Semipresidenzialismo: il mito di un modello risolutivo (di Salvatore Sinagra)

Ogni tanto salta fuori la questione del semipresidenzialismo anche in Italia. Non so quanti italiani sappiano realmente che si tratta di una forma di governo in cui il premier deve godere di un rapporto fiduciario sia con il Presidente della Repubblica che lo incarica, che con il Parlamento che gli vota la fiducia. Con un Presidente della Repubblica che, però è eletto direttamente dagli elettori. In sostanza il semipresidenzialismo è un modello “di compromesso”, pensato per accontentare tutti e che rischia di non accontentare nessuno.bifronte semipresidenzialismo

Per anni Berlusconi ha periodicamente riproposto il ritornello del semipresidenzialismo, soprattutto quando non aveva idee forti e credibili da spendere; lo ha fatto nei periodi di calo della sua popolarità o quando voleva rimandare a data da destinarsi problemi imminenti. Tra i suoi alleati l’idea ha riscosso quasi sempre successo. Di recente Grillo, con le sue “quirinarie” ha aperto un varco per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e Bersani, a mio parere correttamente, ha sottolineato che legare a doppio filo  l’elezione del Capo dello Stato e la costituzione del nuovo governo avrebbe comportato il passaggio ad una repubblica semipresidenziale di fatto come risultato di uno stallo della politica.

Mi è capitato di assistere alla Bocconi ad un incontro in cui i giovani di Alleanza Nazionale lodavano i benefici del presidenzialismo e del semipresidenzialismo. Sono intervenuto ricordando l’esistenza di almeno una decina di paesi a regime presidenziale che non sembra possano essere portati ad esempio. Fra questi, Argentina, Bielorussia, Russia, Ucraina. Un confronto più significativo, tuttavia, può essere fatto con paesi più vicini all’Italia quali Francia, Romania e Lituania.

sistema franceseIn Francia il funzionamento della quinta repubblica è stato funestato dalle così dette coabitazioni, ovvero convivenze tra un presidente di destra ed un premier socialista, o  a parti invertite, al punto che durante la prima presidenza di Chirac fu deciso che a partire da quella successiva il mandato presidenziale sarebbe stato di cinque anni e non più di sette, per farlo coincidere con la legislatura e ridurre il rischio di coabitazioni. Ripercorrendo la storia degli ultimi decenni si possono riscontrare i tanti problemi nati da quel sistema che non sono degenerati nell’ingovernabilità per la stabilità complessiva del sistema e per il forte senso dello Stato dei francesi.

Le cose sono andate peggio nelle repubbliche semipresidenziali di recente transizione alla democrazia come la Romania e la Lituania dove le tensioni fra Presidente e Parlamento hanno creato molti problemi al funzionamento dei sistema politico-istituzionale.

Per quanto riguarda le vicende italiane bisogna prendere atto che la rielezione di Napolitano e il successivo mandato ad Enrico Letta, sono avvenuti nella piena legittimità costituzionale di una repubblica parlamentare, ma il ricorso al carisma del Presidente per concludere un accordo di governo tra forze storicamente e programmaticamente incompatibili può diventare un passaggio epocale che ci porta verso il semipresidenzialismo.

percorsiNon voglio affermare che tale forma di governo è senza se e senza ma peggiore di quella parlamentare, ma io non vedo alcun beneficio nel modello semipresidenziale. Certo, un Presidente eletto dal popolo, soprattutto se eletto con molti voti o se gode del rispetto anche di chi non lo ha votato, può avere margini di manovra che non ha mai avuto il Primo ministro in Italia; tuttavia non bisogna trascurare che, da un lato non è scontato che l’elezione diretta garantisca grande legittimazione al Presidente, e dall’altro che esiste il problema della potenziale conflittualità tra Presidente, Capo del Governo e Parlamento.

Potremmo “votarci” ad un modello pensando di poter pacificare destra e sinistra e ritrovarci con una moltiplicazione delle liti e dei conflitti istituzionali senza precedenti in Italia perché sostenuti da consensi elettorali distinti. Come spesso accade carenze e inadeguatezze di chi incarna la politica tentano la via di fuga delle modifiche costituzionali per cercare una semplificazione a problemi complessi. La mancanza di volontà dei rappresentanti del popolo suddivisi in una miriade di fazioni avverse non si surroga cambiando modello di governo, ma cambiando cultura e modalità della politica. Le modifiche costituzionali à la carte possono servire a chi è a corto di idee o a chi non vuole riconoscere i propri limiti, non all’Italia.

Salvatore Sinagra

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