Sul nucleare il vento sta girando

A margine della Cop 28, vale a dire la Conferenza contro i cambiamenti climatici, oltre 20 Paesi hanno preso l’impegno di triplicare la produzione di energia nucleare entro il 2050, visto che il nucleare è energia a emissioni zero. Fanno parte del gruppo 5 Paesi del G7, vale a dire tutti meno Italia e Germania (https://tinyurl.com/ms5m89nm ).

Qualche anno fa quest’immagine sarebbe risultata poco meno che blasfema: parlare di nucleare in una conferenza ambientalista sarebbe stato visto come esaltare la vita e le opere di Benito Mussolini ad un Festival dell’Unità o vedere una qualche Diocesi cattolica organizzare una rassegna di cinema porno. Oggi, però, il tutto appare molto meno scandaloso, anche perché il mondo ambientalista sta, lentamente, cambiando.

Quando si cominciò a parlare di ambientalismo, nel secolo scorso, lo si fece in reazione ad uno sviluppo industriale che, nel secondo dopoguerra, trasformava mondo e paesaggio. Uno dei sacri testi, da cui nacque gran parte del pensiero ecologico e ambientalista successivo è “I limiti dello Sviluppo” del Club di Roma, che uscì nel 1972 (https://tinyurl.com/tyv8jt6r ). Questo testo partiva da una considerazione ovvia, vale a dire che il Pianeta è uno e molte risorse sono finite (cioè non rinnovabili) e, sulla base di questo si lanciava in previsioni sul futuro, previsioni immancabilmente smentite dai fatti. Si prevedeva, per esempio, che il petrolio sarebbe durato ancora 20 anni (sarebbe cioè dovuto esaurirsi negli anni ’90 del secolo scorso), così come il gas naturale. Analogamente non si vedeva altra strada, per la coltivazione di cibo, che espandere le aree coltivabili, cosa che sappiamo, mezzo secolo dopo, non essere successa nonostante il vertiginoso aumento della produzione di cibo (https://tinyurl.com/36h2ye4w ).

Quel libro, però, ha contribuito a plasmare il successivo pensiero ambientalista, che poi si espresse nei vari movimenti o partiti Verdi che nacquero in seguito. Al di là dei singoli enunciati, si scolpirono nella mente di molti ambientalisti due principi su cui si basava:

1) Lo sviluppo è un male. La filosofia di fondo di quel libro era che lo sviluppo avrebbe portato il mondo alla catastrofe, esaurendo rapidamente le risorse del Pianeta e quindi garantendo un futuro di guerra e fame. Se lo sviluppo ha dei limiti, la migliore strategia ecologica appariva quindi limitare lo sviluppo. Quello industriale in particolare, il vero protagonista di quegli anni.

2) Il male è in Occidente. In quel testo si prendeva atto della situazione allora attuale, vale a dire un mondo ricco e piccolo e un vasto mondo povero. Per dire, tra le infinite previsioni sbagliate completamente c’era quella del PIL 30 anni dopo, cioè nel 2000. Si supponeva (pag. 43) che tra il 1970 e il 2000 il PIL procapite degli USA sarebbe passato da 4 a 11mila dollari, quello dell’URSS da 1,1mila a 6,3mila, quello della Cina da 90 a 100 (cento) dollari e quello dell’India da 100 a 140. A parte il fatto che nel 2000 l’URSS non c’era già più da un pezzo, si prevedeva che il reddito procapite USA sarebbe stato 110 volte maggiore di quello cinese. In poche parole: si constatava un mondo in cui lo sviluppo era solo Occidentale, e si prefigurava un mondo nel quale in Occidente lo sviluppo avrebbe continuato a crescere esponenzialmente divorando tutte le risorse planetarie, mentre il resto del mondo (la stragrande maggioranza) sarebbe rimasto più o meno uguale e misero. Inutile dire che non è andata così.

La storia dei 50 anni successivi ha fornito amplissime dimostrazioni di quanto fossero errate quelle previsioni. E il perché lo fossero non è complicato: erano improntate ad un malthusianesimo stretto, e risentiva di tutti i limiti del malthusianesimo. Che sono, in poche parole, l’estrapolare una o alcune variabili dando per scontato che il resto non muti. Si estrapolava la popolazione mondiale, per dire, ma non si immaginava che la rivoluzione agricola avrebbe aumentato a dismisura le rese. Si estrapolavano i consumi di petrolio ma non si immaginava che altre riserve sarebbero state scoperte e sfruttate. E così via. Ma se le previsioni furono via via smentite dai fatti, quei due principi rimasero ben saldi a fondamento di molto ecologismo successivo.

Quella generazione che si formò ai principi dei Limiti allo sviluppo era poi una generazione post Hiroshima che viveva in piena corsa agli armamenti. Inoltre, su quelle generazioni, si abbatté Chernobyl. La conclusione era che di nucleare non si voleva sentir parlare, e per gli echi sinistri di bombe atomiche e per la catastrofe sovietica. Inoltre, come si è visto, il problema era limitare lo sviluppo, non incrementarlo con la produzione di ulteriore energia.

Negli ultimi decenni, però, qualcosa è mutato nel pensiero di alcuni ambientalisti, anche perché è apparso un nemico decisamente peggiore e anche questo, ovviamente, non previsto, cioè il cambiamento climatico. Combattere questo nemico micidiale è quindi diventata la prima urgenza di una nuova generazione che non sempre si muove all’unisono con la precedente. Ad esempio, i vecchi ambientalisti facevano della conservazione del paesaggio un argomento fondante anche perché era una resistenza nei confronti dello sviluppo industriale visto come male. Quando si parla quindi di parchi eolici, magari offshore (ultimo caso in Calabria, a Corigliano) da un lato c’è chi vi si oppone in nome del paesaggio, dall’altro vi sono ambientalisti favorevoli perché energia a zero emissioni.

Sul nucleare sta lentamente avvenendo lo stesso. La vecchia impostazione non ne vuol sentir parlare. Infatti in Germania, antica patria dei Verdi, proprio mentre i Paesi di cui sopra annunciano nuovi massicci investimenti, si chiudono le poche centrali esistenti. In Svezia e Finlandia, che già hanno centrali funzionanti e hanno un livello di emissioni che è già una piccola frazione della Germania (emissioni ovviamente per Kwh prodotto), si parla di triplicarle. E il perché è ovvio: visto che il nucleare è a emissioni zero, visto che il più letale e micidiale nemico ambientale che abbiamo di fronte è il riscaldamento globale, allora sì al nucleare, e questo anche perché si è visto che la Germania, nonostante abbia un parco di rinnovabili (sole+vento) gigantesco e superiore a tutti gli altri (è il doppio del nostro, per dire), più di tanto non riesce a tagliare le emissioni.

Ma, al di là di questioni contingenti, a poco a poco si sta facendo strada un nuovo paradigma, che non è l’antico Sviluppo sì/Sviluppo no, ma Quale sviluppo? Preso atto che lo sviluppo (a differenza di quanto ipotizzato dal Club di Roma) è questione globale, visto che India e Cina, ad esempio, crescono e si sviluppano, come accompagnare il processo in modo non devastante? Si può essere ambientalisti, insomma, anche non essendo nemici dello sviluppo, cosa che mezzo secolo fa sembrava impossibile: allora l’unico modo per esserlo pareva fosse teorizzare una crescita zero, se non negativa (la decrescita felice), per gli occidentali, visto che gli altri comunque si prevedeva che non sarebbero cresciuti. Oggi però tutto il mondo si sta sviluppando, e a meno di non rimpiangere i tempi in cui in Cina e in India le carestie mietevano decine di milioni di vittime, il problema non è se svilupparsi, ma come svilupparsi. Ed ecco che il nucleare ad una Conferenza ambientale appare molto meno blasfemo.

Jack Daniel (tratto da facebook)

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