Riflessioni sugli scontri di Roma: trovare nuove forme di partecipazione democratica (di Rosapaola Metastasio)

La manifestazione del 15… Ci sarebbero molti aspetti su cui riflettere, e parecchi di questi non sono isolabili da considerazioni di contesto più generali, che esulano dal racconto della giornata in sé. Difficile, quindi, selezionare cosa condividere.

Ma in questo piccolo spazio, che sono grata di avere, so per certo di cosa non intendo parlare: scelgo deliberatamente di non concentrarmi qui su ciò di cui stanno parlando tutti, media e non, – e che purtroppo è quasi l’unica cosa di cui si discute e che fa notizia -, ossia la violenza.

Abusata, pianificata, provocata, imposta. E che non può e non deve essere la via, in una democrazia “matura”, almeno come età (sebbene a volte questa certezza vacilli al pensiero della Violenza vera, quella che fa funzionare il sistema capitalistico, e che tra l’altro ci rende oltre che vittime, anche complici o conniventi, con poche alternative, in quasi tutti i nostri acquisti quotidiani, ad esempio).

È bene non commentare ulteriormente le distruzioni e l’aggressività anche per non fare il “loro” gioco. Questi soggetti coperti e vestiti di nero, come dei virus insinuatisi tra una folla colorata, sono già riusciti a snaturare quella giornata, nonostante la rabbia istintiva, di pancia, delle persone (di ogni età), e a fagocitare l’attenzione nei giorni seguenti.

Quello su cui vorrei riflettere è il senso che questa dimostrazione avrebbe dovuto avere, nelle mie (e non solo) aspettative, in buona parte deluse.

Mi ha colpito molto in questo periodo il propagarsi rapidissimo della protesta da Wall Street a 70 grandi centri urbani statunitensi, così come mi infondeva un’energia entusiastica l’idea di una solidarietà e un impegno globali per una mobilitazione, quella del 15 ottobre, da attuare contemporaneamente in così tanti Paesi del mondo, in cui, però, la crisi si è manifestata in modo diverso e, interagendo con contesti socio-economici diversi, ha creato problemi specifici.

Da notizie, video e racconti sulle esperienze degli “indignados” di Barcellona e sulle altre esperienze derivate, non si può non rimanere impressionati: ovunque cittadini comuni si stanno organizzando per esprimere insieme con forza e in modo non sporadico la necessità vitale, non più procrastinabile, di pretendere un cambiamento e di esserci attivamente. La rabbia di non saper pensare la parola “futuro” ce l’abbiamo in comune.

Facilmente, e in modo ingenuo, forse, in Italia si è pensato di poter cavalcare quest’onda e unirsi al movimento internazionale. Oggi viene da pensare che forse la manifestazione del 15 non è stata solo l’occasione di una riflessione e denuncia dell’attuale crisi economica e finanziaria, delle attuali politiche economiche e sociali, dei presenti modelli di crescita e sviluppo ecc., ma deve suscitare anche una riflessione sulle forme di democrazia.

A me e ad altre persone vicine come sensibilità e valori, sembra che in Italia questo 15 ottobre sia il segno di un’ulteriore crisi, quella delle forme di partecipazione democratica. La partecipazione così numerosa alla manifestazione ha dimostrato che esiste un’ampia fascia della popolazione, pacifica, plurale, eterogenea, che vuole esprimere il proprio dissenso e cerca, sperimenta delle alternative, ma che resta poco visibile, poco ascoltata, non rappresentata.

La manifestazione poteva essere uno spazio pubblico in cui dare voce e visibilità a tutto questo, creare momenti di confronto ed elaborazione di idee concrete (non idealismi o “scimmiottamenti” di altre realtà estere o di decenni più affascinanti), e poteva dar modo di fare tutto questo in sinergia con altre realtà in tutto il mondo, per dare più energia, vigore e valore alle idee e alle azioni.

Invece l’Italia è stata privata di tutto ciò e della possibilità di dare il suo contributo alla grande mobilitazione mondiale. L’obiettivo non è stato raggiunto, i risultati ottenuti sono stati praticamente opposti alle aspettative. E non soltanto a causa della violenza esplosa nel centro di Roma.

Questa democrazia, la nostra, è matura davvero? Ora quello che preme dentro è il bisogno di trovare altre forme che consentano di mettere in condizione le migliaia di persone che erano in piazza (e le tante che in piazza non ci vanno per paura o per disillusione) di far sentire la propria voce e di agire.

Ho avuto la percezione che le motivazioni e le convinzioni risiedessero dentro le singole persone, plasmate dal vissuto emotivo individuale, ma fossero poco condivise, poco strutturate in contenuti.

Mi interessa il come, il dopo. Il cosa fare per non sentire questa frustrazione dell’inutilità di manifestare in questo modo, e nello stesso tempo per non cedere all’inattivismo e alla stasi passiva.

Esserci, partecipare, e trovare il modo per continuare a farlo. Lo ripeto anche a me stessa.

Rosapaola Metastasio

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