Tra politica e società mettiamoci la partecipazione (di Vanni Salvemini)
Disallineamento e volatilità sono realtà ben note soprattutto nel panorama politico italiano. Sono alimentate dall’atteggiamento di impotenza dei politici, che scelgono i dettagli ma non sono più gli artefici delle prese di decisione fondamentali, ormai portate avanti altrove.
Quello che si sta vivendo in Italia è che davanti a questo declassamento del potere decisionale, la politica risponde con una vera esplosione di costi e con l’aumento degli investimenti per acquisire consenso, dato che il marketing ha ormai in gran parte sostituito il senso di appartenenza a una cultura politica.
Una democrazia prodotta da un mondo che anela la crescita illimitata è dunque impolitica, ovvero non radicata nella polis, incapace di decisioni, senza legittimazione, senza, quindi, gli elementi cardine che dovrebbero caratterizzare un paese democratico. Siamo giunti a una situazione in cui perfino la democrazia come anche l’economia rischia di diventare un’entità astratta ovvero di non essere incardinata in un popolo e in un territorio.
Il sistema così com’è non va più; occorre riscrivere regole nuove, in un esercizio di progettazione collettiva che richiede un grande sforzo di responsabilizzazione e di presa di coscienza, che ci faccia transitare verso forme di democrazia deliberativa, la quale preveda una maggiore partecipazione dei cittadini, che recuperi il senso vero di fare politica e la sensazione che ciò non sia un privilegio riservato a una ristretta élite di politici di professione.
Bisogna pensare ad una vera transizione democratica basata su nuovi percorsi di partecipazione che rappresenta la condizione di base ineludibile di un effettivo processo di cambiamento.
Partecipazione però significa un processo continuo di formazione e informazione. Solo in quanto processo la partecipazione diventa l’anticorpo per favorire la riproducibilità della democrazia che il capitalismo finanziario non permette e che solo noi possiamo innescare.
Contro l’antipolitica e la disaffezione, infatti, l’unico antidoto è la partecipazione.
Si tratta di osare dove nessuno finora è giunto: organizzare un’inedita forma di democrazia partecipata che riossigeni il rapporto tra politica e società. Il senso dell’esperienza delle primarie era proprio questo: puntare a far emergere un partito dei cittadini che mutasse nel profondo la realtà dei partiti di sinistra esistenti (di sinistra dato che le primarie sono nate e sono state attuate solo da quella parte).
Intendiamoci, la partecipazione non è solo un insieme di tecniche per comunicare in modo creativo. Al contrario, è una rottura politica. Riguarda chi gestisce il potere, chi tiene nelle mani il mazzo delle scelte, se debba essere un gruppo ristretto di notabili oppure gli apparati o anche i soli eletti, oppure una comunità allargata. È una questione che riguarda la sostanza più che la forma, il merito più che il metodo.
Più volte la partecipazione dei cittadini si è rivelata una chiave per vincere, il grimaldello per scardinare le incrostazioni dei voti bloccati e di quelli comprati, l’alchimia per dissolvere i coaguli di potere. La contraddizione è che se la partecipazione è decisiva per vincere, al contrario, diventa un impiccio per governare. I cittadini, indispensabili per generare un effetto moltiplicatore nella fase di raccolta del consenso, diventano, dopo la presa della Bastiglia, un ingombro quando chiedono di condizionare le decisioni politiche. E quando la politica perde lo slancio sociale verso il cambiamento, allora degrada in gestione del potere e anche la qualità delle politiche pubbliche decade. Lì si annidano i rischi di degenerazione; i leader, da interpreti del processo sociale, diventano dei surrogati. La funzione carismatica della leadership soppianta quella trasformativa e, invece di attivare le risorse latenti delle persone, rende tutti spettatori passivi, al massimo una curva nord del leader.
Il vero punto di leva, quello che consente di sollevare il mondo, è la fiducia. E la fiducia è una risorsa scarsa che si riproduce solo se nella relazione circolano fattori di coerenza, trasparenza, ascolto efficace. La fiducia si conquista accorciando banalmente il fossato che separa il dire dal fare. La crisi della politica, è innanzitutto crisi di fiducia nella politica. Ecco perché a tutti noi viene chiesto uno straordinario coraggio. Agire una politica che discuta pubblicamente dei propri costi, del modo con cui si organizza e finanzia e seleziona la classe dirigente, dei canali attraverso cui dialoga con gli interessi delle diverse parti sociali, delle regole e dei limiti nella gestione delle istituzioni. Una politica che abbia un’idea forte, riconoscibile, positiva su questo tempo di crisi, e che resti permeabile rispetto alle ansie del cambiamento. Questa politica, sarebbe l’unico anticorpo al virus dei vecchi e nuovi trasformismi, anche quando ricoperti dall’accattivante veste offerta dal leader carismatico.
Le primarie che sono la novità del panorama politico italiano possono cambiare qualcosa, ma non vanno soffocate e non vanno concentrate solo sulle persone. Per una vera partecipazione occorre mettere in discussione innanzitutto idee e programmi perché questo è l’unico modo per condividere il futuro.
Vanni Salvemini
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!