Retribuzioni top manager: la variabile indipendente
Che quella in corso da qualche decennio in Occidente sia anche una gigantesca redistribuzione dei redditi a vantaggio dei ceti più abbienti nessuno lo può negare. D’altra parte i dati sulle disuguaglianze nei guadagni tra chi sta in alto e chi sta in basso nella scala sociale sono cosa ormai accertata e documentata. Identica, se non maggiore, disuguaglianza si ritrova nei patrimoni con proporzioni che sembrano studiate da qualche artista delle simmetrie per quanto riflettono specularmente la distanza delle cifre (ad esempio: il 10 che possiede il 50 e il 50 che possiede il 10).
A pieno titolo in questa corsa all’esasperazione del comando camuffata da neutra logica di mercato rientra la riduzione delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. Il precariato nasce non solo da una necessità di flessibilità, ma anche dalla pura e semplice volontà di comprimere i salari e i diritti dei lavoratori. Si dice per competere meglio con i sistemi economici dei paesi di recente industrializzazione. Si dice…ma se si guarda ai prezzi di alcune merci prodotte in quei paesi con marchi occidentali si capisce che il guadagno è enorme per chi gestisce il marchio e non per il consumatore.
Rientra in questa trasformazione anche la corsa all’incremento delle retribuzioni di chi ha in mano realmente le aziende cioè i manager. Senza allontanarci da casa vediamo che succede nell’Italia che stringe la cinghia.
L’ultimo caso è quello di Andrea Guerra ex amministratore delegato di Luxottica dimissionario dalla carica e liquidato con 10 milioni di buonuscita e 33,7 milioni di plusvalenze relative ad azioni in suo possesso.
La lista di casi simili anzi, di casi ben più scandalosi è troppo lunga per trascriverla tutta. Basti citare quelli di Alessandro Profumo che per 15 anni come AD di Unicredit ha ricevuto nel 2010 38 milioni di euro; di Cesare Geronzi che per un anno come presidente delle Generali ha ricevuto 16,5 milioni di euro; di Cesare Romiti che per 22 anni di Fiat si portò a casa 105 miliardi di lire.
Non si possono non ricordare poi i casi peggiori quelli della razza padrona dei boiardi di stato cioè di quei manager di nomina politica che sono stati messi a capo delle aziende di proprietà pubblica. Anche qui – da Eni, a Enel, a Terna – i milioni scorrono come pesciolini. Ma prendiamo l’odioso e emblematico caso di Giancarlo Cimoli. Nominato al vertice di FS lascia il gruppo dopo otto anni in condizioni disastrose. Nonostante ciò, (guarda caso!) il suo contratto gli accorda un premio di ben 6,7 milioni di euro. Per meriti? Certamente, ma politici non certo gestionali. Gli stessi meriti che lo portano al vertice di Alitalia dove resta per tre anni con risultati tali che lo caccia lo stesso ministro dell’economia azionista unico di Alitalia. Senza premio? Noooo! Con un bel premio di tre milioni di euro grazie al contratto che qualche manina generosa provvede sempre a stendere per i top manager.
Si badi bene che i casi citati riguardano solo le liquidazioni e non i guadagni anno per anno che, ovviamente, sono sempre molto elevati.
Ora, moltiplichiamo questo andazzo per le migliaia di cariche societarie nelle aziende di proprietà pubblica e privata e avremo la fotografia di una gigantesca redistribuzione di ricchezza prodotta da chi lavora e diretta a una ristretta cerchia di accaparratori per i quali non esiste alcuna restrizione e che non sono mai toccati da alcuna austerità. Non appena si fa notare che guadagni e premi milionari sono scandalosi si alzano gli indici ammonitori dei “professori” che ricordano le intoccabili leggi del mercato senza le quali, evidentemente, le aziende crollerebbero distrutte.
E invece le aziende, quelle vere non quelle assistite dai soldi pubblici, crollano perché manca abbastanza gente che acquisti i loro prodotti. La verità è che le ricchezze finite nelle tasche di pochi strozzano i mercati servono solo a rafforzare le speculazioni finanziarie e fanno fallire le piccole aziende e gli artigiani quelli che ancora rischiano in prima persona
Claudio Lombardi
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