Referendum sull’acqua 1.401.000 firme: cosa dicono i cittadini (di Claudio Lombardi)

Il Comitato promotore del referendum per l’acqua pubblica ha depositato in cassazione 1.401.000 firme. Già questo dato è un fatto politico che dovrebbe far riflettere. Un comitato composto da tante associazioni e organizzazioni della società civile è riuscito a raccogliere il maggior numero di adesioni mai raggiunto per un referendum. Come si spiega? Cercando di capire, dal punto di vista di chi ha firmato, con molti timori e con il desiderio di affermare qualche punto fermo.

Piuttosto facile capire quali sono i timori che hanno mosso tanti cittadini a mettere la loro firma.

Timore che la gestione dell’acqua cada in mani private. Timore che questa gestione sia improntata (giustamente trattandosi di imprese private) ad esigenze di profitto. Timore che, pur rimanendo un bene pubblico però del tutto dipendente dalla sua estrazione e dalla sua erogazione, la gestione finisca per diventare simile al possesso. Timore di dover dipendere dalle regole e dalle tariffe fissate da imprese private. Timore che i poteri pubblici non sappiano e non vogliano limitare quelli dei privati nella gestione dell’acqua. Timore che la corruzione diffusa tra i politici faccia pagare ai cittadini, più di quanto già possa accadere oggi, il prezzo della collusione con le imprese private. Timore che la qualità, essendo un costo, non sia curata dai privati meglio di quanto si faccia adesso. Timore che un sistema vitale per la vita delle persone e per tutte le attività che si svolgono in un territorio sfugga al controllo di autorità sottoposte al controllo dei cittadini.

Se questi sembrano i timori principali non è difficile capire quali possano essere i punti fermi.

Da troppi anni si parla di servizi pubblici solo per denunciarne i costi a carico delle finanze pubbliche. Dai servizi idrici alla scuola alla sanità ai trasporti è tutto un coro che lamenta inefficienze e sprechi. Che ci sono sia chiaro, insieme alle ruberie nelle quali si trova impigliato sempre qualche politico magari in combutta con dipendenti pubblici infedeli e imprenditori privati senza scrupoli. Il fatto è che la soluzione principale che viene indicata o, meglio, invocata, per finirla con questo andazzo è sempre la privatizzazione e l’affidamento al mercato. In secondo piano vengono gli strumenti della regolazione (Autorità di settore che fissino regole e tariffe). In ultimo la partecipazione dei cittadini e la trasparenza. Ovviamente non sono gli stessi quelli che indicano queste tre soluzioni: la maggior parte si limita alla prima, qualcuno ricorre alla seconda e ben pochi alla terza.

Sembra evidente che i cittadini abbiano voluto dire, con le loro firme, che sono stufi di sentire parlare di servizi pubblici come un peso a carico delle finanze pubbliche che loro stessi alimentano. E magari quelli che ne parlano in questi termini poco hanno da dire sulle ruberie all’ombra della Protezione civile ed invocano la privacy a tutela delle associazioni a delinquere che rubano i soldi dello Stato !

Bisognerebbe smetterla con i mantra che si ripetono dal 1992 che mischiano esigenze giuste di apertura dei mercati con dogmi che affidano all’ingresso dei privati la soluzione di tutti i problemi. Per i servizi pubblici non si dovrebbe, forse, partire dalla ricerca di modelli e modalità di gestione efficienti e trasparenti, aperti alla partecipazione dei cittadini e fondati sul confronto con le esigenze che dovrebbero soddisfare ? non si dovrebbe mettere al centro l’onestà dei comportamenti e la responsabilità per le azioni che vengono compiute? Le cronache sono piene di notizie di indagine e inchieste sugli abusi che sono stati compiuti con la collusione fra chi dispone delle risorse pubbliche e detta le regole, chi ha il compito di controllare ed erogare le sanzioni e chi opera per il suo profitto. Perché mai la semplice privatizzazione dovrebbe porre termine a questi abusi? Eppure il Governo con la riforma dei servizi locali ha compiuto questo atto di fede: si venda il controllo, si facciano entrare i privati e….basta, non c’è altro. Ah sì, c’è anche la soppressione degli ATO che, per quanto carenti, rappresentavano, comunque, una autorità pubblica composta dagli enti locali che doveva vigilare su acqua e rifiuti. Via, tutto passa alle Regioni che, però, già hanno tanti compiti da svolgere e alle quali sono stati tagliati i finanziamenti dalla manovra. E poi sono anche più lontane dal territorio dove si svolge un servizio. Dunque quale è il disegno? Cosa dobbiamo capire?

Ecco perché il milione e 400mila firme dicono qualcosa di affermativo. Indicano la volontà che la questione servizi pubblici sia affrontata come uno dei compiti importanti che spettano allo Stato (centrale, regioni, comuni ecc) e che se si tratta di spendere ebbene si spenda: si tratta, in fin dei conti, di soldi dei cittadini che, magari, preferiscono un treno marciante e puntuale (e non lercio) ad un aereo militare di ultima generazione (in Germania hanno fatto così e tagliato molte spese militari). Per non parlare delle enormi quantità di soldi spesi dal Governo per gli appalti segreti della Protezione civile o di quelli per il Ponte di Messina.

Insomma non si tratta mai di impossibilità oggettiva, ma di scelte politiche. E se si dice che vanno tagliate le spese per il trasporto locale questa è una scelta non un comandamento.

I cittadini hanno voluto dire con le loro firme anche che sono stufi di essere presi in giro.

E il referendum è l’occasione per rimettere in discussione le scelte del Governo. Adesso bisogna lavorare perché abbia successo.

Claudio Lombardi

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