Spunti per comprendere la crisi della scuola italiana
“La qualità di un sistema scolastico è data da quattro cose: qualità della cultura, qualità delle relazioni umane, qualità dell’apertura alla società, qualità strutturale. Un sistema scolastico che funziona è un sistema nel quale la cultura è viva”. Così inizia un’ampia riflessione di Antonio Vigilante sulla scuola italiana pubblicata sul suo blog (http://antoniovigilante.blogspot.it/).
L’attenzione per la scuola non può svegliarsi solo quando si parla di precarietà: delle persone che ci lavorano e degli edifici che la ospitano. L’assunzione di 150mila precari è un atto dovuto se queste persone hanno un ruolo da molti anni nell’insegnamento e se servono alla scuola. Ma la scuola esiste per formare i giovani e, quindi, il centro della riflessione dovrebbe essere riservato alla qualità della cultura che lì dentro si crea non ai problemi di chi ci lavora. È così per Vigilante secondo il quale “una delle ragioni della crisi della scuola italiana” va cercata nel fatto che a scuola non si fa vera cultura. Il problema è che la scuola “favorisce più il pensiero convergente ed il conformismo che il pensiero critico”. Infatti l’apprendimento è basato sulla memorizzazione di ciò che dice a lezione il docente che, a sua volta, rispecchia quanto è scritto nei manuali.
Sul ruolo del docente la riflessione si sofferma ampiamente parlando di frustrazione e del fatto che al docente si richiede solo di saper insegnare la sua disciplina perché “il docente è uno che non produce cultura, ma la trasmette”.
Ogni docente dovrebbe essere anche un ricercatore poiché la capacità di formare al pensiero critico parte necessariamente da docenti capaci loro stessi di pensiero critico.
Ancora più importante, tuttavia, è la crisi di senso. La trasmissione della cultura dovrebbe essere finalizzata a conquistare, attraverso la cultura personale, un posto nella società. Questo ci si aspetta dalla scuola, ma i fatti spesso smentiscono le attese. “Esiste oggi un nuovo proletariato intellettuale, super-formato, che insegue lavori precari a vita” del quale fanno parte, spesso, gli stessi docenti.
Ciò accade anche perché la cultura scolastica è soltanto una parte (piccola) della cultura reale che non si trova certo nelle aule scolastiche. Il limite più grande per Vigilante è un altro e corrisponde alla concezione della cultura come mera formazione individuale. Se si tratta di educazione a diventare una parte attiva della società, se la scommessa è quella di arrivare a lavorare insieme agli altri, la formazione esclusivamente individualistica diventa un limite perché presuppone che la scuola sia tutta chiusa all’interno delle sue aule.
L’autore richiama l’esperienza delle scuole americane nelle quali la pratica del service learning comporta un impegno degli studenti in favore della comunità.
Il ragionamento di Vigilante richiama poi la divisione tra sapere intellettuale e sapere manuale e professionale nella scuola italiana. Questa separazione corrisponde tradizionalmente ad una separazione di classi sociali, ma porta ad un impoverimento che colpisce tutti perché il “sapere libresco che non trova alcuno sbocco in un fare finisce per avvitarsi su sé stesso”. E rafforza soltanto una impostazione culturale “provinciale, miope, asfittica”. Il che, in un mondo globalizzato, è un problema enorme perché “un pezzettino di cultura occidentale che nulla sa e nulla vuole saperne delle culture altre“ non aiuta a comprendere il mondo come è.
Secondo Vigilante “la scuola italiana è strutturalmente non attrezzata per comprendere l’altro” e risulta “penosamente monoculturale, priva di curiosità per tutto ciò che è al di fuori dei sacri confini dell’Europa”.
Occorre, dunque, costruire un rapporto vivo con tutto ciò che è al di fuori della scuola. L’orientamento deve essere non a interiorizzare “quello che è scritto in un libro, ma a cercare attivamente la conoscenza, a costruirla, a discuterla”. La scuola, quindi, come una grande comunità di ricerca nella si forniscono le chiavi per conoscere e per continuare ad apprendere.
Se, una volta risolti i problemi del precariato, si riuscisse a mettere al centro dell’attenzione la missione che la scuola deve assumere e i risultati che ci si propone di ottenere si farebbe finalmente la cosa giusta
Claudio Lombardi
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