Tutto bio? Sono guai per la natura

Si sente continuamente, sulle TV, sui social, sui giornali, la richiesta, da parte di tutti, di  un sempre maggiore utilizzo dei prodotti bio. Per risolvere il problema della spazzatura, delle microplastiche, del riscaldamento globale, del consumo delle risorse etc. sembra che la risposta sia solo una: il ricorso ai materiali bio. Innanzitutto iniziamo a cercare di capire cosa si intende per materiale bio.

Un materiale bio secondo le più comuni definizioni è un materiale non di origine sintetica ma di origine naturale. Quindi non più prodotti che partono da materie prime fossili ma materie prime prodotte da organismi viventi. Vediamo un po’ allora cosa si potrebbe utilizzare. Per esempio, guardando al passato, cosa si utilizzava una volta?

Per i tessuti abbiamo: cotone, lana, lino, canapa, iuta, kapok, e poco altro. Per le costruzioni: legno, pietra, mattoni (i mattoni però meritano un discorso a parte perché per produrli serve tanta energia). Per le sostanze chimiche: detergenti, vernici, lubrificanti, etc., con oli e grassi sia di origine animale che vegetale.

Su queste basi è intervenuta la chimica che ha imparato a modificare tutte queste sostanze per produrre una infinità di molecole – qualche milione – che ci servono per produrre tutto quello che utilizziamo oggi.

Tornando al bio bisogna dire che si porta dietro una idea, sbagliata, che tutto ciò che viene prodotto con sostanze naturali sia biodegradabile. E, invece, non è così. Per esempio, è possibile produrre da sostanze naturali il propilene che è la materia base per fare il polipropilene.

Ci sono aziende che vantano il fatto di avere un polipropilene di provenienza completamente bio, ma questo polipropilene è identico a quello prodotto da sostanze di origine fossile e non è biodegradabile. È, invece, riciclabile come e con l’altro perché sono di fatto lo stesso polimero. Inutile dire che il polipropilene di provenienza naturale è  più caro di quello prodotto dal petrolio.

Di recente è stato messo a punto un polimero, il polilattato, che ormai penso conosciamo tutti anche se il nome ci è ignoto, perché è quel film trasparente che scricchiola e avvolge le confezioni di pomodorini al supermercato.

Questo è invece un vero polimero biodegradabile. Per ora non è riciclabile e, quindi, non deve essere gettato nel bidone della plastica ma va buttato nell’umido. Se poi il sistema di raccolta prevede il compostaggio in impianti attrezzati si trasformerà in CO2 e acqua, se invece finisce in discarica potrebbe diventare metano. Però oggi, probabilmente,  se lo si mette nell’umido si rischia pure la multa perché non viene riconosciuto dagli operatori della raccolta differenziata come prodotto compostabile. Il 90% di questo polimero finisce quindi nell’indifferenziato e, se alla fine della filiera dei rifiuti, c’è un termovalorizzatore, diventerà CO2 e acqua.

Un piccolo esempio per mostrare che le cose non sono per niente semplici e lineari come si potrebbe immaginare.

Eccone un altro: i detergenti. Già oggi vengono prevalentemente prodotti con sostanze naturali, per la maggior parte con olio di palma e olio di cocco perché hanno costi inferiori ai prodotti di sintesi.

E qui sorge un problema del quale in pochi tengono conto: per produrre bio bisogna coltivare e allevare appositamente piante e animali da poter utilizzare nelle produzioni industriali. Un esempio persino banale è quello del cuoio e delle pelli animali. Oggi la maggior parte delle scarpe sono prodotte da materiali di origine sintetica, ma se volessimo dare la prevalenza ai prodotti bio serviranno proprio quelle di origine animale.

Un altro esempio è quello del polilattato. Per produrlo si parte dal glucosio che si ottiene dal mais, quindi serviranno piantagioni di mais per uso esclusivamente industriale così come campi di cotone, allevamenti di pecore e bovini, piantagioni di palme e di cocchi per l’olio, di barbabietole e canna da zucchero per l’alcool etilico, e così via. Tutte produzioni che oggi si usano quasi esclusivamente per uso alimentare e che in futuro, per sostituire i prodotti sintetici, richiederanno una notevole incremento con un inevitabile aumento dei prezzi e con un maggiore impatto sull’ambiente.

Ultimo esempio il carbone di legna. Nel passato, più o meno fino alla fine del 700′, veniva usato per produrre calce, mattoni, ferro e bronzo. Considerando che il legno era anche il materiale da costruzione più usato sia negli edifici che per i mezzi di trasporto e per barche e navi ed era anche l’unico fornitore di energia per cucinare e riscaldare si è arrivati a una deforestazione quasi totale dell’Europa che iniziò addirittura al tempo della Roma antica. Oggi la situazione è completamente cambiata e il tanto vituperato consumo di suolo non è stato tanto deleterio per gli alberi quanto gli utilizzi del passato. Infatti boschi e foreste aumentano di anno in anno, ma dobbiamo essere consapevoli che avviene grazie ai tanti materiali dei quali disponiamo e, soprattutto, perché dall’inizio dell’800 abbiamo incominciato a bruciare per le nostre esigenze energetiche prima il carbone poi il petrolio ed infine il gas lasciando finalmente in pace le foreste. Ormai sulla Terra siamo 8 miliardi. Pretendere che tutti i prodotti siano di origine naturale potrebbe metterci in una situazione molto pericolosa e l’ambiente non se ne gioverebbe, per sfamare tutti e per procurarci le materie prime potremmo fare danni colossali.

Pietro Zonca

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