Ricchi straricchi: notizie dal mondo reale della disuguaglianza
Forse stona con i temi che vanno oggi per la maggiore, ma bisogna proprio soffermarsi su quanto scrive il Financial Times dando conto di una ricerca (Wealth-X e Ubs) secondo la quale 2.325 persone, su una popolazione mondiale di oltre 7 miliardi, possiedono il 4 per cento della ricchezza globale. Nel complesso questi straricchi dispongono di un patrimonio di ben 7.300 miliardi di dollari cioè più del valore di borsa delle principali società per azioni degli Usa oppure il triplo del Pil italiano. Così tanto per dare un’idea…
Nonostante la ricca (in senso letterale) presenza dell’Asia, l’Europa – sì l’Europa della crisi, del rigore, della crescita stentata, della disoccupazione – detiene il primato del maggior numero di miliardari (775 con 2.370 miliardi di dollari di patrimonio). Gli Usa, invece, ne ospitano 571 seguiti dalla Cina (190). La ricerca dice che questi “alieni” non vengono da un altro mondo, ma appartengono al mondo imprenditoriale e dispongono di una liquidità finanziaria enorme (il 19% circa). In pratica potrebbero fare i tuffi nel loro denaro come il prototipo dei miliardari: il mitico zio Paperone.
Ci sarebbe da sorridere se non fosse che una disuguaglianza estrema si aggira per il mondo creando instabilità e distruggendo ricchezza. Quando i dati oggettivi (non le ideologie) dicono che 85 super ricchi possiedono l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione mondiale vuol dire che siamo in una situazione di grande rischio. Sì perché una tale concentrazione di ricchezza non può non ripercuotersi sugli equilibri di potere e sulla composizione delle classi dirigenti, sulle scelte dei governi e sugli scontri per il controllo delle risorse. Ciò che avviene al livello dei super ricchi può apparire lontano dalla vita reale, ma non è così.
È molto reale, per esempio, che in Africa e in India a fronte di popolazioni che vivono in condizioni di grande povertà, le multinazionali e il ceto dei miliardari sfruttino la propria influenza per abbassare l’imposizione fiscale a loro carico facendo mancare risorse preziose ai territori che quelle ricchezze producono. È molto reale che negli Stati Uniti, il reddito dell’1% della popolazione è aumentato ed è ai livelli più alti dai tempi della Grande Depressione. È reale e molto probabile che le decisioni dei governi, anche qui in Europa, siano condizionate più dai benefici da non far mancare alla parte più ricca che non dalle esigenze di chi ha redditi medi e bassi.
D’altra parte è più facile che questo sistema si perpetui perché i più ricchi hanno accesso a migliori opportunità educative, sanitarie e lavorative, regole fiscali più vantaggiose, e possono influenzare le decisioni politiche in modo che questi vantaggi siano trasmessi ai loro figli.
Non bisogna, però, guardare solo ai super ricchi. In realtà, nel corso del tempo, si sono rafforzate tutte le posizioni di chi occupa un posto di vertice nella società che non riguarda solo l’1% per cento dei super, ma anche la vasta platea di tutti quelli che hanno abbastanza potere per imporre le condizioni a loro più favorevoli.
Prendiamo il tema della pressione fiscale. È un fatto che in tutto il mondo negli ultimi decenni la tassazione per i più ricchi sia costantemente diminuita mettendo fine ad un lungo periodo, iniziato prima della seconda guerra mondiale, nel quale la differenza tra aliquote minime e massime era su livelli oggi inimmaginabili (negli Usa si arrivò addirittura al 94% negli anni ‘40, ma si mantenne un’aliquota del 90% sopra i 400.000 dollari fino al 1963). Da allora in poi si è sempre più invocata la diminuzione della pressione fiscale mascherando il fatto che a scendere a ritmi vertiginosi era solo quella sui più ricchi. Sei si parla poi di ricchezza finanziaria lo scandalo è ancora più grande. È stato addirittura uno degli uomini più ricchi del mondo – Warren Buffet – a denunciare l’assurdità di una situazione nella quale gente come lui paga meno tasse di un suo impiegato. Ricchezza su ricchezza. Piove sul bagnato. Ma il tema è tabù, uno dei tabù più difficili da toccare: guai a mettere in discussione il dogma che la pressione fiscale deve sempre scendere. Se lo si facesse si scoprirebbe che è scesa sì, ma schiacciandosi o puntando verso il basso dove stanno i redditi della stragrande maggioranza delle persone che tengono in piedi i bilanci degli stati. E chi ci ha guadagnato? Tutti quelli che, evasione fiscale a parte, prima dovevano pagare il 70 o l’80 o il 90 per cento e oggi se la cavano, male che va, con il 43% o meno.
Quindi chi può di più paga di meno. E diventa sempre più ricco. Già perché la crisi che conosciamo noi, qui, a casa nostra, non la conosce certo quell’1% della popolazione mondiale che possiede quasi la metà della ricchezza globale, ma nemmeno i tanti altri che misurano a milioni il prezzo del loro lavoro
Fra i dati confermati più volte da economisti e ricercatori c’è n’è uno particolarmente significativo: negli USA, l’1% dei più ricchi ha intercettato il 95% delle risorse a disposizione dopo la crisi finanziaria del 2009, mentre il 90% della popolazione si è impoverito.
Se poi andiamo a vedere cosa si nasconde nei paradisi fiscali disseminati nel mondo (stimati 21.000 miliardi di dollari) completiamo il quadro di una spropositata sottrazione di ricchezze che formalmente appartengono ad una ristretta cerchia di persone, ma che non corrispondono a meriti e capacità.
Buona parte del disordine mondiale sta qui
Claudio Lombardi
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