Tagli di spesa, riduzione dei servizi: una manovra a tenaglia contro gli italiani (di Claudio Lombardi)
Se fosse uno scontro tra eserciti schierati si chiamerebbe manovra a tenaglia. Si attacca da un lato e, quando l’avversario retrocede verso l’altro, si scatena un attacco anche da quello. Chi rimane preso in mezzo non ha scampo. Ma non siamo in guerra e i protagonisti non sono eserciti, bensì governo e cittadini.
Nell’ultimo anno si sono succedute varie manovre che hanno seguito uno schema classico e ben consolidato: c’è l’emergenza o almeno una situazione critica; occorre intervenire rapidamente e con efficacia; ci vuole un taglio delle spese e un incremento delle entrate; l’unico modo per fare presto è prendere i soldi da chi non si può sottrarre e toglierli a quei settori che resistono meno. Conclusione: più pressione fiscale per i redditi fissi, meno prestazioni sociali, meno servizi pubblici. La ricetta prevede diverse varianti: per esempio, non si aumentano esplicitamente le tasse, ma si tagliano i servizi costringendo le persone a spendere di più o ad accontentarsi di servizi inferiori o a ricorrere a servizi privati (di solito finanziati dallo Stato). Tipico il caso della scuola che ha subito drastici tagli non solo di personale (il pretesto era che ci sarebbe sovrabbondanza di insegnanti), ma anche di risorse per il funzionamento, determinando, però, una situazione di povertà diffusa nelle scuole pubbliche che ha costretto le famiglie a contribuire in denaro o in natura alle spese di funzionamento oppure le ha “incoraggiate” ad iscrivere i figli alle più attrezzate ed accoglienti scuole private.
Altro caso stranoto, i tagli ai bilanci degli enti locali (e delle regioni) accusati di organizzare feste e di sprecare soldi e messi nelle condizioni di dover risparmiare sui servizi ai cittadini e sulla manutenzione delle città e del territorio. Ci meravigliamo se un forte acquazzone mette in ginocchio la capitale d’Italia o devasta zone fra le più belle come sta succedendo in queste ore in Liguria? E perché ci meravigliamo quando sappiamo da anni che la tenaglia fra riduzione dei finanziamenti e scarsa cultura di cura dei beni pubblici, dei beni comuni e del territorio trasforma qualsiasi evento naturale in un disastro?
Ovviamente la risposta non può essere soltanto che ci vogliono più soldi e più personale perché questi vanno inseriti in un contesto di buona amministrazione, di trasparenza e di coinvolgimento dei cittadini altrimenti portano a sprechi, corruzione e ruberie, ma per questo ci sarebbe la politica che dovrebbe costruire le condizioni perché tutto funzioni per bene. Dovrebbe, appunto.
Scegliere la strada dei tagli, per di più sotto la pressione dell’emergenza, non è saggio perché è, comunque, una misura provvisoria e non un percorso di riqualificazione delle spese a sostegno di determinate politiche.
Prendiamo il caso arcinoto delle pensioni. Adesso la nuova frontiera sono i 67 anni di età per andare in pensione abolendo le pensioni anticipate. Non si tratta di una questione filosofica, bensì di una scelta legata a fattori conosciuti come l’aumento della durata della vita e il progressivo invecchiamento della popolazione che, se non fosse per gli immigrati, diminuirebbe anno dopo anno e, con essa, diminuirebbero i lavoratori attivi (quelli che producono la ricchezza dalla quale si prelevano i soldi per pagare le pensioni). Nel corso degli anni sono stati fatti vari interventi che hanno mutato drasticamente il quadro a partire dalla riforma del 1995 che ha introdotto il metodo contributivo e l’innalzamento progressivo dell’età pensionabile. I dati ufficiali ci dicono che l’età di pensionamento effettiva media oggi in Italia è di 61 anni, quindi molto lontana da quella del passato e piuttosto vicina al limite attuale per la pensione di vecchiaia, 65 anni. Inoltre è sempre più difficile per i lavoratori andare in pensione anticipata perché gli stipendi già non sono alti e le pensioni sono più basse che in passato dato che sono cambiati i metodi di calcolo.
Alzare l’età di pensionamento prolungando la vita lavorativa sta diventando, quindi, e di fatto una necessità per un numero crescente di lavoratori.
C’è poi un aspetto di grande rilievo ed è quello della composizione della spesa sociale troppo squilibrata ora sul versante pensionistico e poco presente negli interventi a favore dei giovani e dei disoccupati.
Si tratta di questioni importanti sulle quali il dibattito e la ricerca delle soluzioni sono in corso da molto tempo. Compito della politica è elaborare strategie ed attuarle nei tempi lunghi che questi cambiamenti richiedono. Non si tratta, inoltre, di cambiamenti che possono farsi su un singolo punto ignorando le conseguenze sulla vita delle persone e un disegno complessivo che dovrebbe sostenerli.
Esempio: è sbagliato tirare in ballo le pensioni ogni volta che c’è una emergenza economica dando non l’impressione, bensì la certezza che si tratti di ricavare un po’ di soldi da gettare nel calderone del bilancio.
Ben diverso sarebbe se una riforma fosse legata a una ristrutturazione della spesa sociale magari con l’istituzione di un salario minimo sociale che sottraesse i giovani al ricatto del lavoro precario e mal pagato, a una diminuzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente e dei contributi a carico dei datori di lavoro. Questo sarebbe un investimento a favore del lavoro e dei giovani.
Ma non c’è traccia di tutto ciò nella politica del governo che si arrabatta sugli impegni da prendere con l’Europa, ma non sa indicare una strada credibile. L’unico linguaggio che parla è quello dei tagli che hanno il segno della disperazione e del disprezzo per gli italiani.
Ed ecco perché tutto appare come una manovra di accerchiamento dei cittadini che sono condannati a pagare e a subire un drastico peggioramento delle loro condizioni di vita sempre più povera di diritti e di solidi punti di riferimento. D’altra parte la scelta del centrodestra è stata chiara fin dal 2001 quando rinunciò a vigilare sul cambio dalla lira all’euro e consentì ai gruppi sociali di riferimento di attuare una grande redistribuzione di reddito dalle tasche dei lavoratori dipendenti e dei pensionati a quelle delle categorie che potevano stabilire i prezzi. Se ci si aggiunge la “comprensione” per l’evasione fiscale e una gestione delle risorse pubbliche messe a disposizione dei faccendieri e delle cricche si ha il quadro della manovra messa in atto ai danni della maggioranza degli italiani da parte del centrodestra e dei suoi sostenitori economici e sociali nel corso di 10 anni.
La manovra è riuscita, i ricchi si sono arricchiti, i corrotti hanno spadroneggiato, Berlusconi ha evitato i processi ed è più ricco di allora. L’Italia si è impoverita ed è allo sbando. Sarebbe ora di cambiare strada.
Claudio Lombardi
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