi sul bilancio ordinario 2014-2020 e 50 del nuovo bilancio 2021-2027.

Se assumiamo il profilo della capacità di spendere, a questa massa di fondi bisogna aggiungere quelli del nostro bilancio pubblico. Si tratta di circa 900 miliardi all’anno di spesa pubblica per il 98% corrente e per il 2% investimenti pubblici. Baldassarri si domanda se questa spesa resterà tale e quale oppure se non sia necessario ridiscuterla alla luce dei nuovi impegni derivanti dal PNRR e dagli altri finanziamenti europei. L’esempio che viene fatto è quello dei fondi per i progetti di salvaguardia dell’ambiente. Si tratta di almeno 80 miliardi mentre, nel bilancio pubblico, vengono erogati sussidi alle fonti energetiche inquinanti per 20 miliardi all’anno. Un’evidente contraddizione.

La questione cruciale è, però, quella della capacità di spendere. Se l’Italia non è riuscita ad utilizzare 100 miliardi fondi europei negli ultimi 20 anni non si capisce come si possa spendere 3 volte di più in 6 anni.

Tutti indicano nelle riforme la chiave per sbloccare la situazione. Ma sono riforme all’ordine del giorno, progettate e tentate da molti anni eppure non sono ancora approdate ad una conclusione.

Fin qui le analisi degli esperti. Se è vero che abbiamo ottenuto dall’Europa una storica apertura di credito è purtroppo anche vero che non ci stiamo dimostrando all’altezza. In primo luogo il PNRR non va bene e non perché destina poco ad alcuni settori piuttosto che ad altri, ma perché è ancora un elenco di intenzioni sulla base delle quali i 209 miliardi non arriveranno. Mancano i progetti, manca una quantificazione dei risultati attesi e dei tempi di realizzazione. Mancano cioè proprio quegli elementi che indicano da molto tempo l’inadeguatezza del sistema Italia.

Nel frattempo scivoliamo indietro. Nel 2020 siamo tornati al reddito pro-capite del 1990 mentre il debito pubblico è a livelli mai prima toccati. Superfluo ricordare la distinzione tra debito buono che porta sviluppo e debito cattivo. Se non troviamo il modo per crescere innanzitutto spendendo bene le risorse che abbiamo a disposizione non c’è che da essere pessimisti sul nostro futuro

Claudio Lombardi

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