Solo questione di deficit e di spesa pubblica?
I funzionari della Commissione europea stanno per iniziare le loro verifiche negli uffici del Ministero dell’economia. La lettera con le osservazioni di Bruxelles sulla manovra di bilancio sta arrivando. È di ieri, domenica, la pubblicazione dell’intervista del ministro Padoan con la quale si indica un’alternativa netta: “L’Europa deve scegliere da che parte stare. Può accettare il fatto che il nostro deficit passi dal 2 al 2,3% del Pil per far fronte all’emergenza terremoto e a quella dei migranti. Oppure scegliere la strada ungherese, quella che ai migranti oppone i muri, e che va rigettata. Ma così sarebbe l’inizio della fine”. Le carte sono in tavola. Ancora non si può dire se si stia andando verso una contrapposizione tra Commissione e governo italiano o se si stia svolgendo un gioco delle parti necessario per far passare la legge di bilancio così com’è, ma facendo finta di arrabbiarsi in modo da non scontentare le opinioni pubbliche dei paesi “virtuosi” cioè della Germania.
La materia del contendere è il deficit di bilancio che anche quest’anno non scenderebbe come pattuito e come l’Italia si era impegnata a fare. Sotto accusa, ancora una volta, sono le regole dell’austerità imposte dal Fiscal Compact e inglobate nella nostra Costituzione ormai da quattro anni che imporrebbero di tendere al pareggio di bilancio al fine di ridurre il debito.
Messa così è evidente che quelle regole che un po’ tutti abbiamo accolto come un benefico vincolo esterno che ci avrebbe forzato la mano (ma che ci avrebbe fatto bene), sono stupide cioè sbagliate e dannose. Lo sono perché ingessano la funzione propulsiva della finanza pubblica in parametri troppo rigidi per adattarsi ai periodi di crisi. E noi, per dimostrare la nostra buona volontà ai mercati che ci stavano aggredendo, le abbiamo pure inserite in Costituzione.
L’unica azione sensata sarebbe cambiare il Fiscal Compact e creare una unione fondata sulle politiche e su un bilancio dell’eurozona con tanto di ministro del tesoro comune. È ciò che caldeggia anche Mario Draghi da un po’ di tempo ed è una gran bella idea. Chissà se mai ci si arriverà. Certo è che se le cose non cambiano l’euro non potrà sopravvivere, perlomeno nella sua attuale estensione. Non è certo, ma è una probabilità che comincia ad essere presa sul serio dagli analisti.
Il ragionamento potrebbe chiudersi qui magari aggiungendo solo il pieno sostegno all’impegno di Renzi e di Padoan per allargare i limiti entro i quali deve muoversi il nostro bilancio.
Però siamo sicuri che non c’è nient’altro da dire? No c’è molto altro perché l’Italia ha un problema tutto suo che è rappresentato dalla montagna del debito pubblico e dal suo rapporto con un Pil che non cresce. Si dice sempre che l’elasticità del deficit è la condizione fondamentale per la crescita dell’economia. Si ricorda ad esempio che gli Usa di Obama negli anni cruciali della crisi hanno superato il 10% di deficit e così sono riusciti a frenare la discesa e hanno conquistato un ritmo di crescita del Pil che l’Europa se lo sogna. E noi? Se noi potessimo sforare di quanto vogliamo, anzi, se non avessimo alcun limite ci svilupperemmo a ritmi cinesi? Ma per carità, nemmeno in sogno ce la faremmo.
A differenza degli Usa e anche della Francia e della Spagna che sforano allegramente da anni abbiamo qualche piccolo problemino perché il declino della crescita cioè della produttività dura da molto tempo. E l’inefficienza del sistema Italia è diventata una palla al piede che ci blocca. Purtroppo senza Pil resta solo il deficit che si trasforma in debito che deve essere rinnovato continuamente. Per la spesa corrente sia chiaro. Già adesso ogni anno dobbiamo prendere in prestito qualcosa come 400 miliardi di euro ed è solo grazie alla tutela della Bce e alla solidità dell’euro che la spesa per interessi non ci divora.
Inutile illudersi: non è spendendo e spandendo che potremo risollevare le nostre sorti. Dobbiamo avere il coraggio di rottamare un sistema che non funziona che si chiama innanzitutto spesa pubblica e pubbliche amministrazioni e che si tira appresso anche una società disunita sui valori fondamentali e una cultura civile quanto meno carente.
Si è parlato tanto di spending review e quando in qualche talk l’ospite di turno vuole fare bella figura si mette sempre ad invocare gli investimenti e il taglio della spesa improduttiva. Molto facile dirlo nei salotti televisivi, tanto non bisogna mica farlo sul serio. Renzi che era partito con la parola d’ordine della rottamazione ha dovuto frenare i bollenti spiriti perché il sistema Italia, (fatto anche di tante isole di eccellenza, sia chiaro), nel suo complesso è capace di sgretolare le migliori intenzioni.
Qualcuno che vede Renzi come il fumo negli occhi (due nomi secchi: Bersani e D’Alema) ha avuto il potere in anni lontani e più recenti e non è riuscito a cambiare un granchè. Anche qualcuno che esibiva una grande ammirazione per Renzi (Berlusconi tanto per non fare nomi) e molta amicizia e oggi gli da’ contro ha avuto tutto il potere nel nome di una rivoluzione liberale che nemmeno dipinta si è vista. Insomma un altro po’ di spesa pubblica può servirci per non affogare, ma stiamo sempre in alto mare
Claudio Lombardi
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