Rosarno: negazione dei diritti e violenza (di claudio lombardi)

I fatti di Rosarno con gli atti di violenza compiuti dai lavoratori stranieri e quelli ancor più gravi degli abitanti della cittadina calabrese impongono di ragionare.

Il primo impulso è di solidarietà con i lavoratori immigrati – irregolari o regolari non fa nessuna differenza – trattati in maniera disumana e ferocemente sfruttati da chi gestisce e utilizza il loro lavoro.

Chi si permette di trattare nella maniera che abbiamo visto e conosciuto attraverso fotografie, testimonianze e televisione persone in stato di bisogno che offrono il loro lavoro non ha alcuna giustificazione.

Senza se e senza ma, come si usa dire da qualche tempo, questi pretesi datori di lavoro, questi procacciatori di manodopera devono essere indicati come persone non degne, vergogna del loro paese, nocivi per la stabilità sociale, l’economia e l’ordine pubblico. Si tratta di asociali che pensano solo allo sfruttamento di ogni debolezza altrui per incrementare la loro ricchezza che non sono nemmeno capaci di tradurre in una crescita generalizzata del contesto sociale ed economico in cui vivono.

Così come già accaduto con la catastrofe ambientale e con la speculazione edilizia nel Mezzogiorno (con danni enormi per l’ambiente e molte vittime) la criminalità organizzata – che si chiami mafia, camorra e ‘ndrangheta o in altro modo – occupa con il suo malgoverno gli spazi lasciati liberi dal governo legittimo e dallo Stato.

Non è facile immaginare il tipo di vita che si possa condurre in un territorio così profondamente inquinato da chi ha fatto della violenza la sua legge e riesce ad imporla all’intera popolazione che sa benissimo di non poterla espellere e di dover rispondere più a questa legge che a quella dello Stato.

Lo stravolgimento che si realizza nella vita delle collettività locali ricorda più la situazione di territori martoriati dalle guerre o in mano a eserciti stranieri.

Il problema è che nel caso del nostro Sud l’esercito straniero è la parte più forte della società civile, nasce da quei territori ed è radicato nel modo di vivere e nella cultura che imprime il suo segno sulle relazioni sociali e sul modo in cui si formano e si esprimono le gerarchie sociali.

La convivenza con le mafie ha impedito che nascesse una cultura civile democratica predominante in grado di confinare ad ambiti marginali la delinquenza che, invece, si pone come potere in grado di controllare il territorio e di condizionare le istituzioni democratiche.

La caratteristica principale di questa situazione è la negazione dei diritti delle persone. Sembra affermazione scontata e ripetitiva. Sembra il meno e, invece, è il più.

Occorre sempre ricordarlo perché i diritti esprimono il riconoscimento sociale, con la mediazione di norme giuridiche e di impegni di governo delle istituzioni, di valori e principi che servono per vivere in un ambiente sociale ed umano che sollevi dalla paura degli altri e rafforzi la speranza e la fiducia.

Speranza e fiducia: questi sono i valori di fondo indispensabili alla convivenza pacifica che si esprimono attraverso i diritti. Qui non si tratta di distinguere fra cittadini e stranieri perché ci sono diritti che, non solo la nostra Costituzione riconosce come propri dell’essere umano, ma anche l’intelligenza e il buon senso accettano come inevitabili se si vuole mantenere la coesione e la stabilità sociali.

Che speranza di futuro può avere una società nella quale agli stranieri sia riservato un trattamento che disconosce fondamentali diritti che, invece, si pretende di riservare solo ai cittadini?

In un mondo sempre più fondato sull’interdipendenza una società di questo tipo sarebbe condannata, prima o poi, alla guerra che non è mai una romantica avventura (come, forse, pensano tante teste vuote che si riconoscono nei simboli di pseudoculture guerriere di cui non hanno alcuna esperienza), ma è fatta solo di distruzione e morte.

E che tipo di ordine sarebbe quello di uno Stato nel quale la cultura dominante e praticata darebbe per scontata la negazione della persona in quanto tale?

A quante violenze quei cittadini sentirebbero di avere diritto per difendere i propri interessi?

E come si impedirebbe alla cultura della prevaricazione e della negazione dell’umanità di dilagare nei confronti di tutti quelli che si manifestassero come più deboli?

Chi è così ottuso da non capire che solo la pacifica convivenza, la stabilità sociale e la coesione sono le condizioni per un arricchimento generale e perché ognuno trovi le condizioni per esprimere le sue capacità migliori? Chi?

Purtroppo di ottusi ce ne sono tanti.

Per esempio tutti quelli che gridano contro i clandestini dopo che una legge ipocrita ha sancito che debba venire in Italia solo chi ha già un lavoro sicuro sapendo benissimo che un lavoro lo si trova solo dopo essere arrivati qui.

Chi, con bieca furbizia, ha rovesciato su tutti gli italiani e sugli stranieri, con la forza e l’autorevolezza della legge, il peso di trovare una soluzione al dramma epocale rappresentato dalle migrazioni dovrebbe essere qualificato incapace di legiferare e di governare.

Invece pontifica e continua a detenere le leve del potere.

Ma gli ottusi non lo capiscono. Così come non capiscono che senza i lavoratori stranieri l’Italia non funzionerebbe più come adesso. Frutta, verdura, zootecnia, fabbriche, servizi familiari, commercio al dettaglio e una miriade di lavori che ci permettono di vivere e che dovremmo elencare uno per uno se non bastasse guardarsi in giro o dentro le proprie case per capire cosa vale il lavoro degli immigrati.

Ma l’ottuso pensa che toccherebbe agli altri e che ciò che a lui serve non sarebbe toccato.

E che dire degli abitanti di Rosarno che per anni non hanno visto oppure hanno visto, ma accettato le condizioni disumane in cui venivano tenuti i lavoratori stranieri e non si sono ribellati di fronte alle angherie e ai soprusi a loro riservati e adesso parlano pure di ospitalità tradita?

Perché non provano loro a godere dei “privilegi” della stessa ospitalità?

E tutti quelli che dovevano vedere e non hanno voluto vedere dove li classifichiamo? Ottusi, vigliacchi o complici?

No, non è in questo modo che può vivere una collettività che vuole prosperare e credere nel futuro.

Occorre che in Italia si realizzi una rivoluzione culturale che metta al primo posto quei valori scritti nella nostra Costituzione che non sono mai citati dai politici che continuano a cianciare di fantomatiche riforme e non si rendono conto che il loro compito è di guidare la nazione anche con il rigore e l’esempio sulla base di valori che uniscano la collettività.

La prima riforma da fare sarebbe quella di unirsi per costruire un Paese civile fondato su una cultura dei diritti, della solidarietà, dell’accoglienza non solo dello straniero, ma anche delle risorse e delle capacità che in tanti possiedono (i giovani innanzitutto) e a cui viene negato diritto di cittadinanza in Italia. Accoglienza, apertura, disponibilità sono caratteri propri di una società che si sviluppa e che diventa ricca per la qualità delle persone che riesce a formare e che la compongono.

La cultura dei diritti è la condizione di base per lo sviluppo di questo tipo di società e la cittadinanza attiva ne costituisce la migliore espressione.

 

Claudio Lombardi – Cittadinanzattiva Toscana, Marche e Umbria

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