Riflessioni su Expo 2015
Non ho mai creduto particolarmente nei grandi eventi. Un paese come l’Italia se vuole garantire ai giovani un benessere comparabile a quello goduto da chi ha vissuto gran parte della sua vita nella seconda metà del novecento e nei primi dieci anni del nuovo millennio deve puntare sulla riqualificazione della sua industria. Sarebbe stato meglio non organizzare le olimpiadi invernali di Torino ed Expo e fare celebrazioni più brevi per il 150° anniversario dell’unità d’Italia e con i soldi risparmiati pensare ad un piano di investimenti in settori a significativo contenuto tecnologico; tuttavia una volta preso un impegno è necessario portarlo a termine.
Non mi è piaciuto per niente l’atteggiamento di chi tifava per il suo fallimento. Sembrerebbe questa la nuova frontiera dell’antipolitica: il tifo per il disastro in ogni situazione. Forse, c’è qualcuno che pensa che dal collasso di questa Italia possa nascerne una migliore. Sicuramente dopo uno shock il paese ripartirebbe, ma il prezzo lo pagherebbero innanzitutto i più deboli sia giovani che anziani.
Purtroppo sembra una maledizione italiana, ma, ogni volta che si decide di fare grandi opere infrastrutturali, si parte con grande ritardo, poi si fa ampio ricorso a dannose procedure d’emergenza gestite dagli “inevitabili” commissari straordinari, poi arriva il momento degli scandali, tutto sembra precipitare, ma a volte ci si salva. A Expo è andata così. Per questo non trovo per niente rassicurante che Raffaele Cantone abbia dato a Milano l’etichetta di capitale morale del paese: per l’ultimo anno d’accordo, ma per quelli precedenti?
Comunque, il primo maggio Expo 2015 è partito, la città, o almeno una buona parte di essa ha vissuto mesi di euforia, la Darsena opportunamente restaurata è diventata con le sue luci il nuovo cuore della città e sono sorti locali alla moda in tutto il centro: dalle vie strette dietro la Scala allo stradone che dai navigli conduce a Porta Genova. Sono stati venduti ventuno milioni e mezzo di biglietti. Pur non essendo un primato rispetto alle altre esposizioni universali è tuttavia un risultato da non sottovalutare considerato che vi era la reale possibilità di un gigantesco flop con padiglioni neanche completati per tempo.
Vi è stata una grande enfasi per le gesta del Commissario straordinario Sala come se fosse tutto merito di un uomo solo al comando (un po’ la moda del momento). In realtà, oltre ai super pagati dirigenti, ci sono stati anche tanti giovani volontari che hanno lavorato gratis (sì anche questo è stato l’Expo).
Sono stato ben quattro volte all’esposizione universale. Ho visto decine di padiglioni: la rassegna del tessile e del ciclo rifiuti zero della Repubblica Ceca, la foresta pluviale della Malesia, il viaggio immaginario nella Colombia dei cinque climi diversi, lo strano canneto colorato della Cina, i giardini di Marocco e Bahrein, le coltivazioni di Israele e tanti altri. Tra padiglioni che somigliavano più a luna park ed uffici del turismo ed altri che erano una bizzarro ufficio stampa del governo del paese ho cercato di cogliere il messaggio positivo della manifestazione che forse sta in un impareggiabile scambio di culture vissuto attraverso l’esperienza diretta di visitatori e addetti ai padiglioni.
Devo, però, criticare la scarsa attenzione data proprio all’alimentazione sostenibile che si percepiva nelle attività proposte ai visitatori nei padiglioni che somigliavano a meri strumenti di propaganda del governo.
In definitiva Expo 2015 si è fatto e ora bisogna trarre da questa esperienza tutto quel che può dare. In primo luogo c’è la potenzialità di un’economia, quella italiana, che ha un forte legame col territorio e con l’alimentazione. Lo si sapeva. È stato positivo riscontrarlo. E poi c’è uno slancio che può venire proprio dal fatto che si è riusciti a gestire una manifestazione gigantesca partita con i peggiori auspici. Cosa verrà dopo Expo ancora non è chiaro. La speranza è che non si torni alle speculazioni a cominciare da quelle sui terreni dove si è svolta l’esposizione universale
Salvatore Sinagra
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