Sprechi in sanità: altri due punti di vista
La storia degli sprechi in sanità somiglia ad una di quelle leggende metropolitane che vagano e rimbalzano senza mai toccare la terra della concretezza. Le mitiche siringhe – emblema di tutti gli sprechi – che costano 10 da una parte e 50 dall’altra hanno smosso il pachiderma decisionale delle amministrazioni pubbliche e dei politici nonché richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica. Ormai quasi nessuno sostiene più che la questione dei servizi essenziali come la sanità debba essere affrontata secondo una logica puramente incrementale. L’equazione maggiore spesa = miglior servizio non può più essere la bussola a cui agganciare le scelte e le rivendicazioni dei tanti soggetti che si rivolgono e intervengono nel campo della sanità. Insomma non è detto che ogni anno la spesa debba solo aumentare e mai diminuire. E così, oltre ai vari esperti di spending review che si succedono al vertice, tanti altri si stanno impegnando ad analizzare il funzionamento della sanità e ad individuare gli eccessi di spesa cioè gli sprechi.
Qualche risultato è già stato raggiunto. Per esempio sull’onda della fama ottenuta dalle “mitiche” siringhe si sta affermando una tendenza a ridurre i centri di acquisto con risparmi già acquisiti (nel solo Lazio si tratta di centinaia di milioni tra 2014 e 2015). Ovviamente una revisione seria della spesa porta inevitabilmente a rivedere anche la distribuzione delle risorse umane cioè, per essere chiari, i casi di ospedali con tanto personale e pochi posti letto o la questione delle cliniche universitarie oppure le prestazioni effettuate dai privati. Insomma cose concrete che toccano molteplici interessi e difficili da affrontare.
Ma ecco che da due soggetti diversi mettono in evidenza altri due aspetti del pianeta sprechi in sanità. Il primo è uno studio condotto in quattro regioni (Lombardia, Marche, Umbria, Sicilia) da Agenas. Lo studio è dedicato alla medicina difensiva una pratica che, per prevenire future contestazioni, porta i medici ad abbondare in prescrizioni diagnostiche e di farmaci. Lo studio indica che circa il 60% dei medici segue questa strada determinando un maggiore esborso di 9-10 mld di euro solo per gli esami in eccesso alle reali esigenze diagnostiche. Emerge dallo studio un altro dato interessante e cioè che i medici intervistati sanno di esagerare, ma non si sentono tutelati a sufficienza e così preferiscono abbondare in prescrizioni. Il “succo” della ricerca è semplice: troppi controlli, troppe prestazioni inappropriate, troppi soldi sprecati.
Secondo focus sullo spreco. La fondazione GIMBE mette sotto analisi il tema delle sperimentazioni cliniche e della ricerca. Il suo presidente Nino Cartabellotta fornisce un dato allarmante: oltre il 25% degli sprechi in sanità è conseguenza della prescrizione/erogazione di interventi sanitari inefficaci e inappropriati perché il Ssn preferisce introdurre continuamente sul mercato trattamenti di efficacia non provata piuttosto che investire in ricerca comparativa indipendente, generando conoscenze utili a ridurre gli sprechi.
Ecco due contributi preziosi che aiutano ad inquadrare la questione nel modo giusto andando oltre il conflitto sui tagli. La parola d’ordine più seria dice che le prestazioni devono essere appropriate e, quindi, soggette a continua verifica di efficacia. Non di più non di meno.
Claudio Lombardi
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