Sanitopoli umbra: alla fine solo raccomandazioni, hanno scoperto l’acqua calda (di Gabriele Silvestri)

Ogni giorno la stampa locale continua a insistere con titoli roboanti su quella che ormai viene da tutti chiamata la “sanitopoli” umbra e allora viene voglia di fare qualche breve riflessione.

 In primo luogo mi sembra che dalla grande messe di intercettazioni telefoniche e ambientali emerga che nella sanità e nel pubblico impiego umbro c’è una pratica diffusa della raccomandazione, per favorire l’assunzione di persone vicine a questo o a quell’altro esponente politico.

 Francamente mi viene da suggerire alla magistratura e alle forze dell’ordine che stanno conducendo le indagini da anni, che si potevano risparmiare lo sforzo e potevano risparmiare i tanti soldi pubblici che hanno speso per le intercettazioni, bastava che si mettessero in abiti borghesi e facessero un giro nei bar e avrebbero potuto avere informazioni molto dettagliate e circostanziate su precise situazioni e fattispecie.

 Perché è noto a tutti che il malcostume della raccomandazione è ampiamente diffuso in Italia; il popolo, nella sua immensa saggezza, sa benissimo a chi rivolgersi, sia esso politico o potente in genere, per ottenere un piacere, come sa altrettanto bene quanti politici e finti potenti praticano a piene mani il millantato credito.

 È evidente che la raccomandazione è un malcostume, non solo per quanto concerne le assunzioni, ma anche per tutto quanto riguardi l’intervento della mano pubblica, perché tutti sanno benissimo che in Italia e quindi anche in Umbria, quando si deve interloquire con la pubblica amministrazione, ivi compresa la sanità, è sempre bene farsi precedere da una telefonata del notabile di turno. I nostri amici del Tribunale dei Diritti del Malato nella loro encomiabile e decennale lotta per ridurre le liste di attesa, sanno benissimo che ogni giorno c’è qualcuno che essendo “amico degli amici” salta miracolosamente tutta la lunga lista, anzi qualche volta viene il dubbio che la lista sia lunga proprio per consentire di fare “il piacere” di saltarla a qualcuno che poi possa “ricambiare”.

 Questo malcostume purtroppo è sedimentato nella coscienza del popolo italiano, è il frutto di un millennio di dominazione straniera, quando il potere parlava una lingua diversa e incomprensibile ai più e c’era bisogno di ingraziarsi le forze occupanti per tirare a campare. Lo stesso valeva anche quando il potere era “indigeno”, come nello stato pontificio che comprendeva l’Umbria, il popolo sapeva benissimo che chi esercitava il potere era solito predicare bene e razzolare male e che se si voleva ottenere qualcosa bisognava prenderlo per la “gola”.

 Centocinquant’anni di unità nazionale e sessant’anni di democrazia non solo non hanno scardinato questo malcostume, ma al contrario lo hanno rafforzato. La storia ci dirà che nei cinquant’anni di governo democristiano la pratica della raccomandazione ha garantito un’amministrazione pubblica docile al volere dei politici e un solido consenso elettorale tra i pubblici dipendenti, come baluardo della democrazia occidentale.

 Ma ormai la pratica della raccomandazione non tutela più la democrazia, al contrario è essa stessa una minaccia, perché in fin dei conti piegarsi alla raccomandazione significa di fatto chiedere un piacere laddove invece c’è un diritto, che viene negato da un potere politico dispotico e clientelare o da una struttura pubblica inefficiente.

 Per scardinare il malcostume delle raccomandazioni c’è bisogno di un cambiamento profondo della cultura dominante, cioè delle abitudini e delle consuetudini che regolano la vita reale di tutti i giorni, il funzionamento della società e le regole non scritte ma ferree che presiedono alle relazioni sociali, economiche, politiche tra le persone e i soggetti collettivi. In altre parole ci sarebbe bisogno di dare concretezza a quel bellissimo slogan di cittadinanzattiva che campeggiava su molti opuscoli e che rappresenta un’ispirazione profonda del nostro stare insieme: non basta essere cittadini bisogna fare i cittadini.

 Allora la parolina magica è ancora: PARTECIPAZIONE! Nel senso che solo se si metteranno in atto meccanismi di vera e reale partecipazione sarà possibile avere contemporaneamente un controllo sull’esercizio del potere e una emancipazione culturale dei cittadini, cioè le due condizioni per impedire l’esercizio della pratica della raccomandazione. Questo dovrebbe essere l’interesse anche degli amministratori onesti che pure ci sono e tutti i giorni sono confusi con quelli disonesti, perché spesso nell’immaginario collettivo si fa di tutta l’erba un fascio, nel silenzio generale.

 In questo ambito la leva giudiziaria può contribuire ben poco, perché in Italia non c’è più (ma c’è mai stata?) un’opinione pubblica che si indigna e reagisce quando viene a sapere di queste cose. Mi sembra che la gente abbia una reazione molto più vicina all’interesse di tipo scandalistico che altro, in altre parole è interessata al gossip e al chiacchiericcio che si fa intorno alle rivelazioni sulle telefonate di tizio e caio, ma non vedo in giro una forte indignazione. D’altronde anche gli stessi giornali non hanno nessuna intenzione di suscitare indignazione, ma solo la curiosità morbosa di chi guarda dal buco della chiave; in effetti il loro interesse è diventato quello di vendere più copie non quello di dare voce alle coscienze libere e pulite.

 L’Associazionismo dei cittadini non deve cadere nella trappola di trasformare tutto in una telenovela a sfondo gossip, ma deve mantenere il profilo politico di chi lavora per l’emancipazione dei cittadini, per una sollevazione dal basso che rivendichi spazi di partecipazione alla gestione della cosa pubblica, per impedire qualunque malcostume e garantire trasparenza, efficienza ed efficacia all’azione della pubblica amministrazione.

 Quando parlo di partecipazione, mi riferisco alla messa in atto di meccanismi cogenti e vincolanti, cioè ad una partecipazione che conta davvero, non a quelle forme di ascolto delle esigenze dei cittadini che in molte amministrazioni locali si praticano ancora oggi, con una presenza che scema costantemente perché la gente si rende conto che non basta esporre le problematiche, poi bisogna fare i conti con le limitate possibilità economiche della mano pubblica e allora l’esigenza di pochi, ma raccomandata da chi conta, sopravanza l’esigenza dei tanti che non hanno trovato un santo in paradiso.

 Oggi ci sono molti strumenti legislativi che consentono di mettere in pratica forme di vera e cogente partecipazione, ma manca una reale volontà politica di realizzarla veramente, su questo le associazioni dei cittadini utenti possono e debbono svolgere un ruolo di primo piano, ricordando che solo creando una forte consapevolezza dei propri diritti e un’altrettanto forte volontà di non scambiarli per piaceri che possiamo evitare il degrado democratico che si sta rischiando nel nostro paese.

 Gabriele Silvestri Cittadinanzattiva Umbria

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