Rifiuti: un sacchetto per il pane

Prosegue la mia esplorazione intorno al ciclo dei rifiuti. Le puntate precedenti le trovate QUI (imballaggi in plastica) , QUI (materiali bio) , QUI (plastica) , QUI (differenziata e termovalorizzatori) , QUI (plastiche monouso) , QUI (termovalorizzatori e PNRR) , QUI (indifferenziata e termovalorizzatori) , QUI (ciclo rifiuti). Sono solo alcuni degli articoli che ho dedicato ad una delle questioni più controverse sulle quali spesso le politiche pubbliche si impantanano subendo i ricatti di gruppi di pressione animati da fanatismo e irrazionalità. Basti pensare alla capitale, a quella povera Roma trasformata in una gigantesca discarica per la testardaggine di non voler ricorrere alla soluzione del termovalorizzatore adottata in buona parte d’Italia e in Europa. La questione dei rifiuti richiede, invece, tanta razionalità. Ecco perché richiamo spesso l’attenzione su esempi tratti dalla vita quotidiana con i quali tutti abbiamo confidenza.

Ieri stavo osservando un sacchetto per il pane, uno di quelli marroncini con la finestra in plastica trasparente. Una volta finito di usarlo dove si butta ? Sulla confezione c’è scritto: prodotto compostabile e, quindi, andrebbe nell’umido. Ma c’è la plastica. Vediamo, allora perchè è compostabile.

La plastica utilizzata in questi sacchetti è del tipo rigido, flessibile, che scricchiola, è un polilattato, quindi una plastica biodegradabile. Per ora è tutto corretto.

Una volta buttato nell’umido il sacchetto viene raccolto e finisce in un compostatore (si spera) o in discarica. Nel compostatore in un paio di mesi, in discarica in un paio d’anni diventa acqua e anidride carbonica. Quindi si tratta di economia circolare? No perché non ci sono recuperi di materie prime seconde.

Si potrebbe fare di meglio? Se venisse separata la carta dalla plastica, la carta potrebbe venir riciclata, la plastica no, come abbiamo detto non è plastica normale che si ricicla, è plastica biodegradabile, finisce lo stesso nell’umido. Però se venisse buttata nell’indifferenziato finirebbe nel termovalorizzatore (per chi ce l’ha) e con il calore prodotto verrebbe prodotta energia elettrica. Meglio no?

Certo verrebbe bruciata e si produrrebbe anidride carbonica e acqua. Guarda caso sono gli stessi elementi che si otterrebbero buttando il sacchetto nell’umido, passando poi per il compostatore o la discarica. In verità in questo caso l’anidride carbonica sarebbe anche di più perché verrebbe buttato anche il sacchetto.

A questo punto chiediamoci perché continuiamo a volere prodotti biodegradabili. La risposta è semplice: perché non vogliamo le complicazioni della raccolta differenziata e vogliamo poter essere liberi di buttare ovunque i nostri rifiuti, nei prati, nei boschi, nei laghi, nei fiumi, in mare senza alcuna remora e senso di colpa, “tanto si degrada”.

Il mondo ideale per qualcuno sarebbe un mondo dove tutto si  biodegrada senza dover sottostare alla noiosa scocciatura della raccolta differenziata. Ma si biodegraderebbero anche fili della luce, canaline e tubi per l’acqua, gusci di elettrodomestici, cruscotti per auto, mobili laminati etc. e magari inizierebbero a farlo mentre li stiamo usando. Forse non proprio una buona idea.

Serve che tutto si biodegradi? No. Non dimentichiamoci che il ciclo dei rifiuti oltre all produzione di materie prime seconde (riciclo), ha una conclusione naturale: la produzione di energia cioè i termovalorizzatori

Pietro Zonca

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