Sanità pubblica, la casa comune da difendere

Pubblichiamo la prima parte dell’introduzione di Anna Lisa Mandorino segretaria di Cittadinanzattiva al Rapporto civico sulla salute 2023

Per le cittadine e i cittadini italiani la sanità pubblica è la casa comune. Una casa edificata più di quarant’anni fa, attraverso la nascita del Servizio sanitario nazionale, per garantire cure uguali e gratuite per tutti, in ogni angolo del Paese. Sono casa i reparti di ginecologia nei quali hanno visto la luce i nostri figli e le ostetriche che li hanno aiutati a nascere. È casa il Pronto Soccorso in cui tante volte ci siamo recati per un’emergenza, senza mai trovarlo chiuso. Sono casa gli studi dei medici di medicina generale, così familiari specie per chi ha una malattia cronica e così prossimi a dove viviamo, e gli infermieri e gli altri operatori sanitari che si occupano dell’assistenza al nostro domicilio. Sono casa gli ospedali dove siamo stati ricoverati, operati, rimessi in salute. Sono casa anche i letti delle cure palliative dove abbiamo visto morire i nostri cari o i Consultori, i Centri vaccinali, le farmacie di prossimità sempre aperte al pubblico. Perché è casa il luogo che ti accoglie, ti cura, ti protegge. Il luogo di cui ciascuno è padrone, perché ha a disposizione, che sia povero o che sia ricco, quello che serve per curare un malanno ma anche farmaci e tecnologie innovative, spesso molto costose, per curare un tumore o una malattia rara. Ma questa nostra casa comune è in pericolo ed è urgente intervenire.

Per anni il nostro Servizio sanitario nazionale è stato privato di risorse; spesso anzi è stato considerato l’unico ambito da cui attingere per ripianare i conti. Per decenni si sono ridimensionate e diradate le strutture sanitarie e, soprattutto, si è ostacolato ogni investimento sulle professioni sanitarie. Per decenni si sono imposti tagli lineari in tutti gli ambiti, dalla sicurezza degli edifici sanitari ai farmaci. E neanche si è puntato sulla prevenzione, da sempre la cenerentola della sanità pubblica, che produrrebbe salute liberando, quindi, risorse economiche. Poi la pandemia. Tutte le cittadine e i cittadini hanno capito quanto fosse importante la sanità e quanto fosse fondamentale la capacità del Servizio sanitario di assicurare risposte rapide, di prossimità, e la necessità che sul territorio vi fossero strutture di riferimento e tanti operatori in campo.

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Oggi però, a pochi mesi dall’attenuarsi dell’emergenza, nell’agenda e nelle scelte di politica pubblica, questi sembrano ricordi sbiaditi mentre la valanga di scelte improvvide che durano da decenni si abbatte sempre di più sulla nostra carne viva: pronto soccorso allo stremo, medici di medicina generale assenti in molte aree non per nulla definite “deserti sanitari”, professioni sanitarie come quella infermieristica che risultano poco attrattive persino in un Paese con alti livelli di disoccupazione come il nostro. Nessun cambio di rotta deciso sembra esserci sulla prevenzione, sull’educazione sanitaria, sugli screening e i vaccini di cui il nostro Paese ha coperture molto basse, per i primi soprattutto al Sud e per i secondi soprattutto al Nord. Eppure, tante prestazioni perse durante il periodo della pandemia rischiano di provocare altrettante malattie diagnosticate tardivamente, come il cancro o le patologie acute del cuore.

Un po’ ovunque lunghe, lunghissime liste d’attesa, nonostante i Piani e i fondi stanziati, con un’organizzazione dei servizi che rende vani i discorsi sui percorsi del paziente, sulla presa in carico dei suoi bisogni, sull’integrazione delle cure. Il ricorso alla spesa privata aumenta ed è incompatibile con un sistema universalistico, oltre a essere possibile solo laddove le condizioni economiche dei singoli lo permettano. Per molte cittadine e molti cittadini l’attesa si è trasformata in rinuncia. E l’ultimo tentativo di sfratto dalla casa comune, contro ogni solidarietà ma soprattutto contro ogni evidenza, è l’intenzione di andare verso un ancor maggiore regionalismo, privo di contrappesi. Un regionalismo che viene definito esplicitamente “asimmetrico”, quindi in contrasto con le nostre leggi a cominciare dalla Costituzione, e che si sostiene sull’idea, spacciata come una certezza ma negata dalla realtà, che in sanità essere autonomi produca una competizione virtuosa: a oggi non risulta che le Regioni già autonome siano quelle che hanno una migliore sanità. Per tutte queste ragioni occorre che le cittadine e i cittadini italiani diventino custodi della salute pubblica, poiché loro più di tutti, vivendola sulla propria pelle, hanno chiara l’urgenza delle questioni della nostra sanità. Ci sentiamo di proclamare noi questa volta lo stato di emergenza sanitaria, che scioglieremo quando avremo la prova concreta che le scelte e le politiche stanno andando nella direzione di rafforzare la sanità pubblica governando quella convenzionata, che ci sono all’orizzonte investimenti sufficienti a finanziare le riforme già previste, che si intende accantonare l’idea dell’asimmetria tra i cittadini del nostro Paese, che si superino le prove di forza fra le istituzioni e che Stato e Regioni stringano un Patto per la salute con l’unico obiettivo di mettere al centro il diritto costituzionale di ogni individuo e della collettività.

(continua la lettura dell’introduzione al Rapporto civico sulla salute 2023 a questo link)

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