Tra furbetti e tartassati c’è chi paga e chi prende
A pensarci bene una lotta di classe in Italia potrebbe scoppiare tra chi paga le tasse e chi non le paga, ma usufruisce comunque di tutti i vantaggi legati alla spesa pubblica. Sarebbe giusto. In fin dei conti è un contrasto di interessi fondamentale: una parte che sfrutta l’altra. Ma possiamo stare tranquilli: non succederà così come non è successo nulla in decine di anni. Già il fatto che si parli di furbi invece che di disonesti indica in quale direzione va la cultura civile prevalente. Chi riesce a fregare lo Stato è furbo; chi compie il proprio dovere è fesso. D’altra parte la super regola educativa e comportamentale che ogni italiano assorbe fin dall’infanzia è proprio “fatti furbo”. Altri popoli magari hanno: fai il tuo dovere. Oppure: affermati col tuo lavoro. Quindi di cosa ci stupiamo?
Ora si sta montando una nuova campagna contro i politici partendo dal caso dei 5 parlamentari che hanno richiesto il sussidio di 600 euro. Lo sappiamo, ci sarà il referendum il 20 settembre e qualcuno vuole sfruttare anche questo caso per sostenere il taglio dei parlamentari. La generale riprovazione nei confronti dei 5 (più i consiglieri regionali che hanno fatto lo stesso) è comunque giusta e non serve a nulla cercare di nasconderla. È anche inutile dire che è tutto legale perché il problema vero è un altro.
Se si potessero esaminare i nomi dei milioni di italiani ai quali è stato versato il sussidio si scoprirebbe che una buona parte non ne aveva alcun bisogno, ma se li è presi lo stesso. Non sarebbe una sorpresa, inoltre, se molti di quei soggetti corrispondessero anche ad altrettanti casi di evasione fiscale. Non è sempre andata così con i servizi pubblici basati su graduatorie di reddito? Sì oggi c’è l’Isee, ma quante false attestazioni circolano?
Per questo in Italia bisogna sempre pensare ai profittatori. Chi ha scritto la norma sui 600 euro senza prevedere limiti di reddito da autocertificare (così poi, dopo, sarebbero stati fatti i controlli per scoprire chi ha barato attestando il falso, controlli che invece non si possono fare) non ha capito in quale paese siamo o, peggio, lo ha fatto apposta. Non c’entrano nulla la burocrazia e la velocità. Sono scuse di chi ha commesso un errore e non vuole riconoscerlo. È molto probabile che il governo volesse presentarsi come il tutore degli italiani pronto a dare qualcosa a tutti senza guardare troppo per il sottile.
Purtroppo da marzo viviamo in un clima di esaltazione per la libertà di spendere a debito alla quale non corrisponde la capacità di utilizzare in modo mirato i soldi pubblici (i prestiti alle imprese partiti con enormi difficoltà, la cassa integrazione distribuita poco e male). Si ha quasi il sospetto che bonus e assistenzialismo servano a distrarre e a prendere tempo nella speranza che si rimetta in moto l’economia.
Il paternalismo (necessariamente autoritario in una prima fase) che è stata l’impronta degli interventi del governo e, in particolare, del Presidente del Consiglio è servito a tenere buona l’opinione pubblica e a far rispettare agli italiani norme di comportamento durissime quali mai si erano viste in tempi di pace. Ora tornano a galla i limiti di sistema che affliggono l’Italia da molti anni. Su questi dovremo concentrarci cercando di non ripetere gli errori (ci siamo andati vicini con il bonus ristoranti, segno che è facile ricascarci).
Il debito sta esplodendo, i soldi sono stati utilizzati male e quelli che verranno dall’Europa non serviranno a tappare i buchi perché dovranno essere usati per ciò che l’Italia non è mai stata capace di fare negli ultimi decenni: investimenti. Nella spesa corrente, invece, andiamo fortissimo, ma è un’illusione che finirà presto
Claudio Lombardi
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